Santa
Teresa di Riva è un comune della provincia
di Messina in Sicilia. Nel centro abitato esistono
tre torri medievali di un certo interesse storico.
Centro agricolo, commerciale e turistico specializzato
nella produzione di agrumi: limone e verdello limone
soprattutto, ma anche di vino, olio d'oliva, ortaggi,
mandorle e frutta in genere; risulta presente, seppur
ancora limitatamente, il florovivaismo. Allevamenti
di bovini, ovini, caprini e suini. Assente è
la presenza industriale. Sussistono piccole aziende
artigianali dedite all'edilizia, alla lavorazione
di legno e metalli, nonché frantoi dediti alla
produzione di olio d'oliva ricavato da oliveti locali.
Abbastanza sviluppato il commercio al minuto con circa
300 attività commerciali. Fin dalla metà
dell'Ottocento è sede di un importante mercato
quindicinale, punto di riferimento di tutta la Sicilia
orientale con circa 250 bancarelle. Comune pilota
del comprensorio storico-turistico-monumentale della
Valle d'Agrò che dista da Taormina solo 15
km. È altresì comune capofila dell'Unione
dei Comuni delle Valli joniche dei Peloritani e del
P.I.T. 13, fa parte del Distretto Turistico Taormina-Etna.
Al momento l'economia locale si basa sul terziario,
commercio, servizi e turismo balneare. È un
comune topologicamente non connesso, essendo costituito
da due componenti connesse, una comprendente un tratto
di costa (il capoluogo comunale) e una nell'entroterra
(le frazioni di Misserio e Fautarì).
ETIMOLOGIA
Il nome si riferisce ad una chiesa di Furci Siculo
dedicata alla santa e ubicata sulla riva del mare.
SANTUARIO
SANTA MARIA DEL CARMELO (Chiesa Matrice)
È stato edificato nel 1929, sul sito di una
vetusta chiesa del 1507 divenuta insufficiente a causa
del continuo aumento della popolazione. In passato
è stata anche sede di Arcipretura. L'attuale
edificio sacro venne inaugurato solennemente il 9
dicembre 1934 alla presenza di Mons. Angelo Paino,
Arcivescovo di Messina.È un pregevole esempio
di stile neo-romanico a tre navate, delimitate da
colonne con capitelli corinzi. E'stata progettata
e realizzata con criteri antisismici dagli ingegneri
Giovanni Crinò e Francesco Rigano. Conserva
al suo interno un soffitto cesellato a cassettoni
realizzato in cemento armato; il simulacro ligneo
della Madonna del Carmelo, del 1887, realizzato da
Francesco Lo Turco da Mongiuffi Melia e restaurato
nel 2006 troneggia sull'altare maggiore. Il catino
dell'abside è stato affrescato nel 1947, per
iniziativa dell'allora parroco don Domenico D'Arrò
(1913-1982), dagli artisti locali, i coniugi Elena
ed Antonino Garufi, con la raffigurazione dei quattro
Evangelisti. Compaiono poi, ai lati del transetto,
due grandi tele dipinte a olio nel 1970, da Raffaele
Stramondo, che raffigurano la Madonna del Carmelo
che conforta le anime purganti e la Madonna del Carmelo
mentre dona il Santo Abitino a San Simone Stock. La
chiesa è dotata di cinque altari: in primis
l'imponente altare marmoreo, del 1934, realizzato
dalla ditta Maccarrone da Acireale recante le raffigurazioni
marmoree dell'Annunciazione e dell'Assunzione di Maria
Vergine. Ai lati dell'abside si trovano, sulla destra,
l'altare dedicato al Sacro Cuore di Gesù e
sulla sinistra quello del Crocifisso e dell'Addolorata,
inaugurati, entrambi, nel 1950. Nelle navate laterali,
rispettivamente a destra ed a sinistra, si ammirano
l'altare di San Giuseppe e quello di San Giovanni
Bosco. Pregevole risulta l'organo del 1966, realizzato
dalla ditta "Mascioni" di Cuvio su commissione
dell'allora parroco don Salvatore Bonsignore (1914-1985),
tale organo è uno dei più importanti
della Diocesi di Messina. Sulla facciata del tempio
sono presenti, sopra i tre portali d'ingresso, tre
mosaici a lunetta, del 1934 opera dell'artista messinese
Adolfo Romano, raffiguranti la Madonna del Carmelo,
Santa Teresa d'Avila e Sant'Alberto. Da non dimenticare
il bel pulpito del 1937 ed il pavimento marmoreo del
1934. Fino al 1958, in chiesa erano custoditi tre
antichi quadri: uno del 1538 che raffigurava la Madonna
del Carmelo, uno del 1593, raffigurante la Crocifissione
di Cristo sul Monte Calvario ed un terzo che raffigurava
San Francesco Saverio, risalente alla prima metà
del XVIII secolo; questi quadri erano tra i pochi
oggetti salvati dalla demolizione del preesistente
edificio sacro del 1507. Tali preziose opere vennero
trafugate nei drammatici giorni dell'alluvione del
26-30 novembre 1958, quando la chiesa rimase invasa
da acqua e detriti alluvionali. Da non dimenticare
i simulacri lignei, di San Giovanni Battista (secolo
XIX), dell'Immacolata Concezione (1914), San Giuseppe
(1950), San Giovanni Bosco (1950), San Domenico Savio
(1964), che ancora oggi si ammirano all'interno della
chiesa. Accanto alla chiesa, sorge la canonica, edificata
nel 1937, anch'essa in stile neo-romanico, a due elevazioni
fuori terra. Conserva al suo interno dei pregevoli
affreschi raffiguranti scene della Sacra Scrittura
(anch'essi dipinti dai coniugi Elena ed Antonino Garufi
nel 1947) ed alcune tele ottocentesche. Il primo piano
è adibito ad abitazione del parroco. È
l'unica chiesa del paese ad essere dotata di campanile
edificato nel 1937 dalla ditta Maccarrone di Acireale.
