Maschito
Basilicata

 
      

Maschito (Mashqiti in albanese) è un comune in provincia di Potenza e occupa una superficie di 45,49 km². Insieme a Barile, Ginestra, San Costantino Albanese e San Paolo Albanese, è un paese arbëreshë della Basilicata. L'economia è basata prevalentemente sull'agricoltura. Tra le coltivazioni più importanti, oltre ad ulivo e grano, spicca quella della vite, in cui eccelle l'Aglianico DOC. Sul territorio sono presenti una piccola fabbrica tessile e vari laboratori artigianali (lavorazione del legno, del ferro, del vetro e della ceramica). Il settore turistico è in leggera crescita in quanto stanno nascendo bed and breakfast, supportate dalle varie strutture ricreative. Buona parte della popolazione è occupata nell'industria FIAT di San Nicola di Melfi, ma l'emigrazione dei giovani verso le città, legata a motivo di studio o lavoro, costituisce uno dei problemi del paese.

DA VEDERE
Il paese è sviluppato in una parte centrale e più antica (il centro storico), risalente alla fine del 1500 e nella periferia, sviluppatasi nel secondo dopoguerra. I monumenti più importanti sono le tre chiese, i palazzi signorili e la fontana Skanderbeg. Numerose erano le chiese erette a Maschito, anche di rito bizantino e con liturgia professata in lingua greca sino al XVII secolo. Originariamente una quindicina, ne sono sopravvissute al tempo ed al degrado solo tre: la Chiesa Madre di Sant'Elia Profeta, quella del Purgatorio, e quella della Madonna del Caroseno. Le chiese sicuramente esistite e scomparse sono: la chiesa di S. Venere, la chiesa della Vergine di Costantinopoli, la chiesa di S. Basilio, la chiesa di S. Domenico, la chiesa di S. Nicola, la chiesa di S. Rocco e la chiesa della Madonna delle Fonti. Il rito bizantino fu professato a Maschito sino al 1628 quando il domenicano Diodato Scaglia della Diocesi di Melfi, con Bolla episcopale, lo proibì prima nelle comunità greco-albanofone di Maschito e di Ginestra e, molto più tardi, anche a Barile. Il rito bizantino resiste ancora in Basilicata, a San Paolo e a San Costantino Albanese. Ancora la devozione per Sant'Elia Profeta, di chiara ed inconfutabile matrice orientale, legano Maschito all'etnia dei suoi antenati.

La chiesa del Caroseno
Fu costruita dai Greci Albanesi di Corone, rinomata per un pregevolissimo affresco della Madonna del 1558, (Madonna col Bambino) riportato alla luce nel 1930 durante i lavori di restauro della chiesa, e per due grandi quadri relativi alla Pentecoste e alla Presentazione di Gesù al Tempio entrambi risalenti alla fine del '700.

La chiesa del purgatorio o della Madonna del Rosario
Conserva un artistico quadro della Madonna di Costantinopoli tratto dall'omonima cappella, andata in rovina. Della chiesa oggi dedicata alla Vergine del Rosario di Pompei s'ignora la data di costruzione: si ritiene, però, che questa risalga ai primi anni della fondazione di Maschito e possiede le reliquie di Fratello Rosario Adduca, un servo di Dio originario di Maschito.

La chiesa di Sant'Elia
Ha un'unica navata, decorata in stucco. Contiene due tele ad olio del '500, e il quadro della "Madonna dei sette veli", ritenuto miracoloso e perciò assai venerato. Edificata nel 1698 ad opera degli albanesi ivi residenti.

EDIFICI STORICI
Palazzo Barbano Dinella costruito nel 1734.
Palazzo Manes Rossi costruito nel 1820.
Palazzo Adduca, Palazzo Giura e Palazzo Cariati hanno un portale classicheggiante a colonne doriche.
Palazzo Dinella dal grazioso cadiglio sul portale con scritta "Parva sed apta mea".
Palazzo Tufaroli.
Palazzo Nardozza dall'imposta leccese - rococò.
Palazzo Colella.
Casa Soranna costruita nel 1646. Si presume sia la prima casa costruita dagli albanesi insediatisi a Maschito.

