San
Sossio Baronia è un comune italiano della provincia
di Avellino in Campania. Situato nella Baronia, ultimo
lembo orientale d'Irpinia ai confini con la Puglia,
San Sossio Baronia è un centro agricolo-commerciale
dell'Appennino campano, ubicato sul fianco settentrionale
della dorsale che divide la valle dell'Ufita da quella
del suo affluente Fiumarella, nell'alto bacino del
Calore.
Adagiato alle falde di un'altura e circondata da colline
e contrafforti che gli chiudono l'orizzonte, il paese
risulta così parzialmente protetto dal rigore
dei freddi invernali. Infatti, sebbene l'altitudine
(650 m) sia superiore a quella di molti paesi circostanti,
il centro abitato è sufficientemente riparato
dai venti e dal nevischio. Inoltre, la presenza di
boschi periferici dona ampia frescura alla zona e
attenua notevolmente la calura intensa dei mesi estivi,
apportando alla località vantaggi climatici
ragguardevoli.
Il territorio comunale confina con 5 comuni della
provincia di Avellino e 2 della provincia di Foggia.
In riferimento ai comuni confinanti, il centro abitato,
che si trova decentrato a sud-ovest rispetto all'intero
suo territorio, dista: 1,4 km da San Nicola Baronia;
3,7 km da Trevico; 4,4 km da Vallesaccarda; 4,5 km
da Flumeri; 6 km da Zungoli; 9,1 km da Anzano di Puglia;
11,5 km da Monteleone di Puglia.
Il punto più basso del territorio comunale
si trova ad un'altitudine di 465 m s.l.m., mentre
la massima quota è di 895 m s.l.m. che si raggiunge
in contrada Molara. L'unico corso d'acqua degno di
nota è il torrente Fiumarella che è
alimentato dalle acque provenienti dai vari valloni
presenti sul territorio comunale: Vallone dei Granci,
Vallone della Mola, Vallone La Terra, Vallone Caronte,
Vallone dei Freddi. Il centro è situato in
una zona ad elevata sismicità e perciò
è stato vittima, nel tempo, di terribili terremoti
che, più volte, ne hanno scosso le fondamenta
e mietuto numerose vittime: tra gli ultimi sismi rilevanti
vanno ricordati quello del 23 luglio 1930 (Terremoto
dell'Irpinia e del Vulture del 1930 con la morte di
42 sossiani e 50 case crollate), quello del 21 agosto
1962 (Terremoto dell'Irpinia del 1962) e del 23 novembre
1980 (Terremoto dell'Irpinia del 1980).
Il comparto agro-alimentare costituisce il settore
trainante dell'economia locale. In particolare il
territorio si caratterizza per la produzione di cereali
(in prevalenza grano duro) e prodotti caseari (caciocavalli,
bocconcini, ricotte e scamorze) nei vari caseifici
presenti sul territorio. Sono presenti anche altre
colture come la vite e l'ulivo; infatti San Sossio
Baronia è uno dei comuni compreso nella zona
di produzione dell'olio D.O.P. Irpinia – Colline
dell'Ufita. Il territorio comunale, attraversato dall'autostrada
A16 dal km 94 al km 99, è situato in posizione
intermedia fra i caselli di Grottaminarda e Vallata,
dai quali dista rispettivamente 18 e 14 km. Il centro
abitato dista 2 km dalla ex strada statale 91 della
Valle del Sele, che, con andamento pressoché
radiale, si stacca dal sistema viario centrale della
regione, servendo la periferia orientale della provincia
salernitana e dell'Irpinia. È raggiungibile
percorrendo la strada provinciale n. 86 che si stacca
dalla ex SS91. È servito dal sistema di trasporto
pubblico locale di autobus Air che collega il paese
con corse dirette a Grottaminarda, Ariano Irpino e
Vallata.
TURISMO
La pineta e il lago di Susanna di contrada Molara
(941 m s.l.m., al confine con Zungoli), unitamente
alle rare vestigia archeologiche e al vasto centro
storico, rappresentano le principali attrattive del
territorio comunale di San Sossio Baronia. Nel tenimento
è presente anche una sorgente sulfurea in contrada
Civita, nella località appunto definita Bagni,
che in passato era molto frequentata per l'uso curativo
delle acque.
