Sant'Agata
de' Goti è una Città di 11.000 abitanti
della Provincia di Benevento. Dista da Benevento circa
35 km. Da Caserta 25 km. Da Napoli 50 km. La cittadella
storica si erge su uno sperone tufaceo tra due affluenti
del fiume Isclero, all' incrocio di profondissimi
valloni, su quello che in un tempo geologico deve
essere stato l' epicentro di un violentissimo sisma;
l' intera città si sviluppa alle falde del
monte Maineto (556 m.), oltre il torrente Martorano.
La pianta della Città antica è a semicerchio
e misura 1 Km in lunghezza, con diametro diretto da
sud a nord lungo la sponda del Martorano dove ha scavato
una profondissima gola, particolarmente evidente nella
sua parte sud-occidentale. Tutto il territorio comunale
si stende alle falde del monte Taburno con un' escursione
altimetrica di 1283 metri, con un minimo di 40 ed
un massimo di 1323 metri; monte celebrato da Virgilio
e ricco di sorgenti favolose, e infatti le fontane
della Reggia di Caserta sono alimentate da acque estratte
da questo territorio (sorgenti del Fizzo) e convogliate
nell'acquedotto carolino, architettato da Luigi Vanvitelli,
che attraversa per molta parte del suo percorso le
colline prospicienti Sant' Agata. La città
di Sant' Agata de' Goti, come tante città e
paesi meridionali, ha risentito dell' emigrazione
all' estero (Svizzera e Germania) nel dopoguerra.
Ma, una nuova emigrazione è in atto a causa
del mancato o distorto sviluppo economico-sociale
di questi decenni. La popolazione residente conta
all' incirca 12.000 abitanti, inclusi quelli che pur
conservando ufficialmente la residenza, vivono e lavorano
fuori paese. Una buona metà della popolazione
vive nei borghi e nelle campagne, che negli ultimi
decenni hanno goduto di un buon grado di sviluppo
economico, sociale e civile, in gran parte dovuto
ai finanziamenti nazionali ed europei.
ETIMOLOGIA
Sull'attuale nome della città sono due le teorie
più accreditate. Secondo una prima teoria l'attuale
nome di Sant'Agata de' Goti risalirebbe al VI secolo
d.C.,allorché i Goti, sconfitti nel 553 d.C.
nella battaglia del Vesuvio, ottennero di rimanere
nei territori come sudditi dell'Impero, una colonia
si sarebbe stabilita in questo territorio, fondando
l'attuale città. Tale teoria non è però
suffragata da nessuna testimonianza scritta. Una seconda
teoria invece sostiene che S. Agata debba l'appellativo
de' Goti ai De Goth. Nel 1313 d.C. Roberto d'Angiò
concesse il feudo di S. Agata alla famiglia guascona
dei De Goth. Ed è solo dopo l'esperienza dei
De Goth che compare per la prima volta, nel 1502,
il toponimo Sant'Agatae de Goctis. A questo bisognerebbe
aggiungere che dato il persistere delle due terminologie,
e dato che il termine comune rimane "Sant' Agata",
si possa essere verificata una crasi, o una fusione.
Però, sicuramente i Goti veneravano la martire
cristiana Agata, e avevano edificato in sua devozione
le chiese di Sant' Agata de Marenis e Sant' Agata
Sopraporta, da cui prende origine il nome di questa
città.
DA
VEDERE
L'importanza della città è nel rappresentare
un modello di struttura urbanistica alto-medievale,
conservata pressocché integra, e di avere recuperato
e ben conservato alcuni dei suoi monumenti più
antichi come i seguenti:
Il
Duomo- La sua fondazione risale al X sec., al periodo
cioè in cui Sant' Agata de' Goti ridivenne
sede vescovile (970). E' stato più volte riedificato
o ristrutturato in sèguito alle distruzioni
sismiche, in cui è andata persa la maggior
parte delle sue strutture architettoniche, come le
colonne di marmo verde e il pavimento musivo, di cui
rimane solo una porzione nel presbiterio. La cripta
romanica, restaurata di recente, mostra elementi architettonici
di riutilizzo da templi antecedenti, forse addirittura
pagani. La facciata e l' atrio sono allineati all'
asse stradale più che all' orientamento della
chiesa, e sia l' una che l' altro sono costituiti
di elementi architettonici di recupero: probabilmente
sono le uniche strutture originarie, rimaste indenni
attraverso i secoli e i terremoti. In realtà,
l' atrio è sempre stato sentito e usato dalla
cittadinanza come una struttura civica piuttosto che
come pronao di luogo sacro.
