Agrigento
è una città della Sicilia, capoluogo
dell'omonima provincia. La città fu fondata
nel 581 a.C. da alcuni abitanti di Gela, originari
delle isole di Rodi e di Creta, col nome di Akragas,
dall'omonimo fiume che bagna il territorio. La dominazione
greca durò circa 370 anni, durante i quali
Akragas acquistò grande potenza e splendore,
tanto da essere soprannominata da Pindaro "la
più bella città dei mortali", come
testimonia la meravigliosa Valle dei Templi(sopra
c'è il Tempio della Concordia, un tempio della
Valle dei Templi). Inizialmente si instaurò
la tirannide di Falaride (570-554 a.C.) che fu caratterizzata
da una politica di espansione verso l'interno, dalla
fortificazione delle mura e dall'abbellimento della
città. Tuttavia Falaride fu meglio conosciuto
per la sua crudeltà e spietatezza e per l'uso
del toro di bronzo come strumento di tortura per le
vittime sacrificali. Il condannato veniva posto al
suo interno e del fuoco riscaldava continuamente il
toro finché egli non moriva ustionato. Durante
l'agonia la vittima emetteva dei lamenti che, come
dei muggiti, fuoriuscivano dalla bocca del toro. Il
suo ideatore, Perillo, fu il primo a provarne gli
effetti. Odiato dal popolo, Falaride morì lapidato
e, poiché egli amava vestirsi di azzurro, vennero
proibite le vesti di quel colore.
ETIMOLOGIA
Il nome del luogo si lega alle diverse conquiste che
subì nei secoli: fu chiamata dai greci Akragas,
-antos dal termine akros (monte), i romani la chiamarono
Agrigentum, gli arabi Karint, Karkint. Nel XI secolo
fu chiamata Grigentum e Gergentum che divenne poi
nel 1130 Girgenti e proprio questo era il nome ufficiale
della città fino al 1929, anno in cui mutò
il suo nome nell'attuale.
CENNI
STORICI
Il
massimo sviluppo si raggiunse con Terone (488-471
a.C.). Durante la sua tirannide la città contava
circa 300.000 abitanti e il suo territorio si espandeva
fino alle coste settentrionali della Sicilia. Divenuta
grande potenza militare, Akragas riuscì a sconfiggere
più di una volta Cartagine nella guerra per
il controllo del Canale di Sicilia. Dopo la morte
di Terone iniziò un regime democratico (471-406
a.C.) instaurato dal filosofo Empedocle, il quale
rifiutò il potere offertogli dal popolo stesso.
È in questo periodo che si assiste alla costruzione
di numerosi templi e ad una grande prosperità
economica ma, nel 406 a.C, i cartaginesi invasero
la città distruggendola quasi completamente.
Nel
339 a.C., grazie al corinzio Timoleonte la città,
soggetta all'influenza di Siracusa, venne ricostruita
e ripopolata. Nel 210 a.C., con la seconda guerra
punica Akragas passò sotto il controllo dell'impero
romano col nome latinizzato di Agrigentum.
La città si dispone sulla sommità (circa
m 300-350 sul livello del mare) di due colline strette
e lunghe, disposte in senso grossolanamente est-ovest,
il colle di Girgenti ad ovest e la Rupe Atenea, ad
est, collegate fra loro da uno stretto istmo, e sull'altopiano
a quota inferiore (circa m 120-170 sul livello del
mare) a sud delle prime. Con le sue coste precipiti
a sud (la Collina dei Templi) e l'ampia valle centrale
quasi pianeggiante (la Valle dei Templi), essa offre
ampio spazio allo sviluppo urbano regolare. Tutto
il ripido vallone a nord delle due colline più
alte e buona parte dei tre piani dell'altopiano sono
attraversati da due fiumi, l'Akragas (odierno S. Biagio)
a nord e ad est, e l'Hypsas (odierno S. Anna) ad ovest,
che a poca distanza dalla città verso mezzogiorno
confluiscono per poi andare a sboccare in mare in
un unico corso d'acqua (odierno S. Leone), alla cui
foce si colloca il porto antico d'Agrigento. La superficie
complessiva è di circa 450 ettari, un'estensione
veramente enorme, dettata dalla necessità d'abbracciare
tutto il sistema d'alture - colle di Girgenti, Rupe
Atenea, Collina dei Templi - in un unico complesso
di facile difesa. Di fatto l'abitato si sviluppa al
centro delle tre colline nella cosiddetta Valle dei
Templi, dove prima la fotografia area e poi gli scavi
ne hanno rivelato con sufficiente chiarezza l'impianto,
datato a metà circa del VI secolo a.C.. La
struttura ippodamea è organizzata almeno su
sei plateiai (vie principali) est-ovest, di cui la
primaria (la quinta da nord) ha una larghezza di ben
dodici metri, e su di una fitta trama di strade ortogonali
nord-sud, col risultato di un alto numero d'isolati
di larghezza costante, ma di lunghezza variabile,
a causa del diverso distanziarsi reciproco delle plateiai.