Il 14 luglio 1958 è stata eretta Santuario
diocesano dall'allora Arcivescovo di Messina Mons.
Angelo Paino. In occasione del Giubileo del 2000 è
stata proclamata chiesa/santuario giubilare dall'Arcivescovo
di Messina Mons. Giovanni Marra (l'unica nella riviera
ionica messinese tra Alì e Forza d'Agrò).
Don Salvatore Mercurio (1932-2011) da Furci Siculo
ha retto la parrocchia dal 1985 fino alla sua improvvisa
morte avvenuta nell'agosto 2011. Dal 19 ottobre 2011
è Amministratore parrocchiale della parrocchia
don Gennaro Currò da Messina, coadiuvato dal
viceparroco don Daniele Femminò da Messina.
Il numero dei fedeli ammonta a circa 2000 abitanti.
CHIESA
SANTA MARIA DI PORTO SALVO
È ubicata nella zona meridionale del paese,
nel quartiere Ciumaredda Porto Salvo. Nel 1763, un
bastimento mercantile, in navigazione dinnanzi allo
specchio di mare antistante a Santa Teresa di Riva,
incappava in una poderosa tempesta di scirocco e levante.
Il capitano della nave, temendo per la propria vita
e per quella dei suoi marinai, affidò la sua
preghiera disperata alla Santa Vergine di Porto Salvo
affinché non fossero travolti e spazzati via
dal tifone. La preghiera venne ascoltata, e inspiegabilmente,
la nave si trovò fuori dal pericolo. Al fine
di ringraziare la Madonna per la grazia ricevuta,
due anni dopo, il capitano del mercantile, sul litorale
antistante allo specchio d'acqua in cui il miracolo
si era verificato, fece innalzare una chiesetta dedicandola
a Santa Maria di Porto Salvo. La chiesetta venne ampliata
nel 1854, sconsacrata nel 1958 e definitivamente demolita
verso il 1975. L'attuale edificio sacro, edificato
nel 1952 vicino al sito ove sorgeva la vecchia chiesetta
del 1765, è di stile neo-romanico a croce latina
con unica navata. Conserva al suo interno un pregevole
mosaico, realizzato sul catino dell'abside, raffigurante
Cristo Pantocratore, eseguito nel 1995 dalla "Ditta
Eredi di Michele Mellini" di Firenze. Da non
dimenticare la pregevole statua lignea della Madonna
di Porto Salvo scolpita nella prima metà del
XIX secolo da ignoto autore napoletano. Di grande
espressività risulta il grande Crocifisso ligneo
che troneggia nell'abside sopra l'altare principale,
è del 1840 circa. La chiesa conserva altresì
due grandi e pregevoli tele eseguite nel 2008 dall'artista
santateresino arch. Giuseppe Bonarrigo, la prima raffigura
Santa Teresa d'Avila, la seconda raffigura Santa Maria
Madre di Dio tra i Santi Messinesi (San Placido, Santa
Eustochia e Sant'Annibale Maria di Francia) con sullo
sfondo un panorama del Porto e della città
di Messina. La chiesa conserva pure un antico quadro,
della seconda metà del XIX secolo, che raffigura
Santa Maria di Porto Salvo. Tale quadro, la terza
domenica di novembre viene portato dai fedeli in processione
fino alla vicina spiaggia per invocare la Protezione
Divina su tutti i marinai. Degni di nota risultano:
la statua della Madonna Addolorata, l'Ecce Homo ed
il Cristo Morto; tali simulacri (detti anche Varette),
realizzati nella prima metà del XIX secolo,
vengono portati in processione in occasione del Venerdì
Santo. La Parrocchia di Porto Salvo, è retta
dal novembre 2006 da don Roberto Romeo da Nizza di
Sicilia. Con 5.000 anime, è la più grande
e popolosa di S.Teresa di Riva.
CHIESA
DELLA SACRA FAMIGLIA
È stata eretta a parrocchia dall'Arcivescovo
di Messina Angelo Paino il 21 novembre 1945, fino
ad allora era una chiesa succursale della Parrocchia
S. Maria del Carmelo. La chiesa, che si trova al centro
della cittadina jonica, è ad unica grande navata
in stile barocco con soffitto ligneo. Pregevole è
l'altare maggiore, del 1934, di marmo intarsiato policromo
in stile barocco. Di sommo interesse è il seicentesco
altare laterale del Santissimo Sacramento, anch'esso
in stile barocco dotato di un interessante tronetto
per l'esposizione eucaristica, questo prezioso manufatto
venne qui collocato nel 1950, proveniente dalla cinquecentesca
chiesa (ormai in rovina) di Gesù e Maria di
Savoca. Nella facciata principale si può ammirare
una vetrata raffigurante la Sacra Famiglia. L'edificio
sacro venne costruito tra il 1903 ed il 1934, per
iniziativa del Sindaco del tempo Francesco Paolo Caminiti
e col contributo di tutto il popolo. Nell'estate del
1943 venne requisita dalla truppe d'occupazione inglesi
e adibita ad ospedale militare. Da non dimenticare
tra le altre opere di pregio: l'Icona della Sacra
Famiglia proveniente dalla Cella di San Giorgio a
Kausokalivia dei monaci ortodossi del Monte Athos
in Grecia ed il Crocifisso ligneo proveniente dalla
chiesa S. Maria Assunta di Nizza di Sicilia, che giganteggia
nell'abside. Sopra l'altare laterale è collocata
una grande tela, dipinta dal pittore e architetto
santateresino Giuseppe Bonarrigo nel 2008, raffigurante
le "Nozze di Cana". La parrocchia, con 2400
abitanti, è retta dal Parroco don Gennaro Currò
da Messina (altresì Amministratore parrocchiale
della vicina parrocchia della Madonna del Carmelo)
coadiuvato dal viceparroco don Daniele Femminò.
