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Santa Teresa di Riva
Sicilia

Santa Teresa di Riva è un comune della provincia di Messina in Sicilia. Nel centro abitato esistono tre torri medievali di un certo interesse storico. Centro agricolo, commerciale e turistico specializzato nella produzione di agrumi: limone e verdello limone soprattutto, ma anche di vino, olio d'oliva, ortaggi, mandorle e frutta in genere; risulta presente, seppur ancora limitatamente, il florovivaismo. Allevamenti di bovini, ovini, caprini e suini. Assente è la presenza industriale. Sussistono piccole aziende artigianali dedite all'edilizia, alla lavorazione di legno e metalli, nonché frantoi dediti alla produzione di olio d'oliva ricavato da oliveti locali. Abbastanza sviluppato il commercio al minuto con circa 300 attività commerciali. Fin dalla metà dell'Ottocento è sede di un importante mercato quindicinale, punto di riferimento di tutta la Sicilia orientale con circa 250 bancarelle. Comune pilota del comprensorio storico-turistico-monumentale della Valle d'Agrò che dista da Taormina solo 15 km. È altresì comune capofila dell'Unione dei Comuni delle Valli joniche dei Peloritani e del P.I.T. 13, fa parte del Distretto Turistico Taormina-Etna. Al momento l'economia locale si basa sul terziario, commercio, servizi e turismo balneare. È un comune topologicamente non connesso, essendo costituito da due componenti connesse, una comprendente un tratto di costa (il capoluogo comunale) e una nell'entroterra (le frazioni di Misserio e Fautarì).

ETIMOLOGIA
Il nome si riferisce ad una chiesa di Furci Siculo dedicata alla santa e ubicata sulla riva del mare.

SANTUARIO SANTA MARIA DEL CARMELO (Chiesa Matrice)
È stato edificato nel 1929, sul sito di una vetusta chiesa del 1507 divenuta insufficiente a causa del continuo aumento della popolazione. In passato è stata anche sede di Arcipretura. L'attuale edificio sacro venne inaugurato solennemente il 9 dicembre 1934 alla presenza di Mons. Angelo Paino, Arcivescovo di Messina.È un pregevole esempio di stile neo-romanico a tre navate, delimitate da colonne con capitelli corinzi. E'stata progettata e realizzata con criteri antisismici dagli ingegneri Giovanni Crinò e Francesco Rigano. Conserva al suo interno un soffitto cesellato a cassettoni realizzato in cemento armato; il simulacro ligneo della Madonna del Carmelo, del 1887, realizzato da Francesco Lo Turco da Mongiuffi Melia e restaurato nel 2006 troneggia sull'altare maggiore. Il catino dell'abside è stato affrescato nel 1947, per iniziativa dell'allora parroco don Domenico D'Arrò (1913-1982), dagli artisti locali, i coniugi Elena ed Antonino Garufi, con la raffigurazione dei quattro Evangelisti. Compaiono poi, ai lati del transetto, due grandi tele dipinte a olio nel 1970, da Raffaele Stramondo, che raffigurano la Madonna del Carmelo che conforta le anime purganti e la Madonna del Carmelo mentre dona il Santo Abitino a San Simone Stock. La chiesa è dotata di cinque altari: in primis l'imponente altare marmoreo, del 1934, realizzato dalla ditta Maccarrone da Acireale recante le raffigurazioni marmoree dell'Annunciazione e dell'Assunzione di Maria Vergine. Ai lati dell'abside si trovano, sulla destra, l'altare dedicato al Sacro Cuore di Gesù e sulla sinistra quello del Crocifisso e dell'Addolorata, inaugurati, entrambi, nel 1950. Nelle navate laterali, rispettivamente a destra ed a sinistra, si ammirano l'altare di San Giuseppe e quello di San Giovanni Bosco. Pregevole risulta l'organo del 1966, realizzato dalla ditta "Mascioni" di Cuvio su commissione dell'allora parroco don Salvatore Bonsignore (1914-1985), tale organo è uno dei più importanti della Diocesi di Messina. Sulla facciata del tempio sono presenti, sopra i tre portali d'ingresso, tre mosaici a lunetta, del 1934 opera dell'artista messinese Adolfo Romano, raffiguranti la Madonna del Carmelo, Santa Teresa d'Avila e Sant'Alberto. Da non dimenticare il bel pulpito del 1937 ed il pavimento marmoreo del 1934. Fino al 1958, in chiesa erano custoditi tre antichi quadri: uno del 1538 che raffigurava la Madonna del Carmelo, uno del 1593, raffigurante la Crocifissione di Cristo sul Monte Calvario ed un terzo che raffigurava San Francesco Saverio, risalente alla prima metà del XVIII secolo; questi quadri erano tra i pochi oggetti salvati dalla demolizione del preesistente edificio sacro del 1507. Tali preziose opere vennero trafugate nei drammatici giorni dell'alluvione del 26-30 novembre 1958, quando la chiesa rimase invasa da acqua e detriti alluvionali. Da non dimenticare i simulacri lignei, di San Giovanni Battista (secolo XIX), dell'Immacolata Concezione (1914), San Giuseppe (1950), San Giovanni Bosco (1950), San Domenico Savio (1964), che ancora oggi si ammirano all'interno della chiesa. Accanto alla chiesa, sorge la canonica, edificata nel 1937, anch'essa in stile neo-romanico, a due elevazioni fuori terra. Conserva al suo interno dei pregevoli affreschi raffiguranti scene della Sacra Scrittura (anch'essi dipinti dai coniugi Elena ed Antonino Garufi nel 1947) ed alcune tele ottocentesche. Il primo piano è adibito ad abitazione del parroco. È l'unica chiesa del paese ad essere dotata di campanile edificato nel 1937 dalla ditta Maccarrone di Acireale. Il 14 luglio 1958 è stata eretta Santuario diocesano dall'allora Arcivescovo di Messina Mons. Angelo Paino. In occasione del Giubileo del 2000 è stata proclamata chiesa/santuario giubilare dall'Arcivescovo di Messina Mons. Giovanni Marra (l'unica nella riviera ionica messinese tra Alì e Forza d'Agrò). Don Salvatore Mercurio (1932-2011) da Furci Siculo ha retto la parrocchia dal 1985 fino alla sua improvvisa morte avvenuta nell'agosto 2011. Dal 19 ottobre 2011 è Amministratore parrocchiale della parrocchia don Gennaro Currò da Messina, coadiuvato dal viceparroco don Daniele Femminò da Messina. Il numero dei fedeli ammonta a circa 2000 abitanti.