FONTANE
Fontane e fontanili esterni su slarghi e piazzole erano considerati luoghi pubblici e di piacevole conversazione. Le abitazioni, infatti, non disponevano di acqua potabile. Per le esigenze di cucina e familiari, le donne andavano a prendere l'acqua nelle fontane servendosi di brocche. Una fontana pubblica era un luogo importante per la soddisfazione delle esigenze delle famiglie. Ed era in uso erigere fontane monumentali ad onore e gloria dei capi delle comunità amministrate. Nel 1879 - come attesta la lapide ricostruita dal Comune - fu eretta, ad opera dei cittadini e con l'aiuto del Comune (retto all'epoca da Domenico Rafti), la Fontana Skanderbeg.

Le altre fontane presenti sul territorio sono:

Fontana Carrozz, situata in via Venosa;
Fontana Boico, situata in via Venosa;
Fontana della Noce, situata nella Contrada della Noce;
Fontana Cangad, situata in via Venosa;

GASTRONOMIA
Tumaz ma druda (tagliatelle con mollica e noci) Preparato dalle massaie il giorno della Domenica delle Palme.
Laganelle con latte, zucchero e cannella - Preparato il giorno dell'Ascensione.
Rictell cu lu gallucc ripieno (orecchiette al ragù di gallo con ripieno di frattaglie, mollica di pane e zucchero) - Preparate il giorno di S. Elia festa patronale.
Cauciungiëll cu la ricotta (ravioli con la ricotta).
Cingul e cimacungul (cavatelli con cime).
Pan cuatt cu li cim d 'rapa (pane cotto con cime di rape, ventresca e peperoni freschi).
Verdettë (finocchio selvatico con carne di agnello, salsiccia e uova) - Preparato il giorno del Lunedì dell'Angelo.
Senapiello (verdura fritta con sgombro) - Preparato il giorno della Vigilia di Natale.
Khmigl (lumachine con sughetto di pomodoro e origano).
Mignatiall (involtini di frattaglie).
La "Capuzza" (brodetto di testina di agnello).
Kukul cu lu paparul pestat (sfogliata di pasta di pane, peperone piccante secco macinato, origano e olio).
Lakruar - pizza rustica con tumma (formaggio tenero, carne di pollo, uova, salsiccia, zucchero e cannella).
Kulacce - pane azimo a forma di ciambella (periodo quaresimale).
Tumaz ma druda - pasta con mollica di pane sbriciolata, mandorle e noci tritate.
Pupeqe - dolce di Carnevale.
Taralucc - taralli con semi di finocchio
Cuscini di marmellata e castagne (Preparate a Natale).
Pettole di Natale.
Sanguinaccio.
Crostata di sanguinaccio.
Polenta e Pasta con il mosto (vin cuat) (Preparato durante la vendemmia).
Grandhindi - pizza col granturco a base di farina di mais, semi di finocchio, cipolla fritta, uva passa e zucchero.
Pizza di ricotta dolce.
Crustul - dolci di Natale.

MANIFESTAZIONI
Festa di San Michele Arcangelo (ultimo sabato di aprile), con i Rethnes

ARBERESHE
Gli Arbëreshë sono gli Albanesi d'Italia, noti anche come Greco-albanesi o Italo-albanesi. Sono la più popolosa minoranza etnica e linguistica che vive in Italia. Essi si stanziarono nell'Italia meridionale tra il XV e il XVIII secolo, in seguito alla morte dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderbeg e alla conquista progressiva dell'Albania e di tutto l'Impero Bizantino da parte dei turchi ottomani. Nel corso dei secoli gli arbëreshë sono riusciti a mantenere e a sviluppare la propria identità greco-albanese, grazie alla loro caparbietà e al valore culturale esercitato principalmente dai due istituti religiosi cattolici di rito orientale, con sede in Calabria il "Collegio Corsini" (1732) e poi "Corsini-Sant'Adriano" nel 1794, e in Sicilia il "Seminario Greco-Albanese di Palermo" (1734) poi trasferito a Piana degli Albanesi nel 1945. La gran parte delle cinquanta comunità arbëreshë conservano tuttora il rito bizantino greco. Esse fanno capo a due eparchie: quella di Lungro per gli italo-albanesi dell'Italia meridionale, e quella di Piana degli Albanesi per gli italo-albanesi di Sicilia. Per definire la loro "nazione" sparsa usano il termine Arbëria.