TORRE
DEI SARACENI
Sorge nel quartiere Bucalo, accanto alla chiesa matrice
della Madonna del Carmelo. A dispetto del nome, non
è stata edificata dai Saraceni, ma a difesa
contro le loro scorrerie. Secondo recenti studi, la
sua costruzione risale al XII secolo, forse anche
prima. Ha forma cilindrica ed ha annessa una palazzina
merlata risalente allo stesso periodo. La palazzina
ha due piani fuori terra, la torre ne ha tre. Recenti
studi condotti dallo storico locale Arch. Salvatore
Coglitore hanno appurato l'esistenza sia sotto la
torre che sotto la palazzina, di due piani interrati,
di cui uno accessibile e l'altro pieno di detriti
alluvionali risalenti alle alluvioni del Torrente
Savoca del 1934 e 1958. Si evince, dunque, che questo
edificio durante il Medioevo doveva essere veramente
maestoso ed imponente, superando i 15 metri di altezza.
La torre e l'annessa palazzina furono, fino al 1503
circa, dimora estiva e balneare dell'Archimandrita
di Messina, signore feudale di queste terre, l'alto
prelato, infatti, vi soggiornava per qualche giorno
l'anno, insieme alla sua corte, quando, in periodi
di riposo, decideva di concedersi bagni di mare e
di sole. Dopo il 1503, l'Archimandrita Alfonso d'Aragona,
la concesse assieme alla piana circostante alla famiglia
savocese dei Bucalo che, la ampliarono e vi edificarono
accanto una chiesetta e, la utilizzarono come residenza
e come punto di difesa contro la scorrerie dei pirati
Saraceni. Durante questo periodo, la Torre dei Saraceni
aveva una certa importanza nel territorio; tanto è
vero che, il 12 agosto 1695, al suo interno venne
stipulato l'atto che separava il villaggio di Pagliara
dall'amministrazione di Savoca e lo proclamava comune
autonomo. Il casato dei Bucalo possedette quest'edificio
fino al 1708, quando gli ultimi eredi, Benedetto e
Paolo, lo donarono, per testamento, ai Gesuiti che
lo tennero, adibendolo ad ospizio, fino al 1767, anno
in cui furono scacciati dai Borboni; quindi passò
ai Marchesi Carrozza che l'ebbero in proprietà
fino al 1892. Nel 1849, questo complesso edilizio
fu danneggiato dalle cannonate della flotta di Ferdinando
II di Borbone, il re bomba, durante i moti del 1848/49.
La Torre di Saraceni, nel 1892, venne comprata dall'ing.
Giuseppe Pelleri che provvide a restaurarla, ma tale
intervento ne mutò i connotati originari infatti
ancora oggi presenta i caratteri e lo stile derivanti
dal restauro del 1895. Fino al tutto il Settecento,
la Torre di Saraceni era collegata alla Torre del
Baglio, distante circa 500 metri, tramite una galleria
sotterranea. Oggi la torre e la palazzina annessa
sono circondate da un grazioso villino, danno sulla
Piazza del Carmelo e sono in buone condizioni di conservazione,
tanto da essere adibite a civile abitazione. Proprietari
sono ancora, in parte, i discendenti della famiglia
Pelleri.
TORRE
DEL BAGLIO
È situata nel quartiere Sparagonà, ed
è in condizioni di degrado. Ha forma quadrata
ed è a due elevazioni fuori terra separate
tra loro mediante una volta cieca. Prende il nome
dal fatto che si trovava nel bel mezzo di un antico
quartiere di case,"u bagghiu", tra loro
accomunate da un grande cortile. Non si conosce con
precisione l'epoca della sua edificazione. Probabilmente,
venne edificata nei primissimi anni del XVI secolo
dalla nobile famiglia savocese dei Bucalo, che, nel
1503, aveva ricevuto, in concessione perpetua dall'Archimandrita
di Savoca, le terre circostanti detta torre. Antichi
riveli, del XVI secolo, certificano che questo manufatto
difensivo, nel 1593, risultava appartenere a "Crisafulli
Antonina, vedova di Binidittu Buculo, abitatrice della
Terra di Savoca" che in contrada Sparagonà,
possedeva oltre a detta torre, un grande vigneto.
Verso la prima metà del Seicento si trova tra
le proprietà di Santoro Crisafulli (1570-1636),
nobile savocese, che fu, tra il 1611 e il 1620, Giudice
della Regia Gran Corte e Luogotenente dello Strategoto
di Messina. Dalla fine del Settecento appartenne alla
famiglia di Angelo Caminiti (1781-1855), fautore dell'autonomia
comunale della Marina di Savoca, che abitava in un
palazzotto attiguo alla torre del baglio, oggi non
più esistente. La torre non venne risparmiata
dal cannoneggiamento borbonico del 30 marzo 1849,
che la distrusse parzialmente e mandò in totale
rovina i palazzotto attiguo. Oggi la torre appartiene
alla famiglia Pagliuca di Scaletta Zanclea.
