Tursi
Basilicata

 
      

Tursi è un comune della provincia di Matera in Basilicata. Vi ha sede la Comunità Montana Basso Sinni. Il 4 maggio 2006 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha insignito il comune di Tursi del titolo onorifico di Città. Centro medievale (circa V secolo) a 243 m s.l.m., nato originariamente attorno al castello e successivamente sviluppatosi nella vallata sottostante assumendo una singolare forma allungata. Il punto più alto del centro abitato è costituito proprio dal castello con un'altitudine di 346 m s.l.m.. La piazza Maria SS. di Anglona, posizionata a valle del centro storico ha un'altitudine di 210 m s.l.m.. Il centro abitato è diviso per gran parte dal torrente Pescogrosso, che prende il nome dagli enormi massi ritrovati lungo il suo corso e sfocia come affluente nel fiume Sinni. Tursi dista poco meno di 20 km dalla costiera jonica, anche se nei pressi della frazione Panevino, che costituisce il confine est del territorio tursitano, il mare dista solamente 6 km. Il territorio tursitano confina a nord col fiume Agri e con il comune di Montalbano Jonico, ad est con il comune di Policoro, a sud con il fiume Sinni e i territori di Rotondella, mentre ad ovest con i territori di Sant'Arcangelo, Colobraro e Stigliano. Di prevalenza collinare è ubicato al centro dei due grandi fiumi della Lucania, l'Agri e il Sinni, che all'epoca della costruzione della città erano navigabili. Attualmente i corsi dei fiumi sono interrotti da due grosse dighe artificiali, il bacino artificiale di Gannano nei pressi della frazione Caprarico, interrompe il corso del fiume Agri e la diga di Monte Cotugno, il più grande bacino artificiale in terra battuta d'Europa, nei pressi di Senise, interrompe il corso del fiume Sinni. I due fiumi sono costeggiati da due delle strade principali della Basilicata e che da loro prendono il nome. La Strada Statale 598 Val d'Agri costeggia l'Agri e la Strada Statale 653 Sinnica costeggia il Sinni. Il terreno circostante è di origine argillosa, un notevole impatto paesaggistico è da attribuire ai calanchi che con l'erosione del tempo hanno assunto forme davvero bizzarre.

MANIFESTAZIONI
La sera del 18 marzo è tradizione bruciare le frasche, raccolte tra i campi durante le potature, creando così grandi falò. La gente del luogo chiama l'evento u umnnàrie riferito al Falò di San Giuseppe. Tra i rioni c'è una sorta di competizione nella preparazione dell'evento, facendo una vera e propria gara su chi ha la migliore organizzazione. I cittadini si soffermano attorno al fuoco dove viene arrostita della carne e si balla a suon di tarantelle, suonate dal vivo da cittadini d'eccezione. Durante la serata si svolge anche la Festa della Focaccia. L'evento è molto antico e si svolge nella notte tra il 18 e il 19 marzo, giorno della festività di San Giuseppe nonché Festa del Papà. Con questo rito antichissimo si ricorda la sacra coppia di giovani sposi (San Giuseppe e la Madonna), in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, che si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto.
Un'antica leggenda narra di un giovane pastorello che, mentre pascolava il suo gregge sulla sommità della collina Variante, a metà strada tra Tursi ed Anglona, vide avvicinarsi una bellissima Signora, che gli chiese di recarsi in paese, per invitare gli abitanti del luogo ad andarLa a prendere. La gente prima incredula, poi sempre più curiosa si dirige sulla sommità della collina dove ritrova la statua della Madonna e la riporta nel suo santuario. Da allora tutti gli anni, l'ultima domenica di aprile, la Madonna viene portata a spalle per un percorso di oltre 10 km, dal santuario di Anglona alla cattedrale dell'Annunziata di Tursi.
Nel periodo pasquale è usanza allestire in chiesa il santo sepolcro, portando il sabucco, piccoli piatti e cestini con germogli di grano. La preparazione di questi cestini è abbastanza lunga, infatti durante il periodo di quaresima si pongono dei semi di grano in uno piccolo strato di terriccio o di cotone umido. Il cestino è conservato in un luogo buio ed umido in modo da consentire la crescita dei germogli in maniera lineare.
Il 13 giugno il giorno della festa di Sant'Antonio da Padova è tradizione recarsi a messa con un cestino pieno di panini. Durante la celebrazione i panini vengono benedetti dal vescovo e successivamente, tra le strade della città vengono donati alla gente meno abbiente.
Il 13 dicembre, in occasione della festività di Santa Lucia, è uso locale cuocere il grano in pignatte di terracotta e mangiarlo, il giorno seguente, assieme a tutta la famiglia, con zucchero e cacao o fritto con peperoncino e cipolla.
Il 2 febbraio giorno della candelora si usava benedire delle candele e conservarle sul capezzale del letto, per accenderle durante un temporale o quando un parente stava per esalare l'ultimo respiro. Ormai questa tradizione è quasi caduta in disuso.
Anche il carnevale è ricco di tradizioni, alcune ormai cadute in disuso, infatti in passato si usava portare le serenate in casa degli amici o sotto la finestra della morosa, al suono del cup cup. I ragazzi si vestono in maschera e girano il paese raccogliendo regalini. Tra le vie del paese scorre la classica sfilata dei carri che si conclude bruciandoli in piazza alla morte di carnevale.