SANTUARIO DI SAN MICHELE ARCANGELO
Uno dei centri di interesse che trova le sue origini
nel 1929 è il Santuario di San Michele situato
a 716 m di altitudine in contrada Montemauro, già
meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli delle zone
limitrofe in occasione dei festeggiamenti ricorrenti
il 29 settembre e l'8 maggio. L'afflusso di popolazione
è dovuto sia al profondo senso tradizionale
della religione e sia al senso mondano di trascorrere
delle ore liete in aperta campagna.
Storia del santuario di San
Michele
Nei racconti dei vecchi le notizie riguardanti la
fondazione del santuario di S. Michele sono velate
da un senso di venerazione misto a sacro terrore,
anche perché si riferiscono ad un passato piuttosto
recente. Infatti nei primi decenni del Novecento,
Montemauro presentava un paesaggio uniforme, spoglio
e desolato in una sinistra atmosfera di superstizione
magica. Tutti i contadini della zona, con la tenacia
tipica della gente irpina, dissodavano quel terreno
avaro di messi, ma pur sempre ricco di conchiglie
fossili, evitando accuratamente di avvicinarsi ad
un'enorme pietra detta "cantone del diavolo".
Tale denominazione era derivata dalla presenza sul
masso delle impronte di un pugno, di una mano e di
un cranio che i contadini attribuivano al diavolo,
in quanto, nelle notti di luna piena, spesso avevano
visto aggirarsi e soffermarsi in quel luogo strane
ed evanescenti figure che avevano messo in fuga persino
i cani. Attualmente su quell'enorme pietra parzialmente
interrata sono visibili piccole croci e strani simboli
non bene identificati. In questa contrada viveva con
la sua famiglia Zitola Francesco che conduceva la
sua vita lavorando i campi, nel pieno vigore della
sua integrità fisica. Ma un mattino del 1927
Zitola Francesco non si svegliò nel proprio
letto, bensì in un prato non molto distante
dalla sua abitazione. Il contadino rimase perplesso
per un po', poi ritornò al lavoro senza dare
alcuna importanza al fatto. A sera stanco per il duro
lavoro della giornata andò a dormire prima
del solito, ma il risveglio avvenne di nuovo su quel
prato e sulla via del ritorno, per tutto il percorso
notò sull'erba i segni di un corpo trascinato.
Incominciò a sospettare qualcosa che divenne
certezza, quando ritrovandosi il mattino seguente
per la terza volta nello stesso luogo, rinvenne escoriazioni
e lividure sulle braccia e sul volto nonché
macchie d'erba sugli indumenti.
Per tutta la giornata restò
in casa stremato nel fisico, per le notti trascorse
all'aperto e per il terrore di doverne trascorrere
altre, sia pur dormendo, trascinato per i campi da
esseri infernali.
Era ormai sera inoltrata ed
il contadino tormentato da paurosi pensieri guardava
dal suo letto, con occhi stralunati i riflessi della
luna piena che si stagliava alta nel cielo, con un
triste presentimento nel cuore. Si addormentò
molto tardi, ma subito si svegliò tra grida
agghiaccianti, mentre veniva trascinato per i piedi
nei campi da un essere demoniaco. Invano invocò
aiuto, poi svenne e fu trovato sanguinante dalla moglie
sull'uscio di casa.
La terribile esperienza ridusse
in fin di vita il poveretto, che con gli occhi lucidi
e febbricitanti implorava aiuto rivolto ad un'immagine
di San Michele che aveva sulla parete di fronte al
letto. All'improvviso l'immagine s'ingrandì
e San Michele apparve al contadino in tutto il suo
splendore, promettendogli una pronta guarigione e
la fine di tutti i suoi tormenti, se gli avesse eretto
una cappella. All'alba il contadino notò che
le ferite del suo corpo si erano rimarginate e che
era ritornato sano nel corpo e sereno nello spirito.
Ben presto si recò in paese dall'Abate Procaccini,
per raccontargli i prodigi cui era stato sottoposto,
ma l'Abate, attribuendo i fatti ad una forma di sonnambulismo
o all'abuso di bevande alcooliche, congedò
il contadino che invano mostrava le ferite cicatrizzate
e gli indumenti macchiati di verde. A tarda notte,
mentre il contadino dormiva tranquillo nel suo letto,
l'Abate vegliava per un'improvvisa inquietudine e
per la continuità sconcertante di strani rumori
che provenivano dalla finestra della sua stanza, tanto
che la spalancò e in piena notte gli apparve
Montemauro illuminato a giorno da fasci di luce smagliante.