TORRE
DI CATALMO
Sorge nell'omonimo quartiere (al confine col comune
di Savoca) ed è in discrete condizioni di conservazione,
è a pianta quadrata a due elevazioni. Si erge
nel bel mezzo del sito in cui anticamente era situata
la cittadina di Phoinix e non si esclude che sia sorta
sulle basi di un più antico manufatto di epoca
greco-romana. Recenti studi archivistici condotti
dallo storico locale Santo Lombardo hanno fatto emergere
alcune interessanti notizie sull'origine di questo
antico edificio difensivo. La Torre di Catalmo venne
edificata nel 1506 dal facoltoso costruttore savocese
don Pietro Trimarchi, probabilmente, la stessa persona
che pochi anni prima aveva ristutturato la Chiesa
Madre di Savoca. Verso la fine del XV secolo, a Savoca,
un'annosa controversia contrapponeva la facoltosa
famiglia del suddetto don Pietro Trimarchi a quella
di don Paolo Storiali. Tale controversia aveva come
oggetto delle beghe di confine tra i fondi dei succitati
personaggi. Non essendo stata la lite risolta secondo
i canoni del diritto, si passò facilmente alle
vie di fatto e i contendenti vennero alle armi. Nel
1494, i Trimarchi assalirono la casa degli Storiali,
intenzionati ad uccidere don Paolo ed il fratello
Giovanni, ma non vi riuscirono; non molto tempo dopo,
furono gli Storiali a tentare di uccidere don Pietro,
ma neanche loro riuscirono a portare a termine il
loro progetto criminoso. Per cercare di scampare a
questa faida, don Pietro Trimarchi decise di lasciare
l'alto di Savoca e trasferirsi nella quasi disabitata
Marina, lì costruì una grande fattoria,
a difesa della quale eresse detta Torre ed un recinto
di mura merlate. Proprio per questo motivo, nel XVI
secolo la Torre di Catalmo era nominata "Torre
Trimarchi". Le antiche cronache, specificano
che don Pietro Trimarchi edificò tali opere
difensive non solo contro le scorrerie dei Corsari
barbareschi, ma anche contro i possibili agguati del
suo acerrimo nemico don Paolo Storiali. Fino a tutto
il XVIII secolo fu una torre militare di grande importanza
strategica, in costante contatto con il vicino Castello
di Pentefur. Verso la fine del XVIII secolo, venendo
meno la minaccia dei pirati, perse le sue peculiarità
strategico-difensive. Infine, è importante
sottolineare che, la Torre di Catalmo, è stata
erroneamente appellata, da alcuni storici locali,
come Torre Sollima; detta torre non ha nulla a che
vedere con la torre in questione, essendo la Torre
Sollima ubicata in località Locadi.
Oggi risulta essere monumento nazionale e fino al
1970 era adibita a civile abitazione.
TORRE
AVARNA
Oggi ne sopravvivono solo miseri resti. Era a pianta
circolare e a due piani, con finestre e feritoie,
sulla sommità era collocata una colubrina rivolta
verso il mare. Si ergeva nel quartiere Bolina, nel
sito su cui era situato l'antico centro abitato di
Phoinix. Era posta in costante comunicazione visiva
col Castello di Sant'Alessio Siculo e con quello di
Pentefur. Si chiamava così perché situata
nel feudo del Duca Avarna. Già ai primi del
secolo XIX era in rovina e, venne demolita quasi del
tutto nel 1839. In questo sito, sempre nel 1839, eseguendo
degli scavi, si rinvennero un mezzo busto in marmo,
vasellame di terracotta, armi, monete d'età
romana ed altro. Nelle vicinanze si trova la Casa
Fortezza di Bolina, risalente al XIX secolo.
TORRE
VARATA
Oggi non più esistente, si ergeva, altissima,
nei pressi dell'omonimo quartiere cui diede il nome.
