ETIMOLOGIA
Il toponimo Ripacandida, è incerto e il nome
del paese è sempre cambiato nel tempo. Il primo
toponimo conosciuto è quello del centro abitato
sorto nel V secolo su un precedente sito preromano,
"Ripiam Candidam", ma ancora più
precedentemente, Ripacandida si chiamava solamente
"Candida" o , più probabilmente,
"Candida Latina", che fu successivamente
latinizzata dalle famiglie Calandra e Baffari in "Candida
Latinorum" o "Candida Lathinorum".
Successivamente, nel periodo angioino, il nome era
"Castrum Ripe Candide" , ma in alcune ordinanze
degli angioini, il centro era citato come "Castrum
Rip? Candid?". Nel 1283 pare che, sotto il dominio
di Lorenzo Lufolo, Ripacandida si sarebbe chiamata
"Rip?candid?" o "Rip? Candid?",
e avrebbe tolto il prefisso "Castrum". Il
toponimo "Ripacandida" pare sia stato formato
nel 1826 sotto Nicola Chiari, o con l'Unità
d'Italia, perché il paese era stato chiamato
da sempre in dialetto, cioè, "Rubbuacann".
GASTRONOMIA
Ripacandida è ha un'antichissima tradizione
gastronomica. Tra i piatti tipici abbiamo l'Acquasale,
il Pancotto, una treccia di pane, in dialetto detta
Ruciulatiégghjë, e il Pane di Pasqua,
detto Scarcegghjë. Importantissime produzioni
sono anche l'Aglianico del Vulture, l'olio extravergine
d'oliva e il miele. Il comune, infatti è città
del vino, dell'olio e del Miele.
MANIFESTAZIONI
29/30 aprile: festa in onore di San Mariano
7 settembre: festa in onore della Madonna del Carmine
5/6/7 agosto: festa in onore di San Donato (Patrono
di Ripacandida)
16 agosto: festa in onore di San Rocco
17 agosto: festa in onore di San Donatello
DA VEDERE
I motivi figurati che riportano al pensiero di Pitagora,
li troviamo tra le produzioni più particolari
di una bottega di ceramisti del V secolo a.C. a Ripacandida.
Dallo studio delle necropoli, VII-V secolo a.C. sappiamo
che l'insediamento appartiene ad un centro di cultura
nord-lucana. È situato in prossimità
di una fiumara affluente dell'Ofanto e si sviluppa
sulla sommità e sui terrazzi lungo le pendici
della collina. Nel centro si impiantarono botteghe
ceramiche specializzate nella produzione di vasi a
decorazione subgeometrica, o con motivi decorativi
complessi, tra cui compare la figura umana. Su una
brocca, rinvenuta in una sepoltura femminile del V
secolo a.C., è rappresentata una sfera che
racchiude un fulmine e sulla quale vi è una
figura umana stilizzata in lutto attorniata da sette
stelle, ora al Museo archeologico nazionale del Melfese.
Tale scena si riconduce alle dottrine filosofiche
di Pitagora, che nello stesso periodo aveva impiantato
una scuola a Metaponto e che annoverava tra i suoi
discepoli alcune figure aristocratiche dei territori
interni della Basilicata antica. Dall'osservazione
attenta di due linee curve speculari disegnate sul
reperto, un recente studio scientifico (G. Pastore,
2010) ha rivelato che rappresentano la traiettoria
della caduta disastrosa di un grande meteorite nella
Grecia orientale, avvenuta nello stesso periodo di
datazione della brocchetta e ricordata da Aristotele
e da Plinio il Vecchio. Da cui le conclusioni: la
visione sferica dell'universo da parte dei pitagorici;
la prova della caduta di un grande meteorite; la traiettoria
iperbolica dello stesso; la provenienza del meteorite
dallo spazio siderale in antitesi con le posteriori
dottrine astronomiche di Aristotele e Newton. L'abitato
antico di Ripacandida si organizza per nuclei sparsi
di abitato alternati a spazi vuoti e a sepolture.