Tale visione durò qualche minuto, ma bastò
all'Abate per convincersi sull'attendibilità
del racconto del contadino, che ottenne l'approvazione
delle autorità ecclesiastiche, per iniziare
la costruzione della cappella in onore di S. Michele
nel suo podere alle pendici di Montemauro. Il contadino
iniziò l'opera utilizzando le pietre del torrente
Fiumarella e per diversi giorni il muro di pietre
e malta che riusciva ad innalzare durante il giorno
veniva sistematicamente ridotto in polvere durante
la notte, finché gli apparve in sogno S. Michele
che espresse il desiderio di avere la cappella sulla
sommità della collina, dove fu subito eretta
dal contadino che comperò anche una statua
per il culto dei devoti. La cappella in seguito fu
ampliata per interessamento di tutti i cittadini sossiani
che trasportarono le pietre dai sottostanti torrenti.
Si racconta che la statua del Santo, ogni qual volta
veniva portata in processione, era accompagnata dallo
scatenarsi degli elementi della natura, per cui si
dovette utilizzare una seconda statua per le processioni.
Al culto di San Michele era legata anche la Scala
Santa, tipica costruzione in pietra contigua all'antica
cappella di recente restaurata.
FONTANA TRE CANNELLE
La fontana "Tre cannelle" sovrasta la piazza
fin dalla sua realizzazione nel 1612, commissionata
dell'allora Signore di Trevico, Ferdinando Loffredo,
ed è chiamata così per le tre cannelle
d'acqua contornate dalla riproduzione di altrettante
facce con espressioni differenti (sorriso, tristezza
e rabbia). Nella parte alta della fontana seicentesca
si trova una lapide, anch'essa suddivisibile in sezioni,
in cui vi è raffigurato lo stemma araldico
della famiglia Loffredo, l’effige del patrono
del paese San Sossio martire e una scritta in latino
dove si legge che San Sossio Martire protegge il borgo
dal cielo, che il feudatario Loffredo sarà
ricordato come beato nell'anno 1612 ed infine, si
invita il viaggiatore a fermarsi a bere l'acqua fresca
della fontana. Nella parte posteriore è presente
una grande vasca con la funzione di lavatoio.
CRUCINOVA
La Croce Nuova è situata in Via Piano e risale
al XVII secolo (fu costruita nel 1611 per volere di
Ferdinando de Loffredo). È una croce in pietra
posta su una colonna in parte lavorata a canali, alla
cui base presenta quattro belle sculture raffiguranti
angeli angolari scolpiti in rilievo. Su uno dei lati
è scolpita la figura di San Sossio martire
in piedi con le braccia aperte, su un altro lo stemma
dei Loffredo; mentre su un altro è presente
lo stemma del vescovo di Trevico. Si trova su un basamento
originario di 4 scalini in pianta quadrangolare e,
a sua volta, su un altro con 5 scalini frontali di
più recente realizzazione che la rende più
imponente.
CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA
MARIA ASSUNTA
La parrocchiale, in stile gotico, risale al Novecento
e venne inaugurata nell'agosto del 1933. La facciata
è adornata da un rosone centrale e da due statue
di Angeli, disposte in due nicchie in posizione simmetrica
rispetto al portale di ingresso sovrastato dalla figura
della Madonna in rilievo. Al suo fianco, in posizione
arretrata rispetto all'ingresso, si erge un'elevata
torre campanaria recante, sulla sommità, l'orologio
civico. La particolarità della struttura consta
nel fatto che in seguito ai danni subiti dal terremoto
del 23 luglio 1930 venne ricostruita con l'ingresso
disposto in direzione opposta all'impianto originario
della vecchia chiesa Abbatialis, realizzata nel periodo
classico cinquecentesco (secolo XVI). Infatti, come
la vicina ex chiesa del Purgatorio, prima del sisma
l'entrata era rivolta verso quello che era il centro
storico del paese: la Costa. Poi con la ricostruzione
e lo sviluppo urbanistico è stata invertita
la direzione dell'impianto verso la nuova Piazza Mercato.
Quest'ultima viene ancora definita come addrét
la chiesa (dietro la chiesa) nel dialetto locale per
rimarcare tale avvenimento.