S.Menna- E' la chiesa più antica di Sant' Agata
(X sec.), ubicata di fronte al Castello ma orientata
longitudinalmente con l' abside a nord. Fu costruita
per ordine del conte Normanno Roberto figlio di Rainulfo
e fu consacrata nel settembre del 1114 da papa Pasquale
II quando andò a visitare Benevento. tale particolare
si rileva da una lapide esistente all'ingresso della
chiesa, nel lato destro. Fino al XVII sec. conteneva
le reliquie di S. Menna, S. Brizio e S. Socio, spostate
nel Duomo. La chiesa ha un atrio con accesso laterale,
all' interno tre navate su due file di colonne, e
pavimento a mosaico cosmatesco, fra i più antichi
dell' Italia meridionale anteriore di pochi anni a
quello conservato nel coro di S. Nicolò di
Bari. Un' iscrizione marmorea a caratteri bizantini
inserita nel pavimento è databile al VI sec.
e darebbe corpo all' ipotesi di una preesistenza di
edificio religioso del tardo antico.L'archivolto della
porta è lavorato a fogliame assai rigido e
porta alle due estremità due testine di leoni
ed è del tutto simile a quello esistente nel
portico del Duomo. L'architettura della Chiesa è
identica a quella di certe chiese del Veneto di Grado
e di Aquilea e questo si spiega con l'occupazione
di S.Agata da parte dei Goti.
Il Castello- Originariamente pensato come fortezza
militare, in sèguito venne adattato a Palazzo
Ducale, dimora patronale e sede di giurisdizione quando
Sant' Agata de' Goti divenne centro regio di giurisdizione.
Fu fatto costruire dal conte Roberto figlio di Rainulfo
conte di Alife, poi duca di Puglia. E' stato abitato
dai principi della Real Casa di Artois di Francia,
dagli Acquaviva, dai Della Ratta, dai Carafa ed era
dimora preferita dai baroni dei luoghi circonvicini
che vi si trattenevano buona parte dell'anno. Sorge
di fronte la chiesa di S. Menna e nella parte orientale
era collegato ad un grande parco (la zona conserva
tuttora tale nome) dove ferveva la caccia. E' sovrastato
da una collina che conserva l'antico nome di Guardia,
da dove l'inquieto conte dominava il piano sottostante
onde prevenire le mosse dei nemici che si avvicinavano
alla fortezza. Esteriormente presenta un aspetto tozzo,
e in origine era munito di quattro torri angolari,
di cui resta una adibita a carcere mandamentale fino
a pochi decenni addietro. Sorprende di questa torre
ex-carceraria la compattezza e finitezza stilistica;
è sicuramente di epoca posteriore, catalana
o aragonese (XV sec.). Si presume che le altre torri
siano state spianate per liberare spazio in un luogo
già angusto. Lasciato per secoli all' abbandono
per la parte di spettanza comunale, e per l' altra
parte al capriccio "architettonico" di famiglie
proprietarie, conserva sale e saloni affrescati con
bella mano. Era anche dotato di cappella palatina
interna e di una chiesa comitale esterna dedicata
a S. Menna. Per essere plurisecolare, risulta in sempiterna
ristrutturazione. Uno degli ultimi proprietari fu
l'avv. Goffredo Viscardi.
Molte altre testimonianze e vestigie della sua storica
originalità sono visibili nel denso tessuto
delle sue vie e vicoli, nonché nel suo vasto
comprensorio, esteso più di quello dello stesso
capoluogo Benevento. Esse sono costituite degli innumerevoli
frammenti incastonati nei palazzi signorili e case
comuni, oltre che nei vari edifici pubblici. Altre
rovine, come ad esempio quelle di un antichissimo
monastero benedettino, si trovano nei pressi immediati
del centro storico.
ECONOMIA
Olio, leggero e profumato quello delle colline adiacenti,
un po' grasso quello di campagna; vino, rossi e bianchi
di grande sentore e retrogusti fruttati; frutta (mele
e ciliegie in special modo), ortaggi, cereali e legumi.