Da segnalare, sempre in una sepoltura femminile, dei
fermatrecce molto elaborati, formati da un doppio
filo avvolto in più spire e rinvenuti solo
in alcuni corredi della Basilicata interna. Resti
di un acquedotto romano sono visibili nei pressi della
fiumara.
ORIGINI E CENNI STORICI
L'indagine archeologica degli anni 1977-1980 data
l'antichità di Ripacandida al VII secolo a.C.,
ma già alla fine del XIX secolo lo storico
lucano Michele Lacava rinveniva alcune grotte di epoca
archeolitica e pavimenti mosaici alle falde di Ripacandida.
Gli storici greci (Aristotele - Timeo di Tauromenio
- Antioco da Siracusa) citano con il nome "Enotria"
l'odierna Basilicata. Dalla Geografia di Strabone
apprendiamo che "prima dell'arrivo dei greci
sulle coste ioniche, in Basilicata, vi erano Choni
ed Enotri". Gli enotri secondo Dionigi di Alicarnasso
discendono da Enotro, il mitico eroe proveniente dall'Arcadia
che arrivò intorno al 1800 a.C., soggiogò
gli indigeni ed impianto la coltivazione della vite.
Il suo successore Italo trasformò in agricoltori
i pastori nomadi, istituendo i "sissizi".
Successivamente la regione fu occupata dai Sanniti,
popolazioni Osco-sabelliche da cui discendono i Lucani.
Essi discendevano dalle montagne del Sannio e in varie
ondate occuparono la penisola. Praticavano la "primavera
sacra": quando la popolazione cresceva un gruppo
di giovani sceglieva un simbolo (Totem) e partiva
in cerca di nuove terre. Era un popolo di fieri guerrieri,
così potente da impegnare l'esercito romano
per cinquant'anni. Roma subì l'onta della sconfitta
alle "Forche Caudine", per poi riorganizzare
l'esercito ed annientare i sanniti. La romanizzazione
della regione inizia con il trasferimento di 20 000
coloni: nasce la vicina Venusia, nel 291 a.C. Dai
sanniti discendono molte altre etnie: Irpini, Caudini,
Bruzi ecc. Plinio il vecchio ribadisce-Dal Sele, comincia
la III regione: la terra dei Lucani e dei Bruzi; detta
-Grande Lucania, in seguito ridotta dalla scissione
dei bruzi con capitale Cosenza. La società
lucana è organizzata in tribù, ognuna
con un proprio capo i "Meddices" che sono
eletti annualmente. Tutti sono tenuti a partecipare
alla vita della comunità, tutto è diviso
equamente. Legati da un vincolo federativo, in caso
di guerra, eleggono, un capo il "basileus".
L'antico abitato di Ripacandida era collegato al sito
più importante di Serra di Vaglio (Vaglio di
Basilicata) a pochi chilometri da Potenza. Dopo la
conquista e la distruzione delle città e della
capitale lucana, i romani istituiscono le colonie
di Pontentia, Turi, Eraclea, Grumentum; la Lucania
stretta d'assedio diventa territorio romano. I lucani
attraverso i fiumi: Basento, Bradano, Agri e Sinni
commerciavano con le città greche Metaponto,
Siris, Heraclea, Pandosia, Turi. Il Sele e l'Ofanto
permettevano l'accesso ai due versanti: adriatico
e tirrenico; e alle città greche di Elea e
Poseidonia che con l'occupazione dei lucani diverrà
Paestum. Unica regione della Magna Grecia ad avere
nel suo interno, due scuole filosofiche: ad Elea (Velia),
e Metaponto. La scuola eleatica fondata da Senofane,
avendo carattere aristocratico, non permetteva l'accesso
ai lucani; in tempi diversi, operarono Parmenide,
Zenone, Empedocle, e Melisso da Samo. La pitagorica
a Metataponto aveva anche carattere religioso, mistico,
permetteva l'insegnamento anche al popolo. Forte fu
l'influenza dei pitagorici, sugli antichi montanari
della Lucania, formando i giovani lucani, fra loro
erano ammesse anche le donne. Con la morte di Pitagora
(470 a.C.) la scuola continuò sino al 250 a.C.:
Ocello Lucano, Ocylo, Polo, la bella Bindaice ed Esera
sono alcuni allievi della scuola che hanno lasciato
testi in lingua greco-dorica. Nell'idioma dialettale(vera
isola linguistica nel circondario) ritroviamo la radice
osca con molti vocaboli di origine greca. La tradizione
orale afferma che la città fu edificata dai
romani con il nome di "Candida Latinorum"
(resti di acquedotto romano). Secondo alcuni studiosi
il nome è dato dal colore bianco del colle.