CHIESA SANTA MARIA DI PORTO SALVO
È ubicata nella zona meridionale del paese, nel quartiere Ciumaredda Porto Salvo. Nel 1763, un bastimento mercantile, in navigazione dinnanzi allo specchio di mare antistante a Santa Teresa di Riva, incappava in una poderosa tempesta di scirocco e levante. Il capitano della nave, temendo per la propria vita e per quella dei suoi marinai, affidò la sua preghiera disperata alla Santa Vergine di Porto Salvo affinché non fossero travolti e spazzati via dal tifone. La preghiera venne ascoltata, e inspiegabilmente, la nave si trovò fuori dal pericolo. Al fine di ringraziare la Madonna per la grazia ricevuta, due anni dopo, il capitano del mercantile, sul litorale antistante allo specchio d'acqua in cui il miracolo si era verificato, fece innalzare una chiesetta dedicandola a Santa Maria di Porto Salvo. La chiesetta venne ampliata nel 1854, sconsacrata nel 1958 e definitivamente demolita verso il 1975. L'attuale edificio sacro, edificato nel 1952 vicino al sito ove sorgeva la vecchia chiesetta del 1765, è di stile neo-romanico a croce latina con unica navata. Conserva al suo interno un pregevole mosaico, realizzato sul catino dell'abside, raffigurante Cristo Pantocratore, eseguito nel 1995 dalla "Ditta Eredi di Michele Mellini" di Firenze. Da non dimenticare la pregevole statua lignea della Madonna di Porto Salvo scolpita nella prima metà del XIX secolo da ignoto autore napoletano. Di grande espressività risulta il grande Crocifisso ligneo che troneggia nell'abside sopra l'altare principale, è del 1840 circa. La chiesa conserva altresì due grandi e pregevoli tele eseguite nel 2008 dall'artista santateresino arch. Giuseppe Bonarrigo, la prima raffigura Santa Teresa d'Avila, la seconda raffigura Santa Maria Madre di Dio tra i Santi Messinesi (San Placido, Santa Eustochia e Sant'Annibale Maria di Francia) con sullo sfondo un panorama del Porto e della città di Messina. La chiesa conserva pure un antico quadro, della seconda metà del XIX secolo, che raffigura Santa Maria di Porto Salvo. Tale quadro, la terza domenica di novembre viene portato dai fedeli in processione fino alla vicina spiaggia per invocare la Protezione Divina su tutti i marinai. Degni di nota risultano: la statua della Madonna Addolorata, l'Ecce Homo ed il Cristo Morto; tali simulacri (detti anche Varette), realizzati nella prima metà del XIX secolo, vengono portati in processione in occasione del Venerdì Santo. La Parrocchia di Porto Salvo, è retta dal novembre 2006 da don Roberto Romeo da Nizza di Sicilia. Con 5.000 anime, è la più grande e popolosa di S.Teresa di Riva.

CHIESA DELLA SACRA FAMIGLIA
È stata eretta a parrocchia dall'Arcivescovo di Messina Angelo Paino il 21 novembre 1945, fino ad allora era una chiesa succursale della Parrocchia S. Maria del Carmelo. La chiesa, che si trova al centro della cittadina jonica, è ad unica grande navata in stile barocco con soffitto ligneo. Pregevole è l'altare maggiore, del 1934, di marmo intarsiato policromo in stile barocco. Di sommo interesse è il seicentesco altare laterale del Santissimo Sacramento, anch'esso in stile barocco dotato di un interessante tronetto per l'esposizione eucaristica, questo prezioso manufatto venne qui collocato nel 1950, proveniente dalla cinquecentesca chiesa (ormai in rovina) di Gesù e Maria di Savoca. Nella facciata principale si può ammirare una vetrata raffigurante la Sacra Famiglia. L'edificio sacro venne costruito tra il 1903 ed il 1934, per iniziativa del Sindaco del tempo Francesco Paolo Caminiti e col contributo di tutto il popolo. Nell'estate del 1943 venne requisita dalla truppe d'occupazione inglesi e adibita ad ospedale militare. Da non dimenticare tra le altre opere di pregio: l'Icona della Sacra Famiglia proveniente dalla Cella di San Giorgio a Kausokalivia dei monaci ortodossi del Monte Athos in Grecia ed il Crocifisso ligneo proveniente dalla chiesa S. Maria Assunta di Nizza di Sicilia, che giganteggia nell'abside. Sopra l'altare laterale è collocata una grande tela, dipinta dal pittore e architetto santateresino Giuseppe Bonarrigo nel 2008, raffigurante le "Nozze di Cana". La parrocchia, con 2400 abitanti, è retta dal Parroco don Gennaro Currò da Messina (altresì Amministratore parrocchiale della vicina parrocchia della Madonna del Carmelo) coadiuvato dal viceparroco don Daniele Femminò.