Nelle campagne santagatesi, fra le specialità
di frutta, si coltiva la mela annurca, prodotto che
nel 2006 ha ottenuto il marchio IGP (Indicazione gegrafica
protetta). Il frutto, piccolo e schiacciato, si caratterizza
per le proprietà organolettiche: polpa bianca
compatta, acidula e profumata. Era già conosciuta
e apprezzata nell' antichità romana, e citata
da Gaio Plinio Secondo noto come Plinio Il Vecchio
che nel suo Naturalis Historia ne localizza l'origine
nella zona di Pozzuoli; oggi la mela annurca viene
coltivata in tutta la Regione Campania. Qui operano
molti centri agrituristici, ben gestiti e ben organizzati,
e qualcuno anche di notevole qualità; in città
operano bar, rosticcerie, ristoranti e posti di intrattenimento,
tutti di buona qualità.
ORIGINI
E CENNI STORICI
Per le evidenti considerazioni di topografia del luogo,
appare chiaramente che l' odierna Sant'Agata de' Goti
fu fondata sull' attuale sito (V-VI sec.) perché
ritenuto particolarmente idoneo alla difesa dalle
incursioni dei nemici, certamente non lontano dall'antico
sito della città sannitica Saticula, città
ai confini della Campania.
Si può con una certa evidenza ritenere sicuro
che la Città insista sul territorio dell' antica
Saticula, e che ne rappresenti la continuità
storica e civile, se tale "continuità"
non venga scambiata con il concetto storiografico
della "continuità", che è
cosa diversa. A sostegno di questa che è più
di una ipotesi c' è la tradizione, sia scritta
che orale, tramandata nei lunghi secoli della sua
storia fino a noi, che ha pur un suo valore di storiografica
testimonianza. Va anche detto che nessun' altra città
rivendica con altrettanta probabilità la continuità
della sua fondazione con la storia di Saticola quanto
Sant' Agata de' Goti. Ma, questo a parte, l' equazione
Saticola-S. Agata de' Goti si fonda su una concomitanza
di fatti, di eventi, di contingenze, di situazioni,
sia di carattere storiografico, sia toponomografico,
sia archeologico. L' areale dei Saticolani, così
come è possibile ricostruirlo dagli scrittori
di storia romani e non, giaceva sulla riva sinistra
del Volturno, fra le valli e le colline prospicienti
il monte Taburno, e si estendeva fino al limite del
territorio campano vero e proprio.
Se si stabilisce un confronto tra la ricostruzione
dell' areale occupato dai Saticolani sulla base delle
fonti degli autori latini (T. Livio, Virgilio), dalle
quali risulta che la città sannita aveva i
suoi confini a Nord con Capua, a Est con Caudium,
a Ovest con i territori campani; la ricostruzione
del territorio amministrativo di Sant' Agata de' Goti
in epoca borbonica, e la ricostruzione mappale dell'
antica Diocesi (980 circa; e a tale proposito va ricordato
che per prassi consolidata ereditata dal Diritto pubblico
romano la Chiesa tendeva a sovrapporre l' amministrazone
religiosa a quella civica), se ne deduce visivamente
che il territorio di Sant' Agata de' Goti va a ricoprire
pari pari il territorio dell' antica Saticula.
Stabilita una lettura corretta del racconto liviano,
sembra che l' agrum Saticulanum corrisponda effettivamente
al territorio di Sant' Agata de' Goti. Comunque, dopo
la definitiva sconfitta dei Sanniti (293 a.C.) Saticula,
o piuttosto il suo territorio se è vero che
l' antica città venne rasa al suolo, ospitava
una colonia romana, di cui resta testimonianza una
lapide (42-39 a.C.), inserita nell' atrio del Duomo
di Sant' Agata, dedicata a C. Ottaviano Augusto.
Da questo momento Saticula sparisce dalle carte geografiche
e dalla storia antica, e di essa non si rinviene più
menzione; si perderà anche la memoria storica
del suo luogo di edificazione, se non una labile ma
persistente memoria locale. È rimasto tuttavia
tra Sant' Agata de' Goti e Presta (probabilmente l'
antica Plistia), sua frazione, un lungo campo archeologico
arato abbondantemente (e spesso fraudolentemente)
nel sec. XVII e XVIII, ma anche più recentemente
durante gli scavi per la posa del metanodotto, ma
dei reperti di cui all' epoca si è favoleggiato
non è rimasta traccia localmente. Nel periodo
della colonizzazione romana gli antichi abitatori
di Saticula si dispersero nel territorio, fondando
vari centri abitati sulla base dell' appartenenza
parentale: di questa occorrenza è rimasta testimonianza
nella ricorrenza toponomastica e nella cognominanza
prevalente nell' area della sua fondazione.