LA LINGUA
Non esiste una struttura ufficiale politica, culturale e amministrativa che rappresenti le comunità Albanesi d'Italia. È da rilevare il ruolo di coordinamento istituzionale svolto in questi anni dalle singole province del meridione italiano con la presenza arbëreshë, in primis quelle di Cosenza e Palermo, che hanno creato appositi Assessorati alle Minoranze Linguistiche. La lingua arbëreshë, (arbërisht), raramente in alcuni ambienti detta anche "arberesco", è una variante dell'albanese meridionale, e in taluni centri misto con il greco antico, e dal 1999 è pienamente riconosciuta dallo Stato Italiano come "lingua di minoranza etnica", particolarmente nell'ambito delle amministrazioni locali e nelle scuole dell'obbligo. Recentemente è influenzata in modo notevole dai dialetti locali e dal lessico italiano. Alcune associazioni la tutelano e la valorizzano attraverso radio private e riviste locali. Gli statuti regionali di Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia fanno riferimento alla lingua e alla tradizione greco-albanese, tramite il suo studio anche nelle sedi scolastiche ed universitarie, ciononostante gli Arbëreshë continuano ad avvertire la propria sopravvivenza culturale minacciata.

ORIGINI E CENNI STORICI
Prima della conquista da parte dell'Impero ottomano, tutti gli albanesi si identificavano con il nome di Arbëreshë, e venivano chiamati Albane o Arber. A seguito dell'invasione turca e al disfacimento dell'Impero bizantino, molti albanesi, per la libertà, e per mantenere la fede cristiana e sottrarsi al giogo ottomano, giunsero in Italia. Da allora continuarono a identificarsi con il termine di Arbëreshë, al contrario da quelli d'Albania, che assunsero il nome di Shqiptarëve (si confronti la parola albanese Shqipë, presente nel nome locale del paese e della lingua). Gli Arbëreshë, una volta distribuiti tra l'Epiro, i monti del Pindo e molti stanziati in Morea, nell'odierno Peloponneso, sono i discendenti della popolazione greco-albanese sparsa in tutti i Balcani sud-occidentali (vedi Arvanitici). Sin dall'XI e il XIV secolo certi arbëreshë, con grandi abilità in campo militare, si spostarono in piccoli gruppi verso la parte meridionale della Grecia (Corinto, Peloponneso e Attica) fondando alcune colonie. Intanto, la loro bravura li aveva identificato come i mercenari preferiti dei Serbi, dei Franchi, degli Aragonesi, delle repubbliche marinare italiane e degli stessi Bizantini. Nel XV secolo si verificò l'invasione della Grecia da parte dei Turchi Ottomani; e la resistenza albanese si era organizzata nella Lega Albanese o Lega di Lezhë che faceva capo a Gjergji Kastrioti da Croia, meglio conosciuto come Skanderbeg. In questo periodo, nel 1448, re Alfonso V d'Aragona, chiamato il Magnanimo, re del regno di Napoli e del regno di Sicilia, chiese aiuto a Kastriota, suo alleato, per reprimere la congiura dei baroni. La ricompensa per questa operazione furono delle terre in provincia di Catanzaro; e molti Arbëreshë ne approfittarono per emigrare in queste terre sicure durante l'avanzata degli Ottomani, mentre altri emigrarono nel meridione e nelle isole sotto il controllo della Repubblica di Venezia. Nello stesso tempo altre forze di arbëreshë intervennero anche in Sicilia, fondando la colonia più considerevole, Piana degli Albanesi. Durante il periodo della guerra di successione di Napoli, a seguito della morte di Alfonso d'Aragona, il legittimo erede Ferdinando d'Aragona richiamò le forze Arbëreshë contro gli eserciti franco-italiani e Skanderbeg sbarcò nel 1461 in Puglia. Dopo alcuni successi, gli Arbëreshë accettarono in cambio delle terre in loco, mentre Skanderbeg ritornò per riorganizzare la resistenza albanese contro i Turchi che avevano occupato l'Albania; morì di morte naturale nel 1468, ma le sue truppe combatterono ancora per un decennio. Parte della popolazione arbëreshë migrò in Italia meridionale, dove il re di Napoli e il re di Sicilia offrì loro altri villaggi in Puglia, Calabria, Campania, Sicilia e Molise. L'ultima ondata migratoria, per alcune fonti solo una quinta migrazione, si ebbe tra il 1500 e il 1534. Impiegati come mercenari dalla Repubblica di Venezia, gli Arbëreshë dovettero evacuare le colonie del Peloponneso con l'aiuto delle truppe di Carlo V, ancora a causa della presenza turca. Carlo V stanziò questi soldati in Italia meridionale, per rinforzarne le difese proprio contro la minaccia degli Ottomani. Stanziatisi in villaggi isolati (il che permise loro di mantenere inalterata la propria cultura fino al XX secolo), gli Arbëreshë divennero tradizionalmente soldati del Regno di Napoli, del Regno di Sicilia e della Repubblica di Venezia, dalle guerre di religione fino all'invasione napoleonica. L'ondata migratoria dall'Italia meridionale verso le America negli anni tra il 1900 e il 1910 ha causato quasi un dimezzamento della popolazione dei villaggi arbëreshë e ha messo la popolazione a rischio di scomparsa culturale, nonostante la recente rivalutazione.