MONUMENTO
AI CADUTI IN GUERRA
Il Monumento ai Caduti del comune di San Sossio Baronia
è sito in Piazza Mercato; si costituisce di
una statua in bronzo elevata su tre ripiani, i primi
due in mattoni e base in pietra e il terzo che accoglie
le lapidi commemorative in rame. La statua che chiude
la composizione rappresenta un soldato che sorregge
un commilitone colpito a morte
ORIGINI
E CENNI STORICI
L'acqua sorgiva, che scaturisce in abbondanza dalle
colline circostanti, sta alla base dell'origine stessa
del paese. Infatti, San Sossio Baronia era nell'alto
Medioevo la zona delle sorgenti comprese nei possedimenti
dei signori di Trevico.
I pastori con gli armenti scendevano per abbeverarli
in quella zona dove attualmente esistono tre grotte
scavate nell'argilla, di cui una al centro più
piccola, e che per la forma di presepe propria dell'insieme,
rispettivamente rappresentano le grotte di San Giuseppe,
della Madonna e del Bambino, zona comunemente detta
"Acqua della Madonna".
L'origine del paese è riferita al XIII secolo
e, secondo la tradizione intorno ad una sorgente presso
la chiesa parrocchiale. Questa, distrutta dal terremoto
del 1930, era stata costruita nel 1754. L'antica parrocchiale
era la chiesetta, ormai in rovina, dell'Annunziata,
la quale, anche se sul fonte dell'acqua benedetta
era incisa la data 1589, risale al XIII secolo.
San Sossio, come piccolo agglomerato urbano, viene
menzionato, per la prima volta, nel Catalogus Baronum
(catalogo dei Baroni) nel 1269 con la qualifica di
villa e più tardi, ingrandendo la sua struttura
urbana, viene segnalato nello stesso catalogo, con
la qualifica di casale. La datazione di origine del
paese riferita al secolo XIII è convalidata
da un rescritto di Carlo D'Angiò del 1299 che
parla di Vico (Trevico) con i suoi Casali (San Sossio
Baronia, San Nicola Baronia, Castel Baronia, Carife
ecc.), e maggiormente dalle "Rationes Decimarum
Italiae" nei secoli XIII e XIV nella parte relativa
alla Campania, ove risulta che i "Clerici S.
Sossi" per gli anni 1308-1314 dovevano pagare
la tassa annuale di "tarì uno e grana
12 e 1/2" al vescovo di Trevico e che più
tardi quando il paese si ingrandì maggiormente,
il clero locale doveva versare la tassa maggiorata
di "tarì 2 e grana 5".
Quest'ultima fonte in particolare induce a ritenere
che tale comunità alla data del 1308 aveva
già una sua piena e completa organizzazione,
tanto da essere chiamata a versare un tributo al fisco
diocesano, per cui la sua origine si può far
risalire quanto meno alla prima metà del Duecento.
Il nome San Sossio dato all'antico casale di Trevico,
trova nella leggenda la sua giustificazione. Infatti,
si narra che un asino, sul quale venivano trasportate
le reliquie di San Sossio martire (diacono di Miseno
martirizzato con San Gennaro, vescovo di Benevento,
a Pozzuoli al tempo dell'imperatore Diocleziano) destinate
ad un paese vicino, giunto in località ora
detta Sella Coppola (incrocio della strada statale
91 con le provinciali per San Sossio e Trevico), infilò
la strada che conduceva alle poche case esistenti
in fondo alla valle e non ci fu verso di fargli cambiare
direzione. Si gridò al miracolo: le reliquie
rimasero nella chiesetta dell'Annunziata e fu dato
il nome di San Sossio al paese.
La specificazione del nome, acquisita nel 1913 con
il Regio Decreto del 3 aprile 1913 n. 337, si riferisce
all'appartenenza dell'abitato alla Baronia di Vico.
Per la prima volta venne usato il termine "Baronia"
nel 1122 per indicare i possedimenti di Riccardo filius
Riccardi che divenne appunto barone di Trevico, Contra
e Flumeri.
San Sossio Baronia, seguì sempre le vicende
di Trevico, con cui condivise il giogo feudale dei
Consalvo di Cordova nel secolo XV e dei Loffredo fino
al 1806, anno della devoluzione dei diritti feudali
nell'Italia meridionale. Infatti, all'interno del
regno di Napoli, nell'anno 1343 San Sossio era ancora
un casale di Trevico quando tutta la Baronia fu donata
dalla regina Sancia a Raimondo del Balzo, barone di
Minervino. Nel 1454 l'insediamento urbano sossiano
fu elevato a rango di "terra" e, con questo
titolo, acquistò anche la sua autonomia amministrativa
pur restando unito a tutti gli altri paesi del feudo
trevicano. Tale unità durò fino al 1515
quando Elvira, figlia del Gran Capitano Gonzalo Fernández
de Córdoba (il quale ricevette il feudo nel
1507 da re Ferdinando il Cattolico dopo la vittoriosa
battaglia di Cerignola, che aveva visto la sconfitta
dell'esercito francese contro quello spagnolo), vendette
la città di Vico e le terre di San Sossio e
di Zungoli a Francesco Loffredo, protonotaro del regno.