IL CASTELLO
Costruito dai Goti attorno al V secolo per difesa del territorio è situato a 346 m s.l.m. Ad oggi sono solo rimasti i resti di quello che fu un castello gotico, alcune parti però, come i cunicoli sotterranei, sono rimasti intatti fino all'inizio del Novecento. Recenti scavi archeologici hanno portato alla luce, scheletri, tombe, monete, frammenti di anfore e palle ogivali di piombo recanti la scritte EIETHIDE (greca) e APNIA (latina), queste opere sono attualmente esposte nel Museo archeologico nazionale della Siritide di Policoro. Da atti del 1553, tra la città di Tursi e il marchese Galeazzo Pinelli, si scopre che il castello è stato abitato fino al XVI secolo. Il castello misurava 400 palmi di lunghezza e 200 di larghezza, con una superficie di 20 000 palmi quadrati, tra cui 15 000 adibiti a giardino, cantine e cisterne, mentre i restanti 5 000 per una comoda abitazione. Era costruito su due piani e aveva due torri cilindriche a tre piani. Dentro le mura di cinta erano presenti un giardino, delle cantine, alcune cisterne e comode abitazioni per i baroni; l'ingresso era regolato da un ponte levatoio. Fu dimora di numerosi signori, principi e marchesi, ma durante i periodi di guerra diventava una vera e propria fortezza. Un'antica tradizione crede all'esistenza di un cunicolo tra la chiesa di Santa Maria Maggiore nel rione Rabatana e il castello, che doveva consentire ai signori di recarsi in chiesa indisturbati.

