Salandra
è un comune della provincia di Matera in Basilicata.
Il centro abitato sorge su una collina a 598 m s.l.m.
nella parte nord-occidentale della provincia in posizione
dominante la valle del torrente Salandrella, che costituisce
il corso iniziale del fiume Cavone. Il versante che
si affaccia sulla valle della Salandrella è
caratterizzato da strapiombi e dai caratteristici
calanchi argillosi, mentre invece il versante opposto
del territorio comunale, quello che si affaccia sul
torrente Gruso, è ricoperto da boschi di querce,
che si estendono per oltre 1000 ettari, uliveti e
frutteti. Confina a nord con i comuni di Grottole
(18 km) e Grassano (22 km), ad est con Ferrandina
(18 km), a sud-ovest con San Mauro Forte (14 km) e
ad ovest con Garaguso (11 km). Dista 54 km da Matera
e 69 km da Potenza. A tre chilometri dal centro abitato
si trova una frazione di Salandra denominata Montagnola.
ETIMOLOGIA
Calandria o Salandria in latino.
DA
VEDERE
Il Convento dei Padri Riformati (o di San Francesco):
attualmente sede del municipio, fu edificato a partire
dal 1573 per volere di Francesco Revertera, signore
di Salandra, e la sua costruzione fu sostenuta anche
da numerose offerte da parte della popolazione. Il
convento, dedicato inizialmente a Sant'Antonio e poi
a San Francesco, comprendeva un seminario e fu a lungo
sede di Università di Teologia. Vi fu educato
anche padre Serafino da Salandra, definitore della
provincia di Basilicata e custode dell'ordine dei
Riformati, nonché poeta.
La chiesa di Sant'Antonio, annessa al convento. È
caratterizzata da un elegante portale settecentesco
abbellito da sculture raffiguranti due leoni in stile
romanico. Al suo interno vi sono numerose opere di
interesse artistico, tra cui un Polittico di Simone
da Firenze del 1530 raffigurante l'Annunciazione,
un altro Polittico del 1580 opera di Antonio Stabile
ed una lunetta raffigurante la Madonna col Bambino
opera di Pietro Antonio Ferro, il pregevole organo
della cantoria datato 1570, uno dei più antichi
tra quelli funzionanti in Italia, un altare del XVII
secolo, numerose tele tra cui l'Ultima Cena, Madonna
con bambino, S. Antuono, S. Francesco, S. Gennaro,
S. Giovanni Battista, S. Giovanni da Capestrano, S.
Leonardo, S. Nicola, S. Rosa, S. Vescovo e S. Vito,
tutte attribuite a Domenico Guarino, e statue del
XVI e XVII secolo.
La chiesa Madre: intitolata alla Santissima Trinità,
fu edificata tra l'XI ed il XII secolo; fu quasi completamente
distrutta dal terremoto del 1857 e ricostruita. La
chiesa ha un piccolo campanile con tre campane e l'interno
è ad una navata.
La chiesa della Madonna del Monte: si trova a 7 km
dal paese sulla strada che porta alla stazione ferroviaria
ed alla Basentana. La chiesetta sorge nel luogo dove
la leggenda narra che un pastore, mentre abbatteva
un albero, vide al suo interno l'immagine della Madonna.
La cappella è stata ingrandita alla fine dell'ottocento,
e l'immagine della Vergine è custodita nella
nicchia dell'altare. La festa si celebra l'ultima
domenica di maggio.
Il Castello, risalente al XII secolo, è situato
nell'antico nucleo medioevale che si trova nella parte
alta del paese. Oggi sono visibili i suoi ruderi,
ed in particolare due arcate e pochi resti delle mura.
ORIGINI
E CENNI STORICI
Relativamente all'origine del nome vi sono due ipotesi;
secondo la prima deriva dal greco Thalassa andros,
nome composto che significa mare-uomini, e quindi
dalla colonizzazione della Magna Grecia. La seconda
ipotesi fa invece riferimento al dio greco Acheloo,
divinità fluviale da cui prese il nome la Salandrella,
l'antico Acalandro citato da Plinio il Vecchio nella
sua Naturalis historia; il toponimo Salandra potrebbe
quindi derivare da Acheloo Andros, cioè uomini
dell'Acheloo.
Il suo territorio fu abitato dagli Enotri sin dall'VIII
secolo a.C., come testimoniato dai resti di un antico
villaggio in località Monte Sant'Angelo. L'odierno
abitato risale invece all'epoca normanna; le prime
notizie ufficiali su Salandra si ritrovano in una
bolla papale del 1060. Nel 1119 la contessa Emma di
Sicilia, moglie di Rodolfo di Montescaglioso e figlia
di Ruggero d'Altavilla, concesse in dono il feudo
di Salandra all'Abbazia benedettina di San Michele
Arcangelo di Montescaglioso. Successivamente in epoca
sveva Salandra fu proprietà del barone Gilberto
da Salandra, mentre in epoca angioina passò
alla famiglia Sangineto. Nel 1381, in seguito al matrimonio
di Margherita di Sangineto con Venceslao Sanseverino,
il feudo passò ai Sanseverino, conti di Tricarico.
Nel 1485 Antonello Sanseverino, principe di Salerno
e capo della Congiura dei Baroni, fu privato di tutti
i suoi feudi dal re Ferdinando I di Napoli; il feudo
di Salandra fu così venduto e ricomprato più
volte negli anni successivi.
Nel 1544 Salandra fu acquistata definitivamente da
Francesco Revertera, luogotenente della Regia Camera
della Sommaria; i Revertera, diventati duchi di Salandra
dal 1614, ne restarono proprietari fino al 1805. Nel
1656 il paese fu colpito dalla peste, ed a seguito
di quella calamità fu proclamato patrono San
Rocco, il santo taumaturgo. Nel 1799 partecipò
attivamente ai moti per la Repubblica Partenopea con
l'innalzamento dell'albero della libertà. Successivamente
fu duramente colpita dal terremoto del 1857 che sconvolse
la Basilicata. Nel 1861, durante il brigantaggio,
Salandra fu assaltata dai briganti capeggiati da Crocco
e da Borjes: anche se protetto dalla guardia nazionale,
il paese fu invaso dai briganti in quanto il popolo,
ostile ai signori, aprì un varco ai briganti
consentendo loro di entrare nell'abitato. Infatti
il paese, difeso dalla Guardia Nazionale, fu attaccato
il 6 novembre 1861 dalle masse di Crocco che nelle
sue memorie. riporta: “Il paese è asserragliato;
la guardia mobile e la guardia nazionale forti di
200 fucili hanno occupato il castello feudale e dall'alto
della piccola rocca fanno una resistenza validissima.
Abbiamo dalla nostra qualche morto e diversi feriti,….;
ma il popolino è ostile ai signori e dall’interno
del chiuso paese mormora e minaccia. Ci viene aperto
il passaggio e noi avanziamo in città distruggendo
e devastando. I difensori del castello sono nostri
prigionieri, qualcuno è malmenato, qualche
altro ucciso, i più sono salvi. Il saccheggio
e l'incendio durano tutta la notte; i morti sono parecchi,
qualcuno è trovato carbonizzato tra le fumanti
macerie”. Ulteriori particolari sull’attacco
al paese sono riportati nel diario del Borjès
che attribuisce il merito della conquista alla propria
azione di comando.