Alla tarda antichità (forse addirittura già
al III sec.) risale lo stabilimento di una sede vescovile
presso la comunità di cristiani di questi luoghi.
La sede fu poi rimossa quando vi si stabilì
la colonia di Goti ariani.
L'origine dell' attuale toponimo di questa città
non è del tutto certa, ma stando alle cose
concrete si deve ritenere che sia legata al culto
della martire catanese Agata, di cui erano devoti
quei Goti che, sconfitti e cacciati da Napoli nel
553, dichiaratisi servitori del re Teodorico e convertitisi
alla religione cristiana, in questo luogo si trasferirono
e vi fondarono una colonia. Va però anche ricordato
che i Goti ariani erano presenti in numero notevole
in tutto il Sannio, ed erano devoti a Maria Vergine
e all' Assunta, agli Apostoli Pietro e Paolo, al cui
culto sono dedicate rispettivamente il Duomo e la
chiesa di San Pietro in località prossima al
centro cittadino.
Ma, stando alla ricostruzione di alcuni studiosi,
il culto locale alla santa siciliana, di cui a reliquia
si conserva un dito nel Duomo, deriva più probabilmente
da Capua, dove l' aveva introdotto San Germano. Due
chiese furono erette al culto della martire Agata
tra il secolo VI e VII: Sant' Agata de Marenis e Sant'
Agata Sopraporta, entrambe distrutte e mai più
ricostruite. E' così molto probabile che proprio
queste chiese abbiano trasmesso il proprio nome all'
intero centro antico, con l' estensione dei Goti a
significarne l' attribuzione dell' edificazione.
Tuttavia, è anche da prendere in considerazione
che la trascrizione del toponimo possa avere subito
modifiche estemporanee e approssimative, e quindi
può destare dei sospetti sulla sua reale significazione:
Sant' Agata dei Goti o Sant' Agata de' Goti? In molti
documenti ufficiali la trascrizione latina tramanda
il toponimo "Sanctae Agathae Gothorum",
in cui il riferimento ai Goti è senza alcun
dubbio certo. Significativo poi è il plurale
Sanctae Agathae, in riferimento forse alle due chiese.
I Longobardi portarono a termine l' occupazione del
Principato Ultra (le provincie di Avellino e Benevento)
tra il 570 e il 625, e andarono ad installarsi nei
siti gotici superstiti che avevano conservato una
sia pur minima struttura urbana, fra cui Benevento
e Sant' Agata de' Goti. Difatti, già dall'
inizio del VII sec. la città rientrava nel
Ducato di Benevento, un cui duca, Radoaldo, (deceduto
nel 647) sarebbe stato tumulato con la sua famiglia
nella chiesa di Sant' Agata de Marenis: ne farebbe
fede una lapide funeraria che vi si sarebbe conservata
fino al XVIII sec. e poi sparita da Sant' Agata. Se
si trattasse dello stesso Radoaldo, allora questi
potrebbe essere stato prima conte di Sant' Agata,
e in tale veste salvato dall' intervento di Bertario
abate di Montecassino presso l' imperatore Ludovico.
Tale circostanza, e i resti di un Monastero benedettino,
farebbero pensare che la città sia anche entrata
nell' influenza di Montecassino.
Le due chiese dedicate a sant' Agata, di culto ariano,
non vennero più ricostruite probabilmente perché
si era già in fase di pieno recupero del potere
temporale della Chiesa Cattolica e del Papa. Dai Goti
in poi, il periodo cioè al quale generalmente
risale la fondazione di Sant' Agata, la città
visse di tutte le vicende storiche delle varie ondate
migratorie dei popoli nordeuropei, e ne subì
i repentini e selvaggi passaggi di mano, gli improvvisi
avvicendamenti di dominio nonché improvvidi
trasferimenti di casato.
Della presenza dei Goti a Sant' Agata non è
rimasta pressocché traccia, se non qualche
reperto architettonico riutilizzato nell' edificazione
delle chiese cittadine. Qualcosa di più è
rimasta del dominio longobardo nel Ducato di Benevento
di cui Sant' Agata faceva parte: da uno scritto di
E. Berteaux si legge che "una delle colonne della
porta è appoggiata sopra un largo capitello
capovolto, decorato di losanghe tagliate a faccette,
che può essere un avanzo dell' edificio longobardo",
e poi "un capitello a forma di canestra con due
ordini di strisce incurvate alla parte superiore può
essere appartenuto anch' esso alla chiesa longobarda".