TORRE DEI SARACENI
Sorge nel quartiere Bucalo, accanto alla chiesa matrice della Madonna del Carmelo. A dispetto del nome, non è stata edificata dai Saraceni, ma a difesa contro le loro scorrerie. Secondo recenti studi, la sua costruzione risale al XII secolo, forse anche prima. Ha forma cilindrica ed ha annessa una palazzina merlata risalente allo stesso periodo. La palazzina ha due piani fuori terra, la torre ne ha tre. Recenti studi condotti dallo storico locale Arch. Salvatore Coglitore hanno appurato l'esistenza sia sotto la torre che sotto la palazzina, di due piani interrati, di cui uno accessibile e l'altro pieno di detriti alluvionali risalenti alle alluvioni del Torrente Savoca del 1934 e 1958. Si evince, dunque, che questo edificio durante il Medioevo doveva essere veramente maestoso ed imponente, superando i 15 metri di altezza. La torre e l'annessa palazzina furono, fino al 1503 circa, dimora estiva e balneare dell'Archimandrita di Messina, signore feudale di queste terre, l'alto prelato, infatti, vi soggiornava per qualche giorno l'anno, insieme alla sua corte, quando, in periodi di riposo, decideva di concedersi bagni di mare e di sole. Dopo il 1503, l'Archimandrita Alfonso d'Aragona, la concesse assieme alla piana circostante alla famiglia savocese dei Bucalo che, la ampliarono e vi edificarono accanto una chiesetta e, la utilizzarono come residenza e come punto di difesa contro la scorrerie dei pirati Saraceni. Durante questo periodo, la Torre dei Saraceni aveva una certa importanza nel territorio; tanto è vero che, il 12 agosto 1695, al suo interno venne stipulato l'atto che separava il villaggio di Pagliara dall'amministrazione di Savoca e lo proclamava comune autonomo. Il casato dei Bucalo possedette quest'edificio fino al 1708, quando gli ultimi eredi, Benedetto e Paolo, lo donarono, per testamento, ai Gesuiti che lo tennero, adibendolo ad ospizio, fino al 1767, anno in cui furono scacciati dai Borboni; quindi passò ai Marchesi Carrozza che l'ebbero in proprietà fino al 1892. Nel 1849, questo complesso edilizio fu danneggiato dalle cannonate della flotta di Ferdinando II di Borbone, il re bomba, durante i moti del 1848/49. La Torre di Saraceni, nel 1892, venne comprata dall'ing. Giuseppe Pelleri che provvide a restaurarla, ma tale intervento ne mutò i connotati originari infatti ancora oggi presenta i caratteri e lo stile derivanti dal restauro del 1895. Fino al tutto il Settecento, la Torre di Saraceni era collegata alla Torre del Baglio, distante circa 500 metri, tramite una galleria sotterranea. Oggi la torre e la palazzina annessa sono circondate da un grazioso villino, danno sulla Piazza del Carmelo e sono in buone condizioni di conservazione, tanto da essere adibite a civile abitazione. Proprietari sono ancora, in parte, i discendenti della famiglia Pelleri.

TORRE DEL BAGLIO
È situata nel quartiere Sparagonà, ed è in condizioni di degrado. Ha forma quadrata ed è a due elevazioni fuori terra separate tra loro mediante una volta cieca. Prende il nome dal fatto che si trovava nel bel mezzo di un antico quartiere di case,"u bagghiu", tra loro accomunate da un grande cortile. Non si conosce con precisione l'epoca della sua edificazione. Probabilmente, venne edificata nei primissimi anni del XVI secolo dalla nobile famiglia savocese dei Bucalo, che, nel 1503, aveva ricevuto, in concessione perpetua dall'Archimandrita di Savoca, le terre circostanti detta torre. Antichi riveli, del XVI secolo, certificano che questo manufatto difensivo, nel 1593, risultava appartenere a "Crisafulli Antonina, vedova di Binidittu Buculo, abitatrice della Terra di Savoca" che in contrada Sparagonà, possedeva oltre a detta torre, un grande vigneto. Verso la prima metà del Seicento si trova tra le proprietà di Santoro Crisafulli (1570-1636), nobile savocese, che fu, tra il 1611 e il 1620, Giudice della Regia Gran Corte e Luogotenente dello Strategoto di Messina. Dalla fine del Settecento appartenne alla famiglia di Angelo Caminiti (1781-1855), fautore dell'autonomia comunale della Marina di Savoca, che abitava in un palazzotto attiguo alla torre del baglio, oggi non più esistente. La torre non venne risparmiata dal cannoneggiamento borbonico del 30 marzo 1849, che la distrusse parzialmente e mandò in totale rovina i palazzotto attiguo. Oggi la torre appartiene alla famiglia Pagliuca di Scaletta Zanclea.