Quando questi morì nel 1547 San Sossio passò
al figlio Ferdinando. Con i Loffredo si chiude il
lunghissimo periodo di servitù da parte delle
"terre" aggiogate al feudo di Vico e inizia
un nuovo processo autonomo, economico ed evolutivo.
I sossiani durante il feudalesimo godettero sempre
di una certa autonomia. A tal riguardo si racconta
di una vecchietta la quale, intorno al 1500, al feudatario
che, dopo essersi dissetato ed aver decantato la freschezza
della limpida fonte, voleva gravarla di una tassa,
rispose: «l'acqua è fresca, Eccellenza,
ma le nostre teste sono calde» ed il signorotto
si guardò bene dall'applicare la tassa. Avrà
forse avuto origine da questo lo stemma del comune:
tre getti d'acqua che scaturiscono dalla cima di una
collina sormontata da tre stelle a cinque punte.
Nel 1612, grazie a Ferdinando Loffredo, alla sorgente
più feconda fu dato un aspetto più dignitoso
nella fontana che ora appare maestosa nella sua semplicità
architettonica e nel bassorilievo con lo stemma del
nobile casato dei Loffredo e con l'immagine del santo
patrono. Ne dà ampia testimonianza l'iscrizione
della lapide seicentesca:
Soxius huc populu custodit ab aetere, Martir, hoc
loffreda domus; stabit in orbe pius, A.D. 1612, praetereundo
cave sitiens properare, viator, fistula dulce fluit
cogiaciatis aquae (II Martire Sossio protegge questo
popolo dal cielo. In paese don Loffredo sarà
ricordato come Pio nell'anno del Signore 1612. O viandante
assetato guardati dall'affrettarti nell'andar via!
Un condotto di acqua ghiacciata scorre dolcemente).
Nell'Ottocento, dopo la cessazione dei vincoli feudali,
il comune ha fatto parte del circondario di Castelbaronia
ricadente nel distretto di Ariano nell'ambito del
Principato Ultra all'interno del regno delle Due Sicilie.
In epoca postunitaria San Sossio ha fatto parte del
mandamento di Castelbaronia nell'ambito del circondario
di Ariano di Puglia all'interno della provincia di
Avellino.
Il paese inoltre partecipò attivamente ai moti
rivoluzionari; saputo che Garibaldi marciava verso
Napoli, dopo aver sgominato in Sicilia l'esercito
borbonico, il popolo sossiano assalì il municipio
e ridusse in frantumi il busto di Ferdinando II. Caduta
Gaeta il 29 febbraio 1861, Francesco II si rifugiò
prima a Roma poi ad Albano agevolando così
il sorgere di bande armate costituite dai suoi partigiani.
Questo movimento legittimista ben presto degenerò
in brigantaggio. Le bande di briganti del periodo
erano composte principalmente da persone di umile
estrazione sociale (soprattutto contadini), ex soldati
dell'esercito del regno delle Due Sicilie ed ex appartenenti
all'esercito meridionale, e vi erano anche banditi
comuni, oltre che briganti già attivi come
tali sotto il precedente governo borbonico. La loro
rivolta fu incoraggiata e sostenuta dal governo borbonico
in esilio, dal clero e da movimenti esteri come i
carlisti spagnoli. I briganti scorrazzavano nelle
contrade delle aree interne protetti dalle fitte boscaglie.
Furono repressi dall'esercito del Regno d'Italia attraverso
la legge Pica. In questo territorio imperava la banda
del brigante Giuseppe Schiavone, luogotenente di Carmine
Crocco di Rionero in Vulture, assieme all'inseparabile
compagna, Filomena Pennacchio, nata a San Sossio il
6 novembre 1841, che in una incursione sull'abitato
recise le quattro teste di angeli scolpiti in altorilievo
agli angoli del basamento di una croce di pietra del
1611.
Tale croce recentemente restaurata è il vanto
del paese e fa da sfondo ad una delle vie più
importanti.