Era una torre militare integrata nel sistema difensivo
della riviera. Aveva forma cilindrica a due elevazioni
e sulla sommità era dotata di columbrina. Quando
nel 1870 venne demolita era in stato di sfacelo, il
tifone del 1763 l'aveva pericolosamente incrinata,
quasi al punto di cadere, da qui il termine siciliano
"varata"
ORIGINI
E CENNI STORICI
Le origini risalgono, secondo alcuni studiosi, al
IX - VIII secolo prima di Cristo, allorquando colonizzatori
fenici fondarono, sul litorale ove oggi sorge Santa
Teresa di Riva, una piccola stazione commerciale che,
successivamente, diede origine ad un piccolo centro
abitato il quale, attorno al 400 a.C., ospitò
una popolazione mista di indigeni Siculi, Fenici e
Greci. Questi ultimi provenienti dalla vicina Naxos
che, in quel periodo, subì la distruzione ad
opera del tiranno Dionigi di Siracusa. Furono proprio
i Greci a chiamare questo villaggio Phoinix, che significa
Fenice, o meglio Villaggio di Fenici, Phoinix, che
in epoca greca era sotto la giurisdizione della polis
di Messana o Zancle. Nel 314 a.C., Phoinix, insieme
a Messana, venne occupata dall'esercito del Tiranno
siracusano Agatocle, che aveva intenzione di unificare
sotto la sua corona tutta la Sicilia. La città
di Phoinix è citata dallo storico Appiano di
Alessandria vissuto nel II secolo d.C., il quale scrive
che nell'agosto del 36 a.C. (durante le guerre civili
romane per la successione a Gaio Giulio Cesare) vi
si accampò per una notte l'esercito di Sesto
Pompeo in attesa della battaglia contro Ottaviano;
Appiano riferisce che la città in questione
era poco a nord del Capo Argennum (oggi Capo S.Alessio),
circa 2 km, proprio dove oggi sorgono i quartieri
di Bolina, Barracca, Catalmo e Cantidati. Confutano
quanto narrato numerosi ritrovamenti archeologici
casuali (oggi non più visibili) verificatisi
negli anni passati nel quartiere Bolina e nel quartiere
Catalmo, proprio nei pressi dell'omonima antica torre,
sono stati portati alla luce, durante lo scavo di
alcuni pozzi, monete di età traianea, piccole
scalinate in pietra o mattoni, vasellame domestico,
pareti di piccole abitazioni. Inoltre, riferisce il
frate cappuccino p.Giampietro da S.Teresa [senza fonte](al
secolo Giuseppe Rigano 1881-1950) che attorno al 1865,
durante i lavori per la costruzione della stazione
ferroviaria, ove oggi sorge il quartiere Torrevarata,
fu scoperta un'antica necropoli in stile orientale
che purtroppo fu subito saccheggiata e distrutta dagli
operai che la portarono casualmente alla luce. Questa
necropoli constava di numerose tombe coperte da lastroni
di pietra ed al loro interno contenevano, oltre agli
scheletri, monili femminili e piccolo vasellame; questa
caratteristica dimostra che questa necropoli non era
"un semplice cimitero di guerra" ove i cadaveri
vengono sepolti in modo frettoloso e disordinato,
ma la necropoli di uno stabile e vicino centro abitato,
Phoinix appunto, che sorgeva a circa 1 km di distanza.
Tutte queste notizie sono riportate, con assoluta
precisione, dal manoscritto inedito redatto dal summenzionato
frate cappuccino nel 1936. Successivamente, verso
il III-IV secolo d.C., forse a causa di un forte evento
sismico o alluvionale,(è storicamente appurato
che nel 374 d.C., nel 650 d.C. e nell'853 d.C. il
messinese, o più in generale lo Stretto di
Messina, venne interessato da violenti terremoti/maremoti)
la cittadina di Phoinix scomparve dalla faccia della
terra e dalla memoria degli uomini. Era il periodo
della rovinosa e progressiva fine della egemonia romana
nel Mar Mediterraneo e le invasioni barbariche e le
scorrerie piratesche resero insicura la vita sul litorale,
proprio per questo gli abitanti di Phoinix piuttosto
che ricostruire il loro villaggio sul sito originario,
preferirono abbandonarlo per dare vita a nuovi centri
abitati più sicuri e difendibili poiché
eretti sui monti circostanti. Attorno al IV-V secolo
d.C. nacquero Pentefur (oggi Savoca), Palaionchorion
(oggi Casalvecchio Siculo), Limen (oggi Limina) ed
Antillo. Poi arrivarono i Vandali, gli Ostrogoti,
i Bizantini, gli Arabi e i Normanni. Fu re Ruggero
il Normanno a fondare nel 1139 la Baronia di Savoca,
"accozzando insieme molti villaggi saraceni"
arroccati sui monti Peloritani, la Baronia di Savoca
fu fino al 1812 feudo dell'Archimandrita di Messina.
Fu altresì una potente città feudale
che raggiunse l'apice del suo splendore tra l'inizio
del XV secolo e la fine del XVIII. L'Antichissima
Phoinix, ora chiamata Marina di Savoca era appunto
sotto la giurisdizione politica e amministrativa della
Terra di Savoca ed era divisa in tre grandi feudi;
Camillo Camilliani, geografo e matematico fiorentino,
nel 1584 la descriveva come una landa semi deserta,
popolata da pochi agricoltori e pescatori, che la
notte, per paura delle continue scorrerie dei pirati
saraceni, tornavano al sicuro nella fortificata cittadina
collinare di Savoca; questi pescatori, erano costretti
a trascinarsi dietro le loro pesanti imbarcazioni,
tale faticosa operazione avveniva attraverso il piccolo
torrente Porto Salvo ed il Vallone Buzzuratti, madiante
robuste funi e corrucole di legno, le barche venivano
trascinate via terra fin sotto l'abitato del quartiere
San Rocco di Savoca, lì erano al sicuro dalle
razzie dei pirati e dei briganti. Già nei primissimi
anni del XVI secolo si stabilì nella Marina
la famiglia savocese dei Bucalo, che ebbe in concessione
dall'Archimandrita di Messina Alfonso d'Aragona un'enorme
porzione di litorale compresa tra il Torrente Savoca
e il Torrente Porto Salvo, nel 1507 costruirono una
chiesetta dedicata al SS Crocifisso (che poi sarà
dedicata alla Madonna del Carmelo), la prima in tutta
la Marina, e si dedicarono alla coltivazione di quelle
deserte contrade situate alla destra del torrente
Savoca. I Bucalo furono signori di questa enorme porzione
di terreno per più di due secoli, generazione
dopo generazione. Gli ultimi eredi della famiglia
Bucalo furono i sacerdoti Benedetto e Paolo, i quali,
nel 1708 lasciarono i loro averi per testamento ai
Gesuiti, questi vi rimasero fino al 1767, anno in
cui vennero cacciati dal governo borbonico, e, i loro
averi vennero confiscati e venduti all'asta. Ne approfittò
subito il Marchese Carrozza (originario di Milazzo)
che acquistò con poco denaro questi beni confiscati
e divenne proprietario di un latifondo che si estendeva,
appunto, dal Torrente Savoca al Torrente Porto Salvo.