TORRE DI CATALMO
Sorge nell'omonimo quartiere (al confine col comune di Savoca) ed è in discrete condizioni di conservazione, è a pianta quadrata a due elevazioni. Si erge nel bel mezzo del sito in cui anticamente era situata la cittadina di Phoinix e non si esclude che sia sorta sulle basi di un più antico manufatto di epoca greco-romana. Recenti studi archivistici condotti dallo storico locale Santo Lombardo hanno fatto emergere alcune interessanti notizie sull'origine di questo antico edificio difensivo. La Torre di Catalmo venne edificata nel 1506 dal facoltoso costruttore savocese don Pietro Trimarchi, probabilmente, la stessa persona che pochi anni prima aveva ristutturato la Chiesa Madre di Savoca. Verso la fine del XV secolo, a Savoca, un'annosa controversia contrapponeva la facoltosa famiglia del suddetto don Pietro Trimarchi a quella di don Paolo Storiali. Tale controversia aveva come oggetto delle beghe di confine tra i fondi dei succitati personaggi. Non essendo stata la lite risolta secondo i canoni del diritto, si passò facilmente alle vie di fatto e i contendenti vennero alle armi. Nel 1494, i Trimarchi assalirono la casa degli Storiali, intenzionati ad uccidere don Paolo ed il fratello Giovanni, ma non vi riuscirono; non molto tempo dopo, furono gli Storiali a tentare di uccidere don Pietro, ma neanche loro riuscirono a portare a termine il loro progetto criminoso. Per cercare di scampare a questa faida, don Pietro Trimarchi decise di lasciare l'alto di Savoca e trasferirsi nella quasi disabitata Marina, lì costruì una grande fattoria, a difesa della quale eresse detta Torre ed un recinto di mura merlate. Proprio per questo motivo, nel XVI secolo la Torre di Catalmo era nominata "Torre Trimarchi". Le antiche cronache, specificano che don Pietro Trimarchi edificò tali opere difensive non solo contro le scorrerie dei Corsari barbareschi, ma anche contro i possibili agguati del suo acerrimo nemico don Paolo Storiali. Fino a tutto il XVIII secolo fu una torre militare di grande importanza strategica, in costante contatto con il vicino Castello di Pentefur. Verso la fine del XVIII secolo, venendo meno la minaccia dei pirati, perse le sue peculiarità strategico-difensive. Infine, è importante sottolineare che, la Torre di Catalmo, è stata erroneamente appellata, da alcuni storici locali, come Torre Sollima; detta torre non ha nulla a che vedere con la torre in questione, essendo la Torre Sollima ubicata in località Locadi.
Oggi risulta essere monumento nazionale e fino al 1970 era adibita a civile abitazione.

TORRE AVARNA
Oggi ne sopravvivono solo miseri resti. Era a pianta circolare e a due piani, con finestre e feritoie, sulla sommità era collocata una colubrina rivolta verso il mare. Si ergeva nel quartiere Bolina, nel sito su cui era situato l'antico centro abitato di Phoinix. Era posta in costante comunicazione visiva col Castello di Sant'Alessio Siculo e con quello di Pentefur. Si chiamava così perché situata nel feudo del Duca Avarna. Già ai primi del secolo XIX era in rovina e, venne demolita quasi del tutto nel 1839. In questo sito, sempre nel 1839, eseguendo degli scavi, si rinvennero un mezzo busto in marmo, vasellame di terracotta, armi, monete d'età romana ed altro. Nelle vicinanze si trova la Casa Fortezza di Bolina, risalente al XIX secolo.

TORRE VARATA
Oggi non più esistente, si ergeva, altissima, nei pressi dell'omonimo quartiere cui diede il nome. Era una torre militare integrata nel sistema difensivo della riviera. Aveva forma cilindrica a due elevazioni e sulla sommità era dotata di columbrina. Quando nel 1870 venne demolita era in stato di sfacelo, il tifone del 1763 l'aveva pericolosamente incrinata, quasi al punto di cadere, da qui il termine siciliano "varata"

