San
Giuseppe Jato è un comune della provincia di
Palermo in Sicilia. Il comune di San Giuseppe Jato
sorge in una valle, la valle dello Jato, con alcuni
rilievi montuosi. Il paesino sorge alle pendici del
Monte Jato (852 m). Da qui si può godere di
un paesaggio di campi agricoli e vigneti. La valle
è dominata dal fiume Jato che dalla sorgente
Cannavera congiunge le acque della fonte Rizzolo con
quelle della Chiusa, in un corso lungo e aspro ai
piedi del Monte Jato sfociando poi al mare ai pressi
di Castellammare del Golfo dove aver alimentato il
bacino artificiale del Lago di Poma. Secondo l'antropologo
James Frazer - "Il Ramo d'oro: tra mito e indagine
antropologica" -, in Sicilia per la mancanza
d'acqua si minacciava un disastro, pertanto la popolazione
chiese aiuto ai "santi", ma invano: cosicché
la statua di San Giuseppe fu gettata nel fiume Jato.
Il caso volle che dopo pochi giorni piovve e alcuni
contadini, mossi a pietà, ripescarono dal fiume
Jato la statua del santo. Da allora il paese si chiamò
"San Giuseppe Jato".
ETIMOLOGIA
Fino al 1864 il paese fu chiamato solo San Giuseppe.
La sua specifica deriva dal latino Jetae, Jetas che
probabilmente indicava un paese che sorgeva nei pressi
dell'omonimo monte. Questo nucleo abitativo fu fondato
da Giuseppe Bologna Beccadelli.
DA
VEDERE
Chiesa
della Madonna della Provvidenza
Ubicata nen centro del paese è la chiesa santuario
più importante, per i cittadini di San Giuseppe
Jato, custodisce al suo interno la venerata effigie
della Madonna della Provvidenza Patrona della cittadina.
Chiesa
Madre Santissimo Redentore e San Nicolò di
Bari
Si trova nel corso Umberto I in stile richiamante
quello neoclassico e conserva al suo interno pregevoli
opere come una statua lignea di San Giuseppe di Girolamo
Bagnasco, alcuni affreschi di Giuseppe Carta, e delle
tele incastonate nella volta della navata centrale
di F.sco Padovano che raffigurano: l'annunciazione,
la natività e la presentazione al tempio.
Chiesa
della Madonna del Carmelo
Era un tempo la chiesa dell'antico Cimitero del paese,
infatti viene chiamata anche Chiesa del Camposanto
vecchio, custodisce la statua della Madonna del Carmelo
con San Simone Stok del 1823.
Chiesa
di San Francesco Di Paola
si eleva sull'omonima piazza con la sua facciata chiara,
costruita nell'Ottocento dove esisteva un'antica cappella
dedicata al santo, conserva oggi un altare monumentale
in marmo copia dell'altare rococò della Chiesa
di Santa Maria D'altofonte, e sei pitture su seta
rafiguranti eventi rappresentavivi della storia di
san Francesco di Paola, le tele sono opera dell'artista
belga Gabriel Meiring.
Chiesa
delle Anime Sante
Semplice ed essenziale nella sua struttura mantiene
la bellezza di chiesa di campagna con il suo campanile
con tre archi ed avvolta da una bella vegetazione
di edere rampicanti e palme, si trova al centro della
Via Nuova al suo interno Scultura a rilievo rappresenta
le Anime Sante del Purgatorio dello scultore altoatesino
Mussner.
Santuario
della Madonna della Provvidenza
Edificato nel 1852 e situato nell'ex-feudo Dammusi,
dove il 21 luglio 1784, secondo la tradizione, Onofrio
Zorba dopo un'apparizione della madonna in sogno rinvenne
il quadro in ardesia della Madonna della Provvidenza.
Qui ogni anno avviene un pellegrinaggio.