Dopo il 1468, anno di morte di Scanderbeg e inizio della disfatta albanese, si ebbe una grande migrazione che portò numerosi albanesi a stabilirsi sia nel Regno di Napoli che nel Regno di Sicilia. Queste persone provenivano in maggioranza dall'Epiro, tutta la parte centro-meridionale dell'Albania e dalla Morea, di conseguenza, poiché facente parte dell'Impero Bizantino, di fede cristiano ortodossa, sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico orientale di Costantinopoli. Per qualche tempo dopo il loro arrivo, i greco-albanesi furono affidati al metropolita di Agrigento, nominato dall'arcivescovo di Ocrida, con il consenso del Papa. Dopo il concilio di Trento le comunità albanesi vennero poste sotto la giurisdizione dei vescovi latini del luogo, determinando, così, un progressivo impoverimento della tradizione bizantina. Fu in questi anni che molti italo-albanesi, a causa delle pressioni della Chiesa cattolica locale, furono costretti ad abbandonare il rito greco passando al rito latino (per esempio: Spezzano Albanese in Calabria e i tre paesi albanofoni del Volture). Per salvaguardare la loro tradizione religiosa, la Chiesa Cattolica, spinta dalle comunità arbëreshë e in particolare dal Servo di Dio P. Giorgio Guzzetta, decise di creare delle istituzioni per l'istruzione dei giovani di rito greco. Nel 1732 Papa Clemente XII eresse il Seminario di San Benedetto Ullano, e nel 1734 il Seminario greco-albanese di Palermo per i Siculo-Albanesi. Nel 1735 lo stesso Papa nominava dei vescovi ordinanti, con il compito di formare il Seminario, dare le ordinazioni sacre e conferire i Sacramenti. Per molto tempo questa situazione rimase immutata e spesso le comunità albanesi hanno espresso a Roma la richiesta di avere dei vescovi propri con piena autorità. Fu Benedetto XV a esaudire le loro richieste creando nel 1919 un'Eparchia (Diocesi) per gli arbëreshë dell'Italia peninsulare con sede a Lungro (Eparchia di Lungro), staccando dalle Diocesi di rito latino le parrocchie che ancora conservano il rito greco. Poco dopo, nel 1937, Papa Pio XI istituì l'Eparchia di Piana degli Albanesi per i fedeli arbëreshë di rito bizantino-greco della Sicilia, riconosciuta civilmente anche dallo Stato italiano.

DATI RIEPILOGATIVI

Popolazione 1.767 (M 852, F 915)
Densità per Kmq: 38,8
Superficie: 45,49 Kmq

CAP 85020
Prefisso Telefonico 0972
Codice Istat 076047
Codice Catastale F006

Denominazione Abitanti maschitani
Santo Patrono Sant'Elia Profeta
Festa Patronale prima domenica di agosto

Il Comune di Maschito fa parte di:
Comunità Montana del Vulture
Area Minoranza Linguistica Albanese (Arbëresh)

Località e Frazioni di Maschito
contrade: Manes, Fontana d'Argento, Serra della Nocelle, Cesina, Piano della Trinità, Monte Calvello, Cantarella, Cerentino-Settanni, Oreficicchio, Cerentino, Sterpara, Casano, Piano del Moro, Caggiano, Cancada

Comuni Confinanti
Forenza, Ginestra, Palazzo San Gervasio, Ripacandida, Venosa.

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CANTINA DI VENOSA (PZ)
TERME DI RAPOLLA - POTENZA (PZ)
PONTIFICIO SEMINARIO REGIONALE MINORE - LICEO GINNASIO PARITARIO - POTENZA (PZ)
Casa Maschito - Potenza (PZ)