ORIGINI E CENNI STORICI
Le origini risalgono, secondo alcuni studiosi, al IX - VIII secolo prima di Cristo, allorquando colonizzatori fenici fondarono, sul litorale ove oggi sorge Santa Teresa di Riva, una piccola stazione commerciale che, successivamente, diede origine ad un piccolo centro abitato il quale, attorno al 400 a.C., ospitò una popolazione mista di indigeni Siculi, Fenici e Greci. Questi ultimi provenienti dalla vicina Naxos che, in quel periodo, subì la distruzione ad opera del tiranno Dionigi di Siracusa. Furono proprio i Greci a chiamare questo villaggio Phoinix, che significa Fenice, o meglio Villaggio di Fenici, Phoinix, che in epoca greca era sotto la giurisdizione della polis di Messana o Zancle. Nel 314 a.C., Phoinix, insieme a Messana, venne occupata dall'esercito del Tiranno siracusano Agatocle, che aveva intenzione di unificare sotto la sua corona tutta la Sicilia. La città di Phoinix è citata dallo storico Appiano di Alessandria vissuto nel II secolo d.C., il quale scrive che nell'agosto del 36 a.C. (durante le guerre civili romane per la successione a Gaio Giulio Cesare) vi si accampò per una notte l'esercito di Sesto Pompeo in attesa della battaglia contro Ottaviano; Appiano riferisce che la città in questione era poco a nord del Capo Argennum (oggi Capo S.Alessio), circa 2 km, proprio dove oggi sorgono i quartieri di Bolina, Barracca, Catalmo e Cantidati. Confutano quanto narrato numerosi ritrovamenti archeologici casuali (oggi non più visibili) verificatisi negli anni passati nel quartiere Bolina e nel quartiere Catalmo, proprio nei pressi dell'omonima antica torre, sono stati portati alla luce, durante lo scavo di alcuni pozzi, monete di età traianea, piccole scalinate in pietra o mattoni, vasellame domestico, pareti di piccole abitazioni. Inoltre, riferisce il frate cappuccino p.Giampietro da S.Teresa [senza fonte](al secolo Giuseppe Rigano 1881-1950) che attorno al 1865, durante i lavori per la costruzione della stazione ferroviaria, ove oggi sorge il quartiere Torrevarata, fu scoperta un'antica necropoli in stile orientale che purtroppo fu subito saccheggiata e distrutta dagli operai che la portarono casualmente alla luce. Questa necropoli constava di numerose tombe coperte da lastroni di pietra ed al loro interno contenevano, oltre agli scheletri, monili femminili e piccolo vasellame; questa caratteristica dimostra che questa necropoli non era "un semplice cimitero di guerra" ove i cadaveri vengono sepolti in modo frettoloso e disordinato, ma la necropoli di uno stabile e vicino centro abitato, Phoinix appunto, che sorgeva a circa 1 km di distanza. Tutte queste notizie sono riportate, con assoluta precisione, dal manoscritto inedito redatto dal summenzionato frate cappuccino nel 1936. Successivamente, verso il III-IV secolo d.C., forse a causa di un forte evento sismico o alluvionale,(è storicamente appurato che nel 374 d.C., nel 650 d.C. e nell'853 d.C. il messinese, o più in generale lo Stretto di Messina, venne interessato da violenti terremoti/maremoti) la cittadina di Phoinix scomparve dalla faccia della terra e dalla memoria degli uomini. Era il periodo della rovinosa e progressiva fine della egemonia romana nel Mar Mediterraneo e le invasioni barbariche e le scorrerie piratesche resero insicura la vita sul litorale, proprio per questo gli abitanti di Phoinix piuttosto che ricostruire il loro villaggio sul sito originario, preferirono abbandonarlo per dare vita a nuovi centri abitati più sicuri e difendibili poiché eretti sui monti circostanti. Attorno al IV-V secolo d.C. nacquero Pentefur (oggi Savoca), Palaionchorion (oggi Casalvecchio Siculo), Limen (oggi Limina) ed Antillo. Poi arrivarono i Vandali, gli Ostrogoti, i Bizantini, gli Arabi e i Normanni. Fu re Ruggero il Normanno a fondare nel 1139 la Baronia di Savoca, "accozzando insieme molti villaggi saraceni" arroccati sui monti Peloritani, la Baronia di Savoca fu fino al 1812 feudo dell'Archimandrita di Messina. Fu altresì una potente città feudale che raggiunse l'apice del suo splendore tra l'inizio del XV secolo e la fine del XVIII. L'Antichissima Phoinix, ora chiamata Marina di Savoca era appunto sotto la giurisdizione politica e amministrativa della Terra di Savoca ed era divisa in tre grandi feudi; Camillo Camilliani, geografo e matematico fiorentino, nel 1584 la descriveva come una landa semi deserta, popolata da pochi agricoltori e pescatori, che la notte, per paura delle continue scorrerie dei pirati saraceni, tornavano al sicuro nella fortificata cittadina collinare di Savoca; questi pescatori, erano costretti a trascinarsi dietro le loro pesanti imbarcazioni, tale faticosa operazione avveniva attraverso il piccolo torrente Porto Salvo ed il Vallone Buzzuratti, madiante robuste funi e corrucole di legno, le barche venivano trascinate via terra fin sotto l'abitato del quartiere San Rocco di Savoca, lì erano al sicuro dalle razzie dei pirati e dei briganti. Già nei primissimi anni del XVI secolo si stabilì nella Marina la famiglia savocese dei Bucalo, che ebbe in concessione dall'Archimandrita di Messina Alfonso d'Aragona un'enorme porzione di litorale compresa tra il Torrente Savoca e il Torrente Porto Salvo, nel 1507 costruirono una chiesetta dedicata al SS