Santuario
dei Santi Cosma e Damiano
Molto antico e da poco oggetto di restauro conservativo,
si trova sul monte Jato a 3 km dal paese. Si vuole
che risalga al periodo bizantino. Fondato dai monaci
Basiliani che trasmisero il culto dei Santi Martiri,
la tradizione popolare locale narra che qui si rifugiarono
nella loro vita peregrina i santi Cosma e Damiano.
LE
MASSERIE
Le masserie, che sorgono nelle campagne intorno, fanno
ancora trasparie le antiche vestigia, quando cioè
erano degli spazi costuiti intorno al baglio, in cui
vivevano i lavoratori dei campi, alla dipendenza dei
Signori. Nelle Masserie erano raccolti gli attrezzi
da lavoro ed erano conservati i profotti agricoli
e caseari. All'interno di essa si trovavano le stalle,
le case dei contadini e Cappelle consacrate. Oggi
parte di queste Masserie sono diventate degli agriturismi.
La masseria Jato si trova tra la contrada Vaccaio
e il fiume Jato. È costituita da due torri
cilindriche ed è il mulino più antico
della valle. Infatti viene menzionato già nel
1182, in un documento che tratta i confini concessi
da Guglielmo II il Buono, re normanno, al monastero
di Santa Maria La Nuova, da lui fondato. La masseria
Traversa è posta sull'omonima contrada, che
apparteneva anticamente alla Camperia del Balletto.
Le camperie erano giurisdizioni istituite dall'arcivescovato
di Monreale ed erano gestite dal campiere. La masseria
Dammusi è posta nell'ex-feudo omonimo ed è
particolarmente importante per San Giuseppe Jato.
Qui, infatti, è ubicato il Casale dei Gesuiti
che fu trasformato da Giuseppe Beccadelli nella sua
residenza estiva. Da ciò la sua denominazione
di Casa del Principe. All'interno vi è la cappella
con lo stemma dei Gesuiti. L'edificio è stato
costruito in epoche diverse, la più antica
è l'ala ovest che sorge sulla roccia.
La masseria Chiusa sorge sull'ex-feudo omonimo che
aveva comode case, vigne e giardino, acque abbondanti,
due mulini e una cartiera che divenne molto importante
soprattutto nell'Ottocento.
MULINI
Grazie all'abbondanza di acqua sono sorti nella Valle
dello Jato numerosi mulini che, operanti fino agli
inizi del Novecento, si erano affermati nella zona
come primiera industria della molitura. Noto è,
infatti, come questi già in tempi antichi fossero
a servizio dell'arcivescovato di Monreale. Il mulino
della Chiusa, che sfrutta le acque provenienti dal
Vallone Procura, presenta un piccolo barramento che
innalzava le acque fino alla condotta. L'acqua arrivava
sopra il mulino, in una botte di carico e, tramite
una condotta verticale, acquistava pressione. Dopo,
essa attraversava una cannella in dislivello da dove,
per caduta, riceveva la spinta necessaria per mettere
in moto la turbina che poi, attraverso un albero,
trasferiva il movimento alle macine. Testimonianze
dell'antica funzione, rimangono la condotta idrica,
il garraffo, la turbina e la cannella. Il mulino della
Provvidenza, risalente al 1880, presenta una struttura
a martello e funzionava con gli stessi princìpi
del mulino della Chiusa. Il mulino del Principe, così
chiamato perché fatto costruire dal Principe
di Camporeale, è il mulino più importante
e più appariscente della zona. Caratteristica
è la condotta sostenuta da arcate ogivali,
forse precedenti alla costruzione del mulino. La sua
struttura è a martello ed è stata costruita
ai lati con pietra squadrata, mentre tutto il resto
con pietra informe mista tufo. Ancora oggi sono visibili
talune catene in ferro atte a trattenere l'intera
struttura. All'interno sono ancora intatte tre pulegge
in ferro, di dimensioni differenti. Il mulino di Jato
(Ghiati) oggi è un rudere annesso alla masseria
di Jato. Sono ancora visibili una torre cilindrica
e i resti del Mulino che è il più antico
della valle menzionato nel Rollo del 1182 (documento
di donazione di Guglielmo il Buono alla chiesa di
Monreale). Del Quarto Mulino o mulino Giambascio,
rimangono e sono visibili la botte di carico; la condotta,
che si biforca in due parti (una per macinare il grano,
e l'altra per muovere le macchine di un pastificio);
la ruota porta-cinghia, che serviva a muovere le macchine;
e infine una macchina utile a separare la farina dalla
crusca. In atto si deve rilevare l'avvenuto crollo
della parte di tetto che copriva la zona adibita alla
macina. Senza i necessari interventi di restauro,
anche questo mulino è destinato alla rovina.