Solo verso la metà del XVIII secolo, quando
la minaccia dei corsari barbareschi nel Mar Mediterraneo
iniziò a venire meno, cominciarono a sorgere
i primi insediamenti stabili sul litorale della Marina
di Savoca. Vennero edificate case, qualche palazzo
nobiliare, qualche chiesetta e alcuni opifici. Nel
febbraio 1763, però, l'esistenza di questo
piccolo centro abitato venne messa duramente a repentaglio
da un violento tifone che seminò morte e distruzione
per quelle contrade. Nonostante le avversità
naturali, le borgate della Marina di Savoca risorsero
lentamente, tanto che, verso il 1820, la Marina di
Savoca era un fiorente centro agricolo, commerciale
e artigianale, contava più di mille abitanti
ed era in continua espansione grazie alla coltura
della vite, del limone e del baco da seta. Nel 1830,
una nuova alluvione del Torrente Pagliara, seminò
morte e distruzione nella borgata di Furci, spazzando
via il quartiere Matrh'a Razia (Madonna delle Grazie),
ma ormai gli insediamenti erano stabili e, di conseguenza,
questa seconda terribile alluvione non rappresentò
un insormontabile ostacolo al continuo sviluppo umano
ed economico della Marina di Savoca. Nel 1840, don
Antonio Russo Gatto (1809-1868), ricco commerciante
messinese, costruì nella Marina di Savoca un
opificio dedito alla lavorazione e al commercio degli
agrumi e dei derivati di questi, nello stesso periodo
sorsero due pastifici e due mercanti inglesi, don
Giovanni Causton e don Giacomo Smith, nel quartiere
Cantidati dal 1825 gestirono una rivendita di vini
destinata all'esportazione del vino locale verso il
Regno di Gran Bretagna. Lo sviluppo della Marina di
Savoca era, però, soffocato dalla "amministrazione"
savocese, gestita da una classe dirigente costituita
da una nobiltà parassitaria, arrogante e reazionaria,
che vessava i "Marinoti" con continui balzelli
e soprusi di ogni genere. Il 23 luglio 1820, in occasione
dei Moti Carbonari, i Marinoti stanchi delle vessazioni,
assalirono Savoca incendiando i "palazzi del
potere" (municipio, carcere, giudicato e archivio)
e le residenze di alcuni notabili dell'oligarchia
savocese, tra cui quella dello stesso sindaco don
Domenico Scarcella. La rivolta era ordita da alcuni
carbonari, capeggiati da Angelo Caminiti (1781-1855)
che più di tutti si distinse nella lotta per
l'autonomia. Da non dimenticare il contributo diplomatico
apportato, a favore dell'autonomia comunale dall'Abate
Antonino Garufi (1775-1842), costui, fratellastro
di Angelo Caminiti, fu figura di grande rilievo nell'organizzazione
ecclesiastica siciliana dei primi dell'Ottocento,
la sua salma imbalsamata è oggi ancora esposta
nella cripta dei cappuccini di Savoca. Gli anni che
vanno dal 1820 al 1853 furono anni di scontri, tumulti,
speranze e delusioni. Il 12 gennaio 1848, la Sicilia
si solleva contro l'oppressore borbonico, autoproclamandosi
indipendente e restaurando l'antico Parlamento Siciliano,
Capo di Stato provvisorio fu Ruggero Settimo. L'esperienza
indipendentista siciliana durò dolo 16 mesi,
durante i quali, dal 1º gennaio 1849, la Marina
di Savoca, con le sue borgate di Furci, Bucalo, Porto
Salvo e Barracca, venne eretta a comune autonomo col
nome di Bucalo. La sede municipale venne posta nel
rione Sparagonà, nei pressi della Torre del
Baglio, primo ed unico sindaco fu don Giuseppe Caminiti
di Angelo (1814-1877). Purtroppo, come dicevamo, l'indipendenza
della Sicilia durò poco più di un anno,
i borboni ripresero, con inaudita violenza, il controllo
dell'Isola; fatto ciò annullarono tutti gli
atti normativi emanati dal Governo Secessionista dello
Stato di Sicilia, sicché il neonato comune
di Bucalo, dopo soli tre mesi di vita autonoma, venne
soppresso, tornando sotto il controllo di Savoca.
Ma c'è di più: il 30 marzo 1849, reparti
dell'esercito borbonico, dopo un bombardamento navale,
per rappresaglia, misero a ferro e fuoco la Marina
di Savoca, incendiando case, opifici, magazzini ed
il municipio e abbattendo parte della Torre del Baglio.
Nonostante la traumatica esperienza, già dal
1849 riprese con maggior slancio la lotta dei Marinoti
per l'autonomia. Il 17 marzo 1851, il Decurionato
di Savoca deliberò (6 voti contro 4) di concedere,
finalmente, l'autonomia comunale alle borgate rivierasche
della Marina. Il 1º luglio 1853 il re delle Due
Sicilie Ferdinando II di Borbone firmò il decreto
che sancì la divisione tra Savoca e la sua
Marina, i Marinoti grati al loro re, battezzarono
il novello comune "Santa Teresa" in onore
di Maria Teresa d'Asburgo-Teschen, consorte di Ferdinando
II. Il comune di Santa Teresa nasceva ufficialmente
il 1º gennaio 1854, contava 2.400 abitanti, era
inglobato nel Distretto di Castroreale e faceva parte
del Circondario di Savoca. Il primo sindaco fu Vincenzo
Gregorio, il primo prete fu il rev.don Sebastiano
Scarcella.