Crocifisso (che poi sarà dedicata alla Madonna del Carmelo), la prima in tutta la Marina, e si dedicarono alla coltivazione di quelle deserte contrade situate alla destra del torrente Savoca. I Bucalo furono signori di questa enorme porzione di terreno per più di due secoli, generazione dopo generazione. Gli ultimi eredi della famiglia Bucalo furono i sacerdoti Benedetto e Paolo, i quali, nel 1708 lasciarono i loro averi per testamento ai Gesuiti, questi vi rimasero fino al 1767, anno in cui vennero cacciati dal governo borbonico, e, i loro averi vennero confiscati e venduti all'asta. Ne approfittò subito il Marchese Carrozza (originario di Milazzo) che acquistò con poco denaro questi beni confiscati e divenne proprietario di un latifondo che si estendeva, appunto, dal Torrente Savoca al Torrente Porto Salvo. Solo verso la metà del XVIII secolo, quando la minaccia dei corsari barbareschi nel Mar Mediterraneo iniziò a venire meno, cominciarono a sorgere i primi insediamenti stabili sul litorale della Marina di Savoca. Vennero edificate case, qualche palazzo nobiliare, qualche chiesetta e alcuni opifici. Nel febbraio 1763, però, l'esistenza di questo piccolo centro abitato venne messa duramente a repentaglio da un violento tifone che seminò morte e distruzione per quelle contrade. Nonostante le avversità naturali, le borgate della Marina di Savoca risorsero lentamente, tanto che, verso il 1820, la Marina di Savoca era un fiorente centro agricolo, commerciale e artigianale, contava più di mille abitanti ed era in continua espansione grazie alla coltura della vite, del limone e del baco da seta. Nel 1830, una nuova alluvione del Torrente Pagliara, seminò morte e distruzione nella borgata di Furci, spazzando via il quartiere Matrh'a Razia (Madonna delle Grazie), ma ormai gli insediamenti erano stabili e, di conseguenza, questa seconda terribile alluvione non rappresentò un insormontabile ostacolo al continuo sviluppo umano ed economico della Marina di Savoca. Nel 1840, don Antonio Russo Gatto (1809-1868), ricco commerciante messinese, costruì nella Marina di Savoca un opificio dedito alla lavorazione e al commercio degli agrumi e dei derivati di questi, nello stesso periodo sorsero due pastifici e due mercanti inglesi, don Giovanni Causton e don Giacomo Smith, nel quartiere Cantidati dal 1825 gestirono una rivendita di vini destinata all'esportazione del vino locale verso il Regno di Gran Bretagna. Lo sviluppo della Marina di Savoca era, però, soffocato dalla "amministrazione" savocese, gestita da una classe dirigente costituita da una nobiltà parassitaria, arrogante e reazionaria, che vessava i "Marinoti" con continui balzelli e soprusi di ogni genere. Il 23 luglio 1820, in occasione dei Moti Carbonari, i Marinoti stanchi delle vessazioni, assalirono Savoca incendiando i "palazzi del potere" (municipio, carcere, giudicato e archivio) e le residenze di alcuni notabili dell'oligarchia savocese, tra cui quella dello stesso sindaco don Domenico Scarcella. La rivolta era ordita da alcuni carbonari, capeggiati da Angelo Caminiti (1781-1855) che più di tutti si distinse nella lotta per l'autonomia. Da non dimenticare il contributo diplomatico apportato, a favore dell'autonomia comunale dall'Abate Antonino Garufi (1775-1842), costui, fratellastro di Angelo Caminiti, fu figura di grande rilievo nell'organizzazione ecclesiastica siciliana dei primi dell'Ottocento, la sua salma imbalsamata è oggi ancora esposta nella cripta dei cappuccini di Savoca. Gli anni che vanno dal 1820 al 1853 furono anni di scontri, tumulti, speranze e delusioni. Il 12 gennaio 1848, la Sicilia si solleva contro l'oppressore borbonico, autoproclamandosi indipendente e restaurando l'antico Parlamento Siciliano, Capo di Stato provvisorio fu Ruggero Settimo. L'esperienza indipendentista siciliana durò dolo 16 mesi, durante i quali, dal 1º gennaio 1849, la Marina di Savoca, con le sue borgate di Furci, Bucalo, Porto Salvo e Barracca, venne eretta a comune autonomo col nome di Bucalo. La sede municipale venne posta nel rione Sparagonà, nei pressi della Torre del Baglio, primo ed unico sindaco fu don Giuseppe Caminiti di Angelo (1814-1877). Purtroppo, come dicevamo, l'indipendenza della Sicilia durò poco più di un anno, i borboni ripresero, con inaudita violenza, il controllo dell'Isola; fatto ciò annullarono tutti gli atti normativi emanati dal Governo Secessionista dello Stato di Sicilia, sicché il neonato comune di Bucalo, dopo soli tre mesi di vita autonoma, venne soppresso, tornando sotto il controllo di Savoca. Ma c'è di più: il 30 marzo 1849, reparti dell'esercito borbonico, dopo un bombardamento navale, per rappresaglia, misero a ferro e fuoco la Marina di Savoca, incendiando case, opifici, magazzini ed il municipio e abbattendo parte della Torre del Baglio. Nonostante la traumatica esperienza, già dal 1849 riprese con maggior slancio la lotta dei Marinoti per l'autonomia. Il 17 marzo 1851, il Decurionato di Savoca deliberò (6 voti contro 4) di concedere, finalmente, l'autonomia comunale alle borgate rivierasche della Marina. Il 1º luglio 1853 il re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone firmò il decreto che sancì la divisione tra Savoca e la sua Marina, i Marinoti grati al loro re, battezzarono il novello comune "Santa Teresa" in onore di Maria Teresa d'Asburgo-Teschen, consorte di Ferdinando II. Il comune di Santa Teresa nasceva ufficialmente il 1º gennaio 1854, contava 2.400 abitanti, era inglobato nel Distretto di Castroreale e faceva parte del Circondario di Savoca. Il primo sindaco fu Vincenzo Gregorio, il primo prete fu il rev.don Sebastiano Scarcella.