Si notano tuttavia due griglie d'isolati con orientamento
e strutture lievemente diversi: un blocco all'estremità
nord-ovest della Valle, orientato in maniera più
pronunciata in senso nord-ovest/sud-est e compreso
fra le mura e la seconda plateia (ma prolungantesi
a sud anche oltre questa), ed un blocco centro-meridionale,
tra la seconda e la terza plateia, comprendente la
maggior parte dell'abitato. Fra questi due blocchi
esistono anche lievi diversità nella larghezza
delle strade nord-sud e degl'isolati, essendo le strade
larghe m 4 o 5,50 e gl'isolati larghi m 33 o 40; le
lunghezze restano sempre variabili, superando talora
anche i 300 metri. Non siamo in grado di valutare
il significato dei due diversi sistemi e di stabilire
se siano frutto di sviluppi cronologicamente diversi
(ma l'impianto appare comunque tutto databile al VI
secolo a.C.) o di differenti condizioni del terreno,
anche in rapporto agli sbocchi delle strade nelle
porte urbiche. Tuttavia la chiave interpretativa va
forse ricercata nel fatto che il punto di cerniera
tra i due orientamenti, immediatamente ad ovest della
chiesa di San Nicola (oggi Museo Nazionale), va con
buona probabilità identificato col sito dell'agorà
e dei complessi pubblici, come dimostra la presenza
nell'area dell'ekklesiasterion.
La
struttura urbanistica della città è
esplicitamente lodata da Polibio, il quale ne fornisce
(IX 29) questo sintetico quadro descrittivo: "La
città di Akragas (odierna Agrigento) differisce
dalla maggior parte delle città non solo per
le cose già dette, ma anche per la sua fortezza
e soprattutto per la sua struttura. Sorge, infatti,
a 18 stadi (circa 3,2 km) dal mare, così che
nessuno viene privato dei vantaggi che questo offre.
La cinta muraria è saldissima sia per natura
che per arte, giacché le mura poggiano su roccia
naturalmente o artificialmente alta e scoscesa e dei
fiumi la circondano: a sud infatti corre il fiume
dallo stesso nome della città, mentre ad ovest
e sud-ovest il fiume detto Hypsas. La parte alta della
città sovrasta quella bassa verso sud-est e
ha la parte esterna delimitata da un burrone inaccessibile,
mentre la parte interna ha un unico accesso dalla
città bassa. Sulla vetta sono i templi di Atena
e di Zeus Atabyrios, come a Rodi: poiché Akragas
è una fondazione rodia, è logico che
il dio abbia lo stesso epiteto che ha a Rodi. La città
è abbellita in maniera superba da templi e
da portici. Il tempio di Zeus Olimpio, pur non essendo
compiuto, non è secondo a nessun altro tempio
greco per concezione e per grandezza".
Le
difese della città, magnificate da Polibio,
sono note per la maggior parte del circuito, che abbraccia
la Rupe Atenea e il perimetro della Collina dei Templi
(con uno sviluppatissimo "dente" fra queste
due alture). Non sono conosciuti archeologicamente
tratti della cinta sul colle di Girgenti, ma non c'è
dubbio che questa sia la "parte alta", l'acropoli
della città, ricordata dalle fonti, dove si
conoscono un tempio dorico d'età classica e
resti di un grande edificio visto dal Serradifalco
sule pendici sud-est. La cortina nella sua fase attuale,
con almeno nove porte e priva di torri se non in prossimità
di alcune di queste porte, è genericamente
datata al VI secolo a.C., con ovvi restauri attribuibili
alla lunga storia d'Agrigento greca e romana. Mancano,
invece, esplorazioni moderne volte a stabilire una
più precisa cronologia delle cortine superstiti
e ad individuare tratti o percorsi d'eventuali murature
più antiche.