Nell'estate del 1854, il colera colpì duramente
la città di Messina e quasi tutta la sua provincia,
Santa Teresa non venne risparmiata, nel neonato comune,
in pochi mesi, si registrarono circa cinquanta decessi
cagionati da questa epidemia. Già nel febbraio
1855, Santa Teresa diventò capoluogo del Circondario
di Savoca e, sostituendola, assurse a comune più
importante della rivera ionica della Provincia di
Messina; a Santa Teresa vennero stabilite la sede
del Regio Giudicato e la prigione circondariale. In
quegli anni, il Sac. don Antonino Castorina (1819-1905)
aprì la prima scuola di Santa Teresa, era gratuita
e si prefiggeva l'obiettivo di combattere l'imperante
analfabetismo tra la popolazione; così i bambini
del paese (appartenenti al ceto popolare) iniziarono
ad imparare a leggere, scrivere e contare.
Nel 1861, con l'Unità d'Italia, fu aggiunto
il suffisso "di Riva" per distingure il
centro in questione dall'omonimo centro della Sardegna;
vennero istituite le caserme dei Carabinieri e della
Guardia di Finanza; il paese divenne, altresì,
sede di svariati uffici pubblici. Viene soppresso
il Circondario di Santa Teresa e viene istituito il
mandamento di Santa Teresa di Riva. Nel 1866, viene
inaugurata la ferrovia Messina-Giardini Naxos, a Santa
Teresa di Riva venne edificata una delle stazioni
più importanti.
L'economia santateresina continuò a basarsi
su agricoltura, pesca e commercio, ma l'Unità
d'Italia non portò i vantaggi sperati durante
l'invasione dei Mille, anzi provocò, più
che altro, una lenta decadenza delle attività
economiche da secoli radicate in Sicilia. A partire
dal 1870, la coltura della vite, venne progressivamente
sostituita da quella del limone; a tal fine, in quegli
anni, sorsero numerosi opifici dediti alla commercializzazione
ed alla lavorazione dei limoni locali. Nell'ultimo
trentennio del XIX secolo, si assiste ad un ulteriore
incremento demografico ed edilizio; si stabiliscono
nel giovane comune ionico numerosissime famiglie,
provenienti dai comuni collinari vicini, attirate
dalle maggiori opportunità di lavoro; per questo
motivo, è fondata nel 1876, la Società
Operaia, la prima in tutta la Val d'Agrò. Nel
1879, a causa del grande aumento demografico, è
costruito il primo cimitero cittadino.
Nel 1881 si raggiunse quota 3.675 abitanti, venne
ampliata la cinquecentesca Chiesa della Madonna del
Carmelo, la quale, nel 1884, venne proclamata chiesa
matrice della città. Nel 1901, nacque la prima
banda musicale cittadina. È proprio nell'ultimo
cinquantennio del XIX secolo che alcune famiglie di
facoltosi si trasferiscono a Santa Teresa, provenienti
soprattutto da Savoca e Casalvecchio Siculo: in questi
anni l'abitato si arricchisce di svariati eleganti
palazzotti nobiliari, come La Villa Carrozza del 1870,
la Villa Crisafulli del 1890, il Palazzo Salvo del
1850, il Palazzo Trimarchi del 1895, sito in Piazza
del Carmine, il Palazzo Caminiti in Piazza Porto Salvo,
solo per citarne alcuni. Nel 1903, per iniziativa
del sindaco Francesco Paolo Caminiti, iniziano i lavori
di costruzione della monumentale chiesa della Sacra
Famiglia, a tutt'oggi ubicata nella zona centrale
del paese. Il catastrofico terremoto del 1908 colpì
anche Santa Teresa di Riva e causò il crollo
di alcuni fabbricati, tra i quali, il campanile della
antica chiesa della Madonna del Carmelo, ma nel paese
non si registrarono morti.
Nacquero nel corso del XX secolo numerose imprese
industriali, oggi purtroppo tutte estinte, come la
"Citrica", che distillava dai limoni l'acido
citrico; l'"Atelana", che produceva lana
minerale isolante, la "CAET" che si dedicava
alla produzione di pali in calcestruzzo e la "STAT"
autolinee. Nel 1919 la popolosa borgata di Furci si
separò dal comune di Santa Teresa di Riva,
dando vita al comune di Furci Siculo. Durante il fascismo
Santa Teresa di Riva conobbe un ulteriore incremento
edilizio e demografico. Nel 1929 venne demolita la
cinquecentesca chiesa Madre della Madonna del Carmelo
e, sullo stesso sito, si mise mano alla costruzione
di quella attuale, che fu inaugurata solennemente
nel 1934. All'inizio degli anni 1930, la crisi del
malsecco colpì i lussureggianti agrumeti santateresini,
trasformandoli in poco tempo in lande desolate. Ma
già dal 1935, iniziò la ripresa di queste
coltivazioni e la produzione tornò a toccare
i picchi registrati nei tempi migliori. Negli anni
che vanno dal 1928 al 1948 il Comune di Savoca venne
soppresso e fu relegato a semplice frazione del comune
rivierasco di Santa Teresa di Riva, medesima sorte
subì pure Casalvecchio Siculo tra il 1928 ed
il 1939. Durante la Seconda guerra mondiale, a Santa
Teresa di Riva era distaccato un caposaldo tedesco,
gli inglesi, pur di raggiungere Messina prima degli
Americani, erano pronti a radere al suolo la cittadina
di Santa Teresa al fine di annientare tale caposaldo
nemico. Per questo nel luglio del 1943 i santateresini
abbandonarono in massa le proprie abitazioni e cercarono
scampo sulle alture circostanti. Ma i tedeschi decisero
ad agosto di abbandonare in fretta e furia Santa Teresa
e tutta la Sicilia, fecero saltare alcuni ponti e
raggiunsero frettolosamente il continente. Fu così
che Santa Teresa venne risparmiata da un bombardamento
a tappeto alleato, non altrettanto si può dire
di Messina, Taormina e Barcellona Pozzo di Gotto.