DA VEDERE
La cattedrale dell'Annunziata: è situata nel centro della città in piazza Maria Santissima di Anglona. Dedicata alla Vergine Annunziata è stata eretta nel XV secolo ampliando una chiesa preesistente che tuttora costituisce la sacrestia. Nel 1546 fu elevata a cattedrale della diocesi di Tursi-Lagonegro. Nella seconda metà del XVII secolo venne fatta ampliare prima da mons. Domenico Sabbatino e poi da mons. Ettore Quarti. La cattedrale è un imponente monumento a tre navate a croce latina, connessa di sacrestia e casa canonica. Sul soffitto della sacrestia si poteva ammirare il martirio di San Matteo, pittura del XVIII secolo attribuita a Matteo De Matteis. Di pregevole fattura e di inestimabile valore era l'organo a canne posto sull'altare maggiore, venne installato nel 1728 per ordine di mons. Quarti, che andò distrutto durante l'incendio dell'8 novembre 1988, assieme a molte altre opere di valore storico e artistico. Poche settimane prima dell'incendio, il 30 ottobre 1988, la cattedrale accolse la visita del cardinale Michele Giordano. Il 25 marzo 2000 venne riaperta nuovamente al culto, dopo gli incendi che la distrussero nel 1988.
Il santuario di Santa Maria Regina di Anglona: è un antico santuario mariano, si trova su di un colle a 263 m s.l.m., nella frazione di Anglona, tra i fiumi Agri e Sinni, a metà strada tra Tursi e Policoro. Nel 1976 divenne sede titolare della diocesi di Tursi-Lagonegro. Dal 1931 è monumento nazionale. Il 17 maggio 1999 il santuario è stato elevato a basilica minore da papa Giovanni Paolo II, a ricordo del sinodo dei vescovi.
La chiesa di San Filippo Neri: la chiesa è dedicata al santo patrono della città, san Filippo Neri, la cui festa ricorre il 26 maggio. È situata nel rione San Filippo del centro storico e più precisamente in Piazza Plebiscito. La chiesa è datata 1661, di stile barocco, ha tre navate e conserva pregevoli opere, pitture dell'artista tursitano Francesco Oliva, tra cui un quadro del Santo. San Filippo Neri fu acclamato protettore di Tursi durante il Seicento, mentre nella città imperversava la peste e il colera[38]. Negli stessi anni, a metà del XVII secolo venne costruito anche l'oratorio di San Filippo Neri. È una costruzione solida e imponente, si sviluppa su tre livelli ed è costituita da ampi locali, situata nella zona detta pizzo delle monachelle in cima al rione Petto. Nell'Ottocento l'oratorio ebbe una notevole importanza spirituale e culturale grazie alla presenza dei frati missionari di San Vincenzo de Paoli.
La chiesa di San Michele Arcangelo: è situata nel rione San Michele, in pieno centro storico. Risale al X secolo e probabilmente è la più antica chiesa di Tursi. La chiesetta, dedicata a San Michele Arcangelo, ha ospitato il sinodo dei vescovi nel 1060. Le pareti interne erano addobbate con quadri e sculture di Antonio Cestone. Fino all'8 agosto 1545 ricoprì il ruolo di cattedrale, che da quella data passò alla Cattedrale dell'Annunziata.
La chiesa della Madonna delle Grazie: si trova nei pressi di via Eraclea, ai piedi del centro storico. È stata costruita tra il XVII e il XVIII secolo. La chiesetta, di stile barocco, è dedicata alla Madonna delle Grazie. Presenta un ampio frontale, con tre porte d'ingresso, sormontato da una monofora campanaria. Nel 1983 è stata restaurata dalla Comunità Montana Basso Sinni, ed arredata con contributi cittadini. Dietro l'altare, si conserva un'antica statua di legno della Madonna col Bambino risalente al settecento e restaurata nel 1983. Il 13 dicembre, per tradizione, i cittadini si recano alla chiesetta portando doni e voti alla statua di Santa Lucia.