L'abitato moderno risale al tempo delle invasioni
gotiche, quando gli abitanti dalla valle si trasferiscono
sul colle, e costruiscono le loro case intorno al
tempio dedicato a Giove (castello attuale- Chiesa
Madre). I longobardi la fortificano con mura inframmezzate
da torri. Subendo le varie dominazioni arriviamo alle
prime fonti scritte del XI-XII sec. La bolla papale
di Eugenio III (1152) decreta la costruzione delle
chiese di San Donato (l'unica ancora esistente), San
Pietro, San Zaccaria, San Gregorio. Partecipa alla
prima crociata. Ed è iscritta nel catalogo
dei Baroni con i suoi tredici nobili, con a capo il
feudatario Ruggero Marescalco, per partecipare alla
III crociata, quella di Guglielmo il Buono(1188-1198).
A Roberto di Ripacandida Federico II incarica di custodire
alcuni prigionieri lombardi, la zona sarà chiamata
in seguito Massa Lombarda(l'odierna Ginestra). Cambia
numerosi feudatari, Caracciolo, Grimaldi di Monaco,
Boccapianola, Tironi, l'ultimo padrone è il
duca Mazzacara(1806). Una prima colonia di profughi
albanesi nel 1482 viene ospitata in una zona periferica
chiamata Cantone e successivamente trasferita a Massa
Lombarda. Il 5 ottobre 1571 partecipa alla vittoriosa
battaglia di Lepanto con un folto numero di cittadini
fra i quali GianLorenzo Lioy, era questo il periodo
in cui il feudo apparteneva ai Grimaldi Principi di
Monaco Marchesi di Campagna e Signori di Ripacandida
dal 1532 al 1641. Tra cinquecento e settecento è
sede di uno studio di Teologia. Nell'aprile del 1861,
si schierò con i briganti capeggiati da Carmine
Crocco, in quell'occasione ci fu la prima vittima:
il capitano della guardia nazionale Michele Anastasia.
Ebbe anche feroci briganti Turtora, Di Biase, Larotonda.
Alla fine dell'Ottocento inizia il fenomeno dell'emigrazione:
si abbandona la terra in cerca di un futuro più
dignitoso. Negli USA, precisamente nello Stato dell'Illinois,
vi è una cittadina di nome Blue Island costituita
da immigrati ripacandidesi. Nel ricordo delle loro
tradizioni, festeggiano San Donato vescovo di Arezzo.
Negli anni ottanta del novecento a Ripacandida visse
per alcuni anni il professore Thomas Hauschild, dell'Università
di Tubinga. Esaminò la vita nel piccolo centro,
nella ricerca di uno studio sulla magia e religione,
quando ancora nel paese operavano diverse persone
che esercitavano la magia. In seguito pubblico il
volume, in lingua tedesca, Magie und Macht in Italien.
Uber Frauenzauber, kircher und Politik. (IL potere
della magia in Italia. La chiesa e la politica di
fronte all'affascinazione femminile.) Il premio Nobel
per la fisica nel 1997 viene assegnato a William Donato
Phillips, figlio di una ripacandidese immigrata negli
USA nel 1920.