ARCHEOLOGIA
Anche se manca uno studio complessivo si conoscono
necropoli a nord del vallone sottostante la Rupe Atenea,
ad est, nella valle tra Rupe Ateneae Collina dei Templi,
e ad est, ai piedi del colle di Girgenti. Altre necropoli
extraurbane (particolarmente ricche) sono presso il
mare (in località Montelusa) e in contrada
Mosè, lungo la strada fra Agrigento e Gela.
La fase più arcaica della città è
appena conosciuta, e soprattutto da tombe: i materiali
degli strati profondi dell'abitato sembrano confermare
lo stesso orizzonte archeologico tra primo e secondo
quarto del VI secolo a.C. Le grandi attività
edilizie attribuite a Falaride dalle fonti non trovano
immediato riscontro nella nostra documentazione archeologica:
l'attribuzione ad epoca tirannica della primitiva
cerchia di mura, anche se probabile sul piano storico,
non è al momento sicuramente confermabile su
base archeologica. Ad epoca arcaica si possono invece
datare talune strutture del santuario delle divinità
ctonie, sacelli minori sotto il cosiddetto tempio
di Vulcano, presso l'Olympeion e presso l'ekklesiasterion,
e inoltre frequentazioni della fonte extraurbana di
S. Biagio, tutte strutture che ricordano, nella loro
semplicità, molti degli edifici sacri arcaici
della madrepatria Gela. Il primo dei grandi templi
canonici noti è quello cosiddetto di Ercole,
normalmente datato agli ultimi anni del VI secolo
a.C., ma forse già a quello della tirannide
teroniana, epoca alla quale è stato anche attribuito
il primitivo progetto del non lontano Olympeion, ma
non disponiamo di sufficienti dati archeologici per
suffragare tale ipotesi. La vittoria di Himera, col
suo afflusso di danaro e di manodopera servile, attestato
esplicitamente dalle fonti, consentì al tiranno
Terone e poi alla restaurata democrazia d'affrontare
un ambizioso programma di lavori pubblici, incentrati
soprattutto sui templi e sulla colimbetra, una gigantesca
peschiera extraurbana con un perimetro di 7 stadi
ed un profondità di 20 cubiti (Diodoro, XI
25, 4; XIII 82, 5), popolata da pesci e uccelli acquatici
ed alimentata da fonti e dalle acque dell'acquedotto
di Feace. Di quest'attività, proseguita per
tutto il secolo fino alla conquista cartaginese del
406 a C., le testimonianze più vivide sono
i grandi templi facenti quasi corona alla città,
dal tempio sotto S. Maria dei Greci sul colle di Girgenti
al tempio di S. Biagio e al tempio L (480-60 a.C.),
dal tempio di Giunone Lacinia al tempio dei Dioscuri
(450 a.C.), dal tempio della Concordia e di Vulcano
(440-30 a.C.) al tempio d'Esculapio (420-10 a C.),
per non parlare dellopus infinitum dellOlympeion,
di certo iniziato nel 480 a.C. e proseguito fino al
406 a.C. Questa fase di straordinario splendore d'Agrigento,
che, oltre ad ospitare poeti come Pindaro e Simonide,
produce piccoli capolavori di scultura in marmo come
l'"efebo d'Agrigento", è certo segnata
dai grandi interventi nell'edilizia pubblica, sacra
o d'uso, ma dovette annoverare anche opere importanti
per il consumo privato, almeno a giudicare dalla ricchezza
eccezionale d'alcuni cittadini della polis e dalle
descrizioni dei bottini del 406 a.C.: purtroppo nulla
conosciamo dell'edilizia privata agrigentina d'età
classica. L'età ellenistica più antica,
fra Timoleonte e la conquista romana, è invece
conosciuta soprattutto dall'edilizia privata, rappresentata
dalla grande maggioranza degli edifici del quartiere
ellenistico-romano e dalla Tomba di Terone, epoca
alla quale (se pure non a età arcaica o classica,
a giudicare dagli esempi di Metaponto e di Paestum)
si può forse attribuire la creazione dell'ekklesiasterion,
che potrebbe mettersi in rapporto con la rifondazione
d'Agrigento e le riforme costituzionali di Timoleonte.