Gli Alleati occuparono Santa Teresa il 17 agosto 1943,
trovando una città deserta. Dopo aver preso
possesso dei punti nevralgici della cittadina si diressero
subito verso Messina, la quale venne conquistata senza
particolari difficoltà. Le truppe britanniche
costituirono a Santa Teresa un importante caposaldo
e dopo avere requisito la Chiesa della Sacra Famiglia,
la trasformarono in ospedale militare. Nel novembre
1945 un violento nubifragio causò il deragliamento
di un treno che riportava a casa soldati siciliani
prigionieri nei campi nazisti, l'incidente avvenne
nel quartiere Bolina e si contarono 13 morti e 21
feriti, in quella sciagurata occasione tutti in paese
si distinsero per coraggio e per la solidarietà
verso i feriti. Durante il secondo dopoguerra, nonostante
la massiccia emigrazione, si assiste ad un aumento
della popolazione residente, nascono in questi anni
nuove borgate, la cittadina si arricchisce di vari
edifici pubblici, divenendo sede di scuole medie e
di un Liceo classico. Nel 1952, si demolì la
vecchia chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, del
1765, al suo posto vi si costruì l'attuale
grande chiesa parrocchiale, inaugurata nel febbraio
1958. Il 26 novembre 1958, Santa Teresa di Riva veniva
messa in ginocchio da una poderosa alluvione del Torrente
Savoca che, rompendo gli argini, allagò per
7 giorni il quartiere Bucalo, danneggiò la
chiesa della Madonna del Carmelo, abbatté alcune
case e cagionò la morte di un'anziana donna.
Gli anni settanta del XX secolo hanno visto la crisi
della fiorente coltura del limone e la chiusura di
quasi tutte le industrie, ma hanno conosciuto un sostenuto
sviluppo urbanistico-edilizio che per certi versi
continua tuttora. A partire dal 1970, viene costruito
il lungomare cittadino, lungo circa 3,5 km. Dal 1970,
la cittadina di Santa Teresa di Riva ha gradualmente
abbandonato la sua vocazione prettamente agricola
per abbracciarne una commerciale e turistica; purtroppo,
mentre il commercio ha registrato un notevole incremento,
la stessa cosa non può dirsi del turismo; Santa
Teresa di Riva, nonostante la vicinanza di Taormina,
le bellezze paesaggistiche e storiche, il limpido
mare e la vasta spiaggia, non è ancora diventato
un centro turistico nel vero senso del termine. Proprio
nel periodo di tempo compreso tra il 1970 ed il 2000,
si è assistito ad un vivace (alle volte disordinato)
incremento urbanistico e demografico. Sono nate nuove
borgate in zone che poco prima erano aperta campagna;
è aumentata la popolazione, tale aumento è
dovuto allo spopolamento dei vicini centri collinari
(un tempo fiorenti e popolosi) di Savoca, Casalvecchio
Siculo, Antillo, Forza d'Agrò e Limina. Nel
volgere di tre decenni, è quasi scomparsa l'agrumicoltura
santateresina, volano dell'economia locale, gli agrumeti,
nella stragrande maggioranza dei casi, sono abbandonati
diventando bersaglio di speculazioni edilizie. A tutt'oggi
a S.Teresa di Riva, dimorano più di 10.000
persone (anche se ufficialmente i residenti anagrafici
sono circa 9.296); considerevole è la presenza
degli stranieri (3,5% della popolazione totale): Rumeni,
Ucraini, Cinesi e Nordafricani convivono pacificamente
con la popolazione locale nonostante la virulenta
carenza occupazionale e il drammatico rallentamento
dello sviluppo economico di questa cittadina, dovuto
ad un'endemica miopia politico-amministrativa. Nel
centro jonico hanno sede tre licei (classico,scientifico
e pedagogico), l'ufficio del Giudice di Pace, la stazione
Ferroviaria, il comando dell'Arma dei Carabinieri,
lo sportello catastale, il 118, l'INPS, è stata
soppressa la caserma della Guardia di Finanza ed è
stata spostata la sede ASL nel vicino comune di Sant'Alessio
Siculo. La cittadina di Santa Teresa di Riva è
il capoluogo del Vicariato di San Basilio Magno, uno
dei 16 vicariati in cui è suddivisa l'Arcidiocesi
di Messina; di detto vicariato fanno parte i comuni
della Valle d'Agrò. A tutt'oggi, escono a S.Teresa
due testate giornalistiche locali: "Gazzetta
Jonica" e "Jonia News" ed ha sede un'emittente
radiofonica: Europa Radio. Dal 2002 S.Teresa di Riva
è gemellata con la cittadina francese di Fuveau.
Nel 2006, la cittadina di Santa Teresa di Riva è
diventata il capoluogo dell'Unione dei Comuni delle
Valli joniche dei Peloritani.