DA VEDERE INOLTRE
Il centro storico presenta palazzi baronali datati
1700 e 1800, oltre alla vetusta Casa Lioy, un palazzotto
edificato intorno all'anno 1089 (come attestato da
una iscrizione interna all'androne), su manufatti
di epoca sicuramente precedente, probabilmente anche
tardo-romani, ed arricchita ed ampliata in età
barocca e successive. Importante è anche l’antica
dimora gentilizia di Palazzo Baffari-Rossi, già
convento delle Carmelitane durante il Settecento,
che il 31 luglio 2011 è stata restituita alla
sua originaria funzione di sede municipale. Il piano
inferiore del Palazzo dal 18 settembre 2011 ospita
la Galleria Civica d’Arte di Ripacandida, con
opere, tra le altre, di Ugo Attardi, Ennio Calabria,
Renzo Vespignani, Alberto Ziveri, Franco Mulas, Domenico
Rambelli e Vittorio Basaglia. La chiesa di Santa Maria
del Sepolcro, più comunemente chiamata "Chiesa
Madre", si sviluppa su tre navate e presenta
nel cappellone del Sacramento il monumento funebre
dell'arciprete Giambattista Rossi. La zona presbiterale
è divisa dall'assemblea da una bella balaustra
intarsiata in marmi policromi; il cui autore è
lo stesso Arciprete Giambattista Rossi, che si dedicò
all'opera in uno studio artistico a Napoli. In quattro
colonnine della balaustra sono scolpite quattro scene
della Passione di Cristo: un cuore trafitto da sette
spade, la Madonna presso il Sepolcro, Cristo che emerge
dal Sepolcro ed il Fonte Battesimale. La sagrestia
ospita un "Cristo in pietà" di Cristiano
Danona e un "S. Bartolomeo" di Gaetano Recco.
Lateralmente è addossato, in perfetta continuità,
il settecentesco Palazzo Ducale. La costruzione della
chiesa fu stabilita con bolla di Monsignor Aquaviva,
vescovo di Melfi, nel 1540. In essa si stabiliva di
unire le due antichissime parrocchie di San Nicola
e San Bartolomeo in una nuova dove prima vi era una
chiesetta dedicata a Santa Caterina d'Alessandria,
detta "al castello". L'opera fu completata
nel 1602 a cura dell'abate Lorenzo da Leonibus. La
facciata esterna è dotata di un bel portale
rinascimentale a cui si accede mediante un'artistica
gradinata in marmo ed è abbellita da tre orologi:
due meccanici e, sulla destra di chi guarda, una meridiana.
Ogni orologio è inserito in un rosone e l'unico
funzionante è quello solare che segna le ore,
in numeri romani, dalle cinque di mattina alle quattro
del pomeriggio. Il nome fu dato in ricordo dei tredici
baroni che si recarono in Palestina nella terza crociata
sotto Guglielmo il Buono. Nel timpano vi è
scolpita la Madonna presso il Sepolcro. Esiste un
legame antico fra Potenza e Ripacandida dato dalla
partecipazione comune alle crociate; al ritorno delle
quali si provvide in entrambi i luoghi alla costruzione
delle chiese intitolate a Santa Maria del Sepolcro.
Da documenti della fine del sec. XV risulta un legame
storico tra Santa Maria del Sepolcro ed il Sepolcro
di Cristo. Entrambe ci invitano a contemplare il mistero
della Passione di Cristo a cui è associata
la Madonna Addolorata.
La chiesa di San Giuseppe, detta delle monache è
affiancata dal monastero delle suore di clausura fondato
nel 1735 da Giovanni e G.B. Rossi. La chiesa (1173)
presenta una facciata in mattoncini di cotto, un portale
barocco, all'interno sull'altare maggiore, la grande
pala d'altare della Madonna con Bambino con i santi
Teresa e Giuseppe di un seguace di Francesco Solimena;
ed il monumento funebre di Giovanni Rossi. L'interno,
a navata unica, è decorato con eleganti motivi
barocchi. Nella sagrestia vi è la tomba della
mistica Suor Maria Araneo, nipote dei Rossi e priora
del monastero. Il suo corpo integro, a distanza di
190 anni dalla morte, fu ritrovato in seguito ai lavori
del terremoto del 1980. Nel 1750 Sant'Alfonso Maria
de' Liguori di ritorno da una missione a Melfi, conobbe
il monastero e rimase stupito dalla religiosità
di Suor Maria. Un anno più tardi, nel 1751,
in questa chiesa avvenne il miracolo di San Gerardo
Maiella, (la grata del miracolo si conserva a Materdomini).