La chiesa di Santa Maria Maggiore è situata in Rabatana. Costruita nel IX - X secolo ad opera dei monaci basiliani. Il 26 marzo 1546 la bolla del pontefice Paolo III eleva la chiesa a collegiata. Durante gli anni cinquanta la chiesa ha subito dei lavori di ristrutturazione che ne hanno modificato le originarie strutture cinquecentesche. Ultimamente la chiesa è stata riportata agli antichi splendori grazie ad un restauro che ha ovviato quasi totalmente ai danni recati alle strutture cinquecentesche durante la ristrutturazione degli anni cinquanta. Dopo l'ultimo restauro risultano in ottimo stato il portone del XV secolo e una acquasantiera in pietra del 1518. Nei sotterranei della chiesa è situata una cripta anch'essa risalente al IX - X secolo, probabilmente era l'antico oratorio basiliano. In essa si possono ammirare un incantevole presepe in pietra, scolpito attorno al 1550 dallo scultore Altobello Persio e dal pittore Giovanni Sabatani, un sarcofago in pietra con uno stemma raffigurante San Giorgio, un crocifisso ligneo datato XV - XVI secolo e numerosi affreschi. Nella cripta è inoltre preservato un trittico della scuola napoletana di Giotto risalente al XIII secolo.
La chiesa del Sacro Cuore di Gesù: è situata nel rione Sant'Anna. È una chiesa moderna costruita in tempi record per sopperire al vuoto lasciato dalla cattedrale dopo l'incendio che la coinvolse. Nell'abitato nuovo di Tursi, non era presente una chiesa abbastanza capiente da ospitare tutti i fedeli di quei rioni. Il santuario di Anglona dista circa 10 km dal centro città, mentre le restanti chiese sono tutte di capienza media ed ubicate nel centro storico. Con la riapertura della cattedrale, la chiesa del Sacro Cuore viene utilizzata principalmente per il ritrovo di catechisti, per le prove del coro polifonico e per alcuni riti ed eventi.
Il palazzo del barone Brancalasso, semplicemente chiamato Palazzo del Barone è situato al centro di piazza Plebiscito, nel rione San Filippo, la sua costruzione è velata da un pizzico di mistero. Un'antica leggenda narra che il palazzo fu costruito in una sola notte da demoni e spiriti degli inferi, i quali, non potendo far ritorno in tempo nel loro regno, si materializzarono alle luci dell'alba sul tetto dell'edificio sotto forma di statue. In realtà in una notte venne delimitato il perimetro del palazzo alla cui costruzione si opponevano i proprietari dei fondi vicini. Le tre statue posizionate su di esso simboleggiano la giustizia, la pace e la carità.
Il palazzo Latronico è situato in pieno centro storico, nel rione San Michele, è probabilmente il più grande palazzo di Tursi ed è dotato di un ampio atrio con gradinata interna in pietra e di una caratteristica torre del belvedere. Il palazzo è stato abitato dalla famiglia Latronico fino agli anni sessanta.
La casa di Albino Pierro è sita nel centro storico nel rione San Michele. La casa è stata denominata dal poeta, nelle sue poesie, ‘U Paazze. È una costruzione composta da un seminterrato e due piani in elevazione da dove vi si accede. La casa gode di un incantevole panorama, sul torrente Pescogrosso, sul convento di San Francesco e sui dirupi del rione Rabatana, molto probabilmente tutti luoghi di grande ispirazione per il poeta. Dopo la morte di Pierro, la casa è stata ristrutturata e adibita, ai piani superiori, a Biblioteca Pierro dove vengono custoditi molti libri utilizzati dal poeta, in vita, e molte sue opere originali. Questo palazzo è meta di turisti e studiosi provenienti da ogni parte del mondo. La targa marmorea installata dal comune dopo la morte del poeta riporta una citazione tratta dall'epigafre dell'opera Ci uéra turnè.