Elementi di architettura longobarda sono stati rinvenuti
recentemente anche nei lavori di ristrutturazione
della chiesa di Sant' Angelo de Munculanis, come colonne
e capitelli di gusto chiaramente longobardo.
Sull' odierno sito di Sant' Agata de' Goti non si
sono trovate tracce di interesse archeologico databili
all' epoca romana o preromana; per cui è da
ritenere che il luogo abbia cominciato a diventare
un centro abitato nella fase avanzata della discesa
dei popoli nordici in Italia (intorno al VII-VIII
secolo. ), e l' urbanizzazione dovette avvenire in
tempi abbastanza rapidi a causa dell' urgenza della
sicurezza della popolazione locale. Difatti, già
nell' XI secolo veniva edificata la chiesa di S. Menna,
eretta su colonne di marmo con capitelli di gusto
altomedievale, pavimento musivo cosmatesco di pregevolissima
fattura (ma da alcune emergenze recenti si sospetta
di una preesistenza di edificio di culto religioso):
la chiesa fu poi consacrata dal Papa Pasquale II durante
il passaggio per Sant' Agata, nel corso della sua
visita pastorale a Benevento, nel 1110. Evidentemente,
in tale periodo era ancora in costruzione la Chiesa
Cattedrale, dedicata a SS. Maria Vergine Assunta,
più volte nei secoli rifabbricata e ristrutturata,
perdendo nelle calamità dei terremoti colonne,
pavimento e arredi originari. Molti degli elementi
architettonici sia della chiesa di S. Menna che del
Duomo, come peraltro delle altre chiese cittadine,
sono di riutilizzo da fabbricati precedenti, forse
di chiese più antiche, se non di templi pagani.
Delle molte chiese edificate a partire dal VII-VIII
secolo sono rimaste al culto quattro-cinque; diverse
andarono distrutte e mai più ricostruite; un
paio sono state deconsacrate e dedicate a funzioni
museali ed espositive. Tra il XII e il XIII secolo,
vi fu a Sant' Agata un fervore di culto religioso
straordinario, che favorì l' edificazione di
molte altre chiese, cappelle e l' insediamento di
Ordini Religiosi, con i loro Monasteri, come l' Ordine
francescano e l' Ordine dei Redentoristi, di Sant'
Alfonso Maria de' Liguori (vescovo dal 1762 al 1775).
Che fu grande vescovo della Diocesi di Sant' Agata,
dottore della Chiesa, e trasformò la Città
in un piccolo grande centro di attività religiose.
Nel periodo tra il X e XII sec. una nuova organizzazione
sociale, basata sulla signoria fondiaria, e la riorganizzazione
pastorale-amministrativa della Chiesa (diocesi e parrocchie)
portò all' incastellamento. Questi due processi
andarono avanti di pari passo. E' più o meno
il periodo in cui cominciarono le autonomie locali,
e in questo spirito venne edificato anche a Sant'
Agata il Castello: una mastodontica struttura che
ha sfidato il tempo e i terremoti. All' origine, il
Castello santagatese era circondato di quattro torri
di difesa poste agli angoli, ma fu concepito eminentemente
per assolvere alle nuove funzioni amministrative e
giuridiche del feudo, nonché a residenza del
signore. Una piccola reggia feudale. Nel frattempo,
il Principato di Benevento fu smembrato in Contee
e Gastaldati (IX sec.). Così, Sant' Agata de'
Goti uscì dall' influenza di Benevento (tranne
che per la nomina dei vescovi) e dopo un periodo di
relativa stabilità subì la sorte di
passare di mano in continuazione, a seconda delle
convenienze di questo o quel feudatario. La città
venne presa dai Longobardi, poi fu concquistata dall'
Imperatore Ludovico II (886), poi passò ai
Normanni, al Papa Gregorio IX. Appartenne a Bartolomeo
Siginulfo, conte di Caserta e al provenzale Isnard
de Pontèves. Nel 1038 vi si rifugiò
Pandolfo IV di Capua assieme al vescovo Basilio di
Montecassino, per sfuggire a Corrado II, e aiutato
poi dai Bizantini vi si difese per nove anni. Nel
1343 fu concessa a Carlo Artus, figlio naturale di
Roberto III d'Artois: il suo sarcofago di marmo artisticamente
rifinito si può vedere nella chiesa di S. Francesco.