La chiesa di Sant'Antonio, l'antica parrocchia di
San Bartolomeo (antico patrono di Ripacandida), di
difficile datazione, forse costruita sui resti di
un torrione longobardo. Gravemente danneggiata dal
terremoto del 1980.
La chiesa di Santa Maria del Carmine è posta
vicino all'ingresso del vecchio cimitero, (ora giardino
pubblico) si presume che sia stata edificata prima
del terremoto del 1694. Ricostruita con questo titolo
dall'arciprete Baffari (zio del Beato G.B. Rossi),
peraltro evidente dallo stemma baronale della famiglia
posto sul portale d'ingresso. Si presenta per un singolare
apparato decorativo, realizzato nella prima metà
del settecento. I recenti restauri hanno riportato
al primitivo splendore gli affreschi raffiguranti
la Santissima Trinità, la Madonna del Carmine
e rosoni con i Santi, Donato vescovo e Donatello (San
Donato da Ripacandida). A lato dell'altare la seicentesca
scultura della Madonna del Carmine
IL SANTUARIO DI SAN DONATO
Ripacandida è noto per la presenza del santuario
di San Donato, meta di pellegrinaggi da tutta la Basilicata
fin dal '700, gemellato dal 21 giugno 2004 con la
Basilica di San Francesco di Assisi, che è
valso al paese il soprannome di "Piccola Assisi
Lucana", e insignito dall'UNESCO, nel dicembre
2010, del titolo di "Monumento messaggero di
una cultura di pace" e "Monumento nazionale".
Da allora sono sempre frequenti i rapporti e gli eventi
con la cittadina umbra, ultimo, la celebrazione dei
10 anni del gemellaggio tra le due chiese.
AREE VERDI
Una delle bellezze naturali di Ripacandida è
il bosco, anche se poco apprezzato. Denominato Bosco
Grande, forse perché in origine era uno dei
più grandi della regione.Uno dei pochi residui
degli immensi boschi che coprivano la Lucania (per
i latini lucus =bosco), ormai molto ridotto in seguito
ai tagli incontrollati. Composto da alberi ad alto
fusto come querce, cerri, ecc. Per secoli ha dato
lavoro, nutrito e riscaldato durante i freddi inverni
la popolazione di Ripacandida e paesi limitrofi. I
contadini, tra cui anche donne intrepide e coraggiose,
andavano al bosco per tagliare e poi vendere quella
che veniva chiamata una "salma " di legna.
Caricata sui muli, veniva portata a vendere anche
nei paesi vicini. Rifugio di mandrie e di allevatori,
durante la cosiddetta "transumanza", che
utilizzavano il bosco come luogo di sosta per i loro
lunghi spostamenti. Dotato anche di una costruzione
chiamata "casone" e di "pile",
cioè di abbeveratoi per gli animali. Durante
il brigantaggio, fu rifugio per i briganti, che utilizzarono
le numerose grotte per sfuggire alla cattura.
Simbolo del bosco è il cosiddetto "Casone"
una grande costruzione dove ci si poteva riparare
e le "Pile", cioè gli abbeveratoi.
Il bosco è diviso nei comuni di Filiano, Forenza,
Atella e Maschito ma il Casone e le uniche due pile
sono nel comune di Ripacandida.
La pineta è stata impiantata alla fine degli
anni cinquanta alla base e sui pendii della collina,
sulla quale sorge Ripacandida. Data alle fiamme ripetutamente
nel corso degli anni, resiste in alcuni zone, dove
è cresciuta rigogliosa e precisamente alla
base e lato Rionero. Dal 2006, cioè da quando
le Fonti del Vulture sono state acquistate da una
famosa multinazionale, la vediamo nello spot dell'acqua
Lilia dove fa bella mostra di sé.