ORIGINI
E CENNI STORICI
La storia di San Giuseppe Jato è abbastanza
recente, risale a circa due secoli fa. Il primo settembre
1779 è il "Dies Natalis" di San Giuseppe
dei Mortilli, così fu chiamato inizialmente
il paese perché sorto nell'ex-feudo Mortilli
che, insieme ai feudi circostanti di Dammusi, Signora,
Pietralunga, Macellaro e Sparacia, appartenne fino
al 1776 al Collegio dei Gesuiti di Trapani. E proprio
in quell'anno, Ferdinando IV di Borbone, Re delle
Due Sicilie, seguendo l'esempio del padre Carlo III,
Re di Spagna, firmava un decreto che ordinava l'espulsione
dal regno dei componenti della Compagnia di Gesù.
In questo modo tutti i beni da costoro posseduti furono
sottratti dalla Corte e amministrati da una giunta
speciale detta Giunta degli Abbusi. Finché
con un dispaccio, il 1º agosto 1778 essa fu aggregata
al Tribunale del Real Patrimonio che ordinò
la vendita dei beni ecclesiastici incamerati. Divenuti
feudi vennero acquistati da Don Giuseppe Beccadelli
di Bologna Gravina, Marchese della Sambuca, che nel
1778 godette della sovrana concessione di far sorgere
un Comune in quel territorio (licentia populandi).
Il Marchese della Sambuca, poi Principe di Camporeale,
fece costruire un piccolo villaggio sotto le pendici
del Monte Jato, innalzando delle case intorno a un
Casale e a una Chiesetta, appartenuti ai Gesuiti.
Per invogliare i coloni dei paesi vicini ad affluirvi,
fece dei bandi in cui prometteva la sistemazione nelle
case e un premio di nuzialità, di onze due.
Le terre incolte ma molto fertili, furono cedute ai
coloni in enfiteusi e ben presto si ebbero degli ottimi
prodotti: la coltura predominante era il grano, ma
di notevole importanza pure i vigneti e i sommacheti.
Così si venne a costituire un villaggio a cui
fu dato il nome di San Giuseppe dei Mortilli, dal
nome del suo fondatore e anche dalla devozione della
gente verso San Giuseppe. La nuova borgata ebbe un
notevole sviluppo, tanto che la popolazione contava
circa 5000 abitanti dopo solo 50 anni dalla sua fondazione,
soprattutto per la fertilità delle terre che
per la sua ubicazione, essendo un passaggio obbligato
per il traffico insulare verso Palermo. La vita del
paese si svolse abbastanza tranquilla fino al 1838,
quando le forti e continue piogge causarono una frana
che distrusse i 2/3 dell'abitato, senza però
causare vittime. Le famiglie disastrate, in parte,
trovarono riparo nelle zone del paese rimaste intatte,
in parte, ritornarono verso i paesi di origine, in
parte si spostarono verso sud. La ricostruzione delle
case avvenne, per disposizione governativa, in contrada
Sancipirello, poco distante da San Giuseppe dei Mortilli.
Nacque così il nuovo agglomerato urbano di
San Cipirello, che divenne autonomo nel 1864. Il 24
dicembre 1862, San Giuseppe dei Mortilli cambia il
suo nome in San Giuseppe Jato, per sostituirlo con
quello più altisonante del monte Jato.