ORIGINI E CENNI STORICI
Scavi archeologici eseguiti in Basilicata, nei pressi di Anglona e nei pressi di Policoro, hanno riportato alla luce innumerevoli opere attualmente custodite nel Museo archeologico nazionale della Siritide, accertando l'esistenza di insediamenti risalenti al 3000 a.C. Gli abitanti di queste zone erano denominati Enotri, in particolare però gli abitanti della zona compresa tra i fiumi Sinni ed Agri, venivano chiamati Coni. A partire dall'VIII secolo a.C., sulla costa ionica, per mano dei Greci provenienti dalla Ionia, furono fondate le città di Siris, Heraclea, Metaponto e Pandosia. Siris si ritiene fondata all'inizio del VII secolo a.C. dai popoli dell'Epiro, distrutta da Sibari e Crotone nel VI secolo a.C., dalle sue rovine sorse Heraclea tra il 443 a.C. e il 430 a.C. Nel IX secolo la città viene menzionata col nome di Polychorium e nel 1126 in un atto di donazione al monastero di Carbone, compare l'attuale nome Policoro. Pandosia, che confinava con Heraclea, è considerata la più antica città pagana della Siritide. Fondata degli Enotri prima del 1000 a.C., fu molto ricca e importante grazie alla fertilità del terreno e alla posizione strategica. I due grossi fiumi lucani, l'Agri e il Sinni, a quel tempo navigabili e l'antica via Herculea che da Heraclea risaliva per più di 60 km la valle dell'Agri fino alla città romana di Grumentum, agevolavano le comunicazioni e quindi una rapida espansione della città. Nel 326 a.C., in una battaglia contro il popolo dei lucani, venne ucciso Alessandro il Molosso, re dell'Epiro e zio di Alessandro Magno. Nel 281 a.C. fu campo di battaglia tra i Romani e Pirro re dell'Epiro, che corso in aiuto dei tarentini si accampò tra Heraclea e Pandosia. Quest'ultimo, durante la battaglia, usò un gran numero di elefanti, vincendo la battaglia di Heraclea, ma con un numero di perdite altissimo. Nel 214 a.C. fu teatro di un'ennesima battaglia nel corso della seconda guerra punica tra i Romani e Annibale, re dei Cartaginesi, per conquistare il dominio sul mediterraneo. Pandosia venne distrutta tra l'81 a.C. e il 72 a.C. ad opera di Lucio Cornelio Silla generale romano. Dalle rovine di Pandosia sorse, poco prima dell'era cristiana, Anglona cittadina assai fiorente. Nel 410 i Visigoti di Alarico I saccheggiarono e semidistrussero Anglona. Per controllare il territorio circostante costruirono un castello su una collina a metà strada tra i fiumi Agri e Sinni. Gli abitanti sopravvissuti della città di Anglona si rifugiarono attorno al castello dando origine alla Rabatana, primo borgo popolato di Tursi. Nel IX secolo, attorno al 826, ci fu un'incursione dei Saraceni, provenienti dall'Africa. Nel 850 gli stessi riuscirono a conquistare gran parte della pianura metapontina, compreso la Rabatana. Abitarono il nascente borgo, lo ingrandirono e furono proprio loro a dargli il nome, a ricordo del loro borgo arabo Rabhàdi. L'impronta saracena è molto presente nelle costruzioni, negli usi e costumi della Rabatana. Nel 890 i Bizantini riconquistarono i territori che una volta appartenevano all'Impero Romano d'Occidente, scacciando definitivamente l'impronta araba dalle terre lucane. Sotto i Bizantini ci fu uno sviluppo notevole, sia demografico che edilizio e il borgo cominciò ad estendersi verso la valle sottostante, l'intero centro venne chiamato Tursikon, dal suo fondatore Turcico. Verso la fine del X secolo l'imperatore Basilio I costituisce prima il thema di Langobardia e il thema di Calabria e successivamente, nel 968 venne creato anche il thema di Lucania che aveva come capoluogo Tursikon negli stessi anni divenne anche sede della diocesi con cattedra vescovile presso la chiesa di san Michele Arcangelo dove nel 1060 si svolse il sinodo dei vescovi. Dopo l'anno Mille una grossa migrazione dei Normanni, nelle vesti di pellegrini diretti verso luoghi sacri della cristianità, o nelle vesti di mercenari pronti a combattere per un pezzo di terra, giunse ben presto nel sud Italia. Fu facile inserirsi nelle lotte interne tra Longobardi e Bizantini, ottenendo ben presto terre e benefici. I Normanni contribuirono notevolmente alla crescita della città, proprio come fecero successivamente prima gli Svevi e poi gli Angioini. Dopo la definitiva distruzione di Anglona, venne risparmiato solo il santuario, nel 1400 i restanti cittadini si rifugiarono nella fiorente Tursi. Nel XVI secolo Tursi contava ormai oltre 10.000 abitanti e 40 dottori in legge e nel 1543 vennero unite la diocesi di Anglona e quella di Tursi costituendo la diocesi di Anglona-Tursi, che dal 1546 ebbe cattedra a Tursi. Nel 1552 Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero assegnò all'ammiraglio e statista Andrea Doria il Principato di Melfi. Alla sua morte, nel 1560 il titolo passò al nipote, il principe di Melfi Gianandrea Doria. Successivamente, nel 1594, Carlo Doria divenne duca di Tursi e per gratitudine verso i cittadini rinominò la sua abitazione da Palazzo Doria a Palazzo Tursi, attualmente sede del comune di Genova. In quegli anni Carlo Doria fece costruire, a sue spese, nel rione Rabatana una enorme scalinata in pietra, tuttora utilizzata, che ha la particolarità di possedere lo stesso numero di gradini della scalinata presente nel Palazzo Tursi. Nel 1656 la peste invase le strade di Tursi e quelle dei paesi limitrofi, la popolazione si ridusse drasticamente anche a causa dell'emigrazione. Nel 1769 i Doria persero i terreni che furono acquistati dalle nobili famiglie dei Donnaperna, Picolla, Panevino, Camerino e Brancalasso.

DATI RIEPILOGATIVI

In aggiornamento

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