Nell'estate del 1854, il colera colpì duramente la città di Messina e quasi tutta la sua provincia, Santa Teresa non venne risparmiata, nel neonato comune, in pochi mesi, si registrarono circa cinquanta decessi cagionati da questa epidemia. Già nel febbraio 1855, Santa Teresa diventò capoluogo del Circondario di Savoca e, sostituendola, assurse a comune più importante della rivera ionica della Provincia di Messina; a Santa Teresa vennero stabilite la sede del Regio Giudicato e la prigione circondariale. In quegli anni, il Sac. don Antonino Castorina (1819-1905) aprì la prima scuola di Santa Teresa, era gratuita e si prefiggeva l'obiettivo di combattere l'imperante analfabetismo tra la popolazione; così i bambini del paese (appartenenti al ceto popolare) iniziarono ad imparare a leggere, scrivere e contare.
Nel 1861, con l'Unità d'Italia, fu aggiunto il suffisso "di Riva" per distingure il centro in questione dall'omonimo centro della Sardegna; vennero istituite le caserme dei Carabinieri e della Guardia di Finanza; il paese divenne, altresì, sede di svariati uffici pubblici. Viene soppresso il Circondario di Santa Teresa e viene istituito il mandamento di Santa Teresa di Riva. Nel 1866, viene inaugurata la ferrovia Messina-Giardini Naxos, a Santa Teresa di Riva venne edificata una delle stazioni più importanti.
L'economia santateresina continuò a basarsi su agricoltura, pesca e commercio, ma l'Unità d'Italia non portò i vantaggi sperati durante l'invasione dei Mille, anzi provocò, più che altro, una lenta decadenza delle attività economiche da secoli radicate in Sicilia. A partire dal 1870, la coltura della vite, venne progressivamente sostituita da quella del limone; a tal fine, in quegli anni, sorsero numerosi opifici dediti alla commercializzazione ed alla lavorazione dei limoni locali. Nell'ultimo trentennio del XIX secolo, si assiste ad un ulteriore incremento demografico ed edilizio; si stabiliscono nel giovane comune ionico numerosissime famiglie, provenienti dai comuni collinari vicini, attirate dalle maggiori opportunità di lavoro; per questo motivo, è fondata nel 1876, la Società Operaia, la prima in tutta la Val d'Agrò. Nel 1879, a causa del grande aumento demografico, è costruito il primo cimitero cittadino.
Nel 1881 si raggiunse quota 3.675 abitanti, venne ampliata la cinquecentesca Chiesa della Madonna del Carmelo, la quale, nel 1884, venne proclamata chiesa matrice della città. Nel 1901, nacque la prima banda musicale cittadina. È proprio nell'ultimo cinquantennio del XIX secolo che alcune famiglie di facoltosi si trasferiscono a Santa Teresa, provenienti soprattutto da Savoca e Casalvecchio Siculo: in questi anni l'abitato si arricchisce di svariati eleganti palazzotti nobiliari, come La Villa Carrozza del 1870, la Villa Crisafulli del 1890, il Palazzo Salvo del 1850, il Palazzo Trimarchi del 1895, sito in Piazza del Carmine, il Palazzo Caminiti in Piazza Porto Salvo, solo per citarne alcuni. Nel 1903, per iniziativa del sindaco Francesco Paolo Caminiti, iniziano i lavori di costruzione della monumentale chiesa della Sacra Famiglia, a tutt'oggi ubicata nella zona centrale del paese. Il catastrofico terremoto del 1908 colpì anche Santa Teresa di Riva e causò il crollo di alcuni fabbricati, tra i quali, il campanile della antica chiesa della Madonna del Carmelo, ma nel paese non si registrarono morti.
Nacquero nel corso del XX secolo numerose imprese industriali, oggi purtroppo tutte estinte, come la "Citrica", che distillava dai limoni l'acido citrico; l'"Atelana", che produceva lana minerale isolante, la "CAET" che si dedicava alla produzione di pali in calcestruzzo e la "STAT" autolinee. Nel 1919 la popolosa borgata di Furci si separò dal comune di Santa Teresa di Riva, dando vita al comune di Furci Siculo. Durante il fascismo Santa Teresa di Riva conobbe un ulteriore incremento edilizio e demografico. Nel 1929 venne demolita la cinquecentesca chiesa Madre della Madonna del Carmelo e, sullo stesso sito, si mise mano alla costruzione di quella attuale, che fu inaugurata solennemente nel 1934. All'inizio degli anni 1930, la crisi del malsecco colpì i lussureggianti agrumeti santateresini, trasformandoli in poco tempo in lande desolate. Ma già dal 1935, iniziò la ripresa di queste coltivazioni e la produzione tornò a toccare i picchi registrati nei tempi migliori. Negli anni che vanno dal 1928 al 1948 il Comune di Savoca venne soppresso e fu relegato a semplice frazione del comune rivierasco di Santa Teresa di Riva, medesima sorte subì pure Casalvecchio Siculo tra il 1928 ed il 1939. Durante la Seconda guerra mondiale, a Santa Teresa di Riva era distaccato un caposaldo tedesco, gli inglesi, pur di raggiungere Messina prima degli Americani, erano pronti a radere al suolo la cittadina di Santa Teresa al fine di annientare tale caposaldo nemico. Per questo nel luglio del 1943 i santateresini