Dal 1400 in poi appartenne a varie famiglie feudali,
tra cui gli Aquaviva, ai Cosso, al Duca di Maddaloni
Marzio Carafa, che la tenne fino all' eversione dalla
feudalità (1806) con le leggi di G. Murat.
Del periodo feudale, i secoli '400 e '700 furono particolarmente
fervidi di attività urbanistica, di recupero
di chiese e cappelle, di fondazione di monasteri;
e inoltre furono i secoli in cui maggiormente si esplicò
una intensa e in qualche caso originaria esposizione
artistica, rivolta soprattutto al decoro delle molte
chiese cittadine e delle frazioni.
Nel Regno di Napoli la feudalità ebbe termine
ufficialmente nel 1806, quando Il re G. Murat emanò
le famose leggi di eversione dal sistema feudale,
leggi peraltro mai abolite nemmeno al ristabilimento
in Europa dell' assolutismo e del reinsediamento delle
vecchie dinastie monarchiche (1815). Finì quindi
l' epoca dell' organizzazione socio-economica fondata
sulla feudalità ereditaria e ci si avviò
alla spartizione selvaggia delle terre, il cui possesso
verrà poi progressivamente regolato da leggi
proprietarie. In quel periodo signori di Sant' Agata
erano i Carafa di Maddaloni, fra i maggiori feudatari
del Regno, che commissionarono degli affreschi nel
Castello, forse a T. Giaquinto.
Le leggi antifeudali del Murat ricalcavano e attualizzavano
lo schema politico del conservatorismo sociale di
Napoleone, orientato al rafforzamento dei ceti propietari
terrieri, istintivamente portati al moderatismo, anche
estremo. Il feudo di Sant' Agata venne smembrato e
finì in proprietà, e in non pochi casi
in appropriazione selvaggia, di famiglie più
o meno nobili, o della borghesia forense; anche nelle
campagne si affermò un vasto ceto di piccoli
e medi proprietari terrieri. In questo quadro, a Sant'
Agata si andò formando una stratificazione
sociale politicamente imperniata sulla grande-media
proprietà. Dei restanti, tutti quelli che non
si fecero preti o sacrestani, finirono braccianti
o cantinieri.
Tale era la situazione sociale di questa città
all' indomani dell' Unità d' Italia. Nel Regno
di Napoli il regime dei Borboni barcollava da tutte
le parti, ma si opponeva pervicacemente a qualunque
proposta di unificazione nazionale. Si capì
allora che solo attraverso l' abbattimento della dinastia
borbonica si sarebbe arrivati all' unità nazionale
e al superamento dei limiti di sviluppo del Meridione.
A ciò lavorava da tempo la borghesia (finta)
rivoluzionaria di Napoli e del Regno, in combutta
con i Savoia. In tutta la Valle Caudina, oltre che
a Benevento, si andarono formando comitati insurrezionali,
alla cui organizzazione politica e paramilitare si
distinse Giuseppe De Marco, nome non nuovo anche a
Sant' Agata. E stranamente, proprio a Sant' Agata,
che pure era uno dei centri più importanti
della zona, non si riuscì ad organizzare alcun
comitato rivoluzionario, benché qualcuno vi
lavorasse e i sacerdoti del basso clero nascostamente
vi simpatizzassero. Addirittura, si fecero notare
elementi che misero in atto gesti apertamente filoborbonici
e antirivoluzionari.
Nel corso dei secoli eventi catastrofici, quali terremoti
(terribile quello del 5 novembre 1456 che la rovinò
tutta), incendi, e pestilenze (il paese fu spopolato
quasi per intero dalla peste del 1656) distrussero
più volte l' antico centro storico alto-medievale
di Sant' Agata, danneggiando gravemente il patrimonio
documentale e testimoniale della città, sicché
adesso risulta difficile e precaria la ricostruzione
di alcuni periodi della sua storia. Alla distruzione
e consunzione naturale si aggiunse poi l' opera distruttiva
di speculatori di rovine postsismiche e, nell' estesa
area archeologica dei dintorni, di scavatori di tombe
più o meno clandestini, che ha sconvolto un'
antica necropoli e siti di non ancora valutabile valore
storico.