abbandonarono in massa le proprie abitazioni e cercarono scampo sulle alture circostanti. Ma i tedeschi decisero ad agosto di abbandonare in fretta e furia Santa Teresa e tutta la Sicilia, fecero saltare alcuni ponti e raggiunsero frettolosamente il continente. Fu così che Santa Teresa venne risparmiata da un bombardamento a tappeto alleato, non altrettanto si può dire di Messina, Taormina e Barcellona Pozzo di Gotto. Gli Alleati occuparono Santa Teresa il 17 agosto 1943, trovando una città deserta. Dopo aver preso possesso dei punti nevralgici della cittadina si diressero subito verso Messina, la quale venne conquistata senza particolari difficoltà. Le truppe britanniche costituirono a Santa Teresa un importante caposaldo e dopo avere requisito la Chiesa della Sacra Famiglia, la trasformarono in ospedale militare. Nel novembre 1945 un violento nubifragio causò il deragliamento di un treno che riportava a casa soldati siciliani prigionieri nei campi nazisti, l'incidente avvenne nel quartiere Bolina e si contarono 13 morti e 21 feriti, in quella sciagurata occasione tutti in paese si distinsero per coraggio e per la solidarietà verso i feriti. Durante il secondo dopoguerra, nonostante la massiccia emigrazione, si assiste ad un aumento della popolazione residente, nascono in questi anni nuove borgate, la cittadina si arricchisce di vari edifici pubblici, divenendo sede di scuole medie e di un Liceo classico. Nel 1952, si demolì la vecchia chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, del 1765, al suo posto vi si costruì l'attuale grande chiesa parrocchiale, inaugurata nel febbraio 1958. Il 26 novembre 1958, Santa Teresa di Riva veniva messa in ginocchio da una poderosa alluvione del Torrente Savoca che, rompendo gli argini, allagò per 7 giorni il quartiere Bucalo, danneggiò la chiesa della Madonna del Carmelo, abbatté alcune case e cagionò la morte di un'anziana donna. Gli anni settanta del XX secolo hanno visto la crisi della fiorente coltura del limone e la chiusura di quasi tutte le industrie, ma hanno conosciuto un sostenuto sviluppo urbanistico-edilizio che per certi versi continua tuttora. A partire dal 1970, viene costruito il lungomare cittadino, lungo circa 3,5 km. Dal 1970, la cittadina di Santa Teresa di Riva ha gradualmente abbandonato la sua vocazione prettamente agricola per abbracciarne una commerciale e turistica; purtroppo, mentre il commercio ha registrato un notevole incremento, la stessa cosa non può dirsi del turismo; Santa Teresa di Riva, nonostante la vicinanza di Taormina, le bellezze paesaggistiche e storiche, il limpido mare e la vasta spiaggia, non è ancora diventato un centro turistico nel vero senso del termine. Proprio nel periodo di tempo compreso tra il 1970 ed il 2000, si è assistito ad un vivace (alle volte disordinato) incremento urbanistico e demografico. Sono nate nuove borgate in zone che poco prima erano aperta campagna; è aumentata la popolazione, tale aumento è dovuto allo spopolamento dei vicini centri collinari (un tempo fiorenti e popolosi) di Savoca, Casalvecchio Siculo, Antillo, Forza d'Agrò e Limina. Nel volgere di tre decenni, è quasi scomparsa l'agrumicoltura santateresina, volano dell'economia locale, gli agrumeti, nella stragrande maggioranza dei casi, sono abbandonati diventando bersaglio di speculazioni edilizie. A tutt'oggi a S.Teresa di Riva, dimorano più di 10.000 persone (anche se ufficialmente i residenti anagrafici sono circa 9.296); considerevole è la presenza degli stranieri (3,5% della popolazione totale): Rumeni, Ucraini, Cinesi e Nordafricani convivono pacificamente con la popolazione locale nonostante la virulenta carenza occupazionale e il drammatico rallentamento dello sviluppo economico di questa cittadina, dovuto ad un'endemica miopia politico-amministrativa. Nel centro jonico hanno sede tre licei (classico,scientifico e pedagogico), l'ufficio del Giudice di Pace, la stazione Ferroviaria, il comando dell'Arma dei Carabinieri, lo sportello catastale, il 118, l'INPS, è stata soppressa la caserma della Guardia di Finanza ed è stata spostata la sede ASL nel vicino comune di Sant'Alessio Siculo. La cittadina di Santa Teresa di Riva è il capoluogo del Vicariato di San Basilio Magno, uno dei 16 vicariati in cui è suddivisa l'Arcidiocesi di Messina; di detto vicariato fanno parte i comuni della Valle d'Agrò. A tutt'oggi, escono a S.Teresa due testate giornalistiche locali: "Gazzetta Jonica" e "Jonia News" ed ha sede un'emittente radiofonica: Europa Radio. Dal 2002 S.Teresa di Riva è gemellata con la cittadina francese di Fuveau. Nel 2006, la cittadina di Santa Teresa di Riva è diventata il capoluogo dell'Unione dei Comuni delle Valli joniche dei Peloritani.

DATI RIEPILOGATIVI

Popolazione Residente 9.296 (M 4.427, F 4.869)
Densità per Kmq: 1.143,4
Superficie: 8,13 Kmq

CAP 98028
Prefisso Telefonico 0942
Codice Istat 083089
Codice Catastale I311

Denominazione Abitanti santateresini
Santo Patrono Madonna del Carmelo
Festa Patronale 16 luglio

Il Comune di Santa Teresa di Riva fa parte di:
Regione Agraria n. 6 - Montagna litoranea dei Peloritani

Comuni Confinanti
Furci Siculo, Sant'Alessio Siculo, Savoca

Teatri
Teatro Stabile Val d'Agrò.

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