Pur in assenza d'edizioni complessive del monumento,
appare suggestivo far risalire a quest'epoca anche
il grande portico ionico quadrangolare scoperto tra
Agrigento e Porto Empedocle , in località Villa
Seta, verosimilmente un santuario extraurbano. La
documentazione si fa più ricca e significativa
per l'età romano-repubblicana. In primo luogo
abbiamo numerosi rifacimenti ed abbellimenti, con
pitture di primo stile, delle case del primo ellenismo,
segno della prosperità dell'economia agrigentina
in relazione all'intenso sfruttamento schiavistico
delle terre, dal quale trarranno esca sia la prima
(139-132 a.C.) che la seconda (104-99 a.C.) grande
rivolta siciliana degli schiavi. Agrigento - non dimentichiamolo
- costituisce di fatto in tale periodo l'unico grande
centro di tutta quella porzione meridionale della
Sicilia, da Lilibeo a Eloro, nella quale erano vissute,
in età arcaica e classica, città grandissime
e prospere come Selinunte, Gela e Camarina. È
facile immaginare come nell'unico centro superstite
affluissero surplus ingenti, certo non inferiori a
quelli che avevano in passato sostentato le altre
tre città, e che ora andavano ad alimentare,
con le loro granaglie, l'economia della penisola italiana,
ormai sempre più specializzata in culture pregiate.
In questo senso la prosperità d'Agrigento è
da confrontare con quella d'alcuni centri dell'interno,
da Centuripe a Iatai, e soprattutto con quella di
città costiere, come Panormo (Palermo), Solunto
e Tindari a nord, o Messana (Messina), Tauromenion
(Taormina) e Siracusa, città nelle quali appunto
si concentrava il surplus agricolo e la sua intermediazione.
Ma la prosperità di questi centri urbani, e
in particolare d'Agrigento, si può leggere
anche in alcuni edifici pubblici costruiti o ricostruiti
tra la prima metà del II e la metà del
I secolo a.C., come il ginnasio, identificabile col
"portico ellenistico" a nord-est dellOlympeion,
o l'"oratorio di Falaride", tempietto di
tipo romano dell'iniziale II secolo a.C. sovrapposto
allekklesiasterion. La fase imperiale, con l'accentuarsi
dello spopolamento dell'isola, fa crescere lo squilibrio
tra città e campagna, e le case d'Agrigento
vengono continuamente restaurate, spesso con bellissimi
pavimenti musivi, sino al pieno IV secolo d.C., segno
della persistenza del ceto dei possessores attivi
in epoca tardo-repubblicana, anche se quantitativamente
e qualitativamente impoveriti rispetto al passato.
Di questi possessores si hanno anche altre testimonianze,
in particolare alcuni sarcofagi marmorei, come quello
di fabbrica attica col mito di Fedra (II secolo d.C.)
e quello di produzione romana detto delle coronarie
(III secolo d.C.), o quello pure urbano con scene
della vita di un fanciullo (II secolo d.C.). Non sono
positivamente attestati segni d'attività edilizia,
se non di restauro ad alcuni templi, mentre mancano
i caratteristici edifici pubblici, termali e da spettacolo,
propri dell'urbanitas d'età imperiale. La concentrazione
dei latifondi nelle mani di grandi proprietari senatorii
assenteisti celebra i propri fasti nelle colossali
ville di campagna, come quelle di Piazza Armerina
(Villa del Casale) o di Eloro, e nelle città
ne troviamo solo pallidi riflessi con i mosaici delle
case, e in alcune tombe monumentali del III secolo,
come la cosiddetta basilicula romana del vallone S.
Biagio. La presenza in età medio e tardo-imperiale
di ceti più modesti è comunque attestata
dalla notevole quantità di sepolture, arcosoli
e fosse, nota nella cosiddetta necropoli Gimberroni
e nelle catacombe di Villa Aurea, una presenza questa
che in qualche modo si riscontra ancora in età
alto-medievale con le numerose tombe terragne dislocate
lungo tutto il lato meridionale della Collina dei
Templi, e con la trasformazione in basilica del tempio
della Concordia, nel cuore di questa vasta area funeraria.
Collina
di Girgenti
Partendo dalla collina di Girgenti, e in particolare
dalla chiesa di Santa Maria dei Greci, incorporato
in alzato, in fondazione e nel taglio della roccia,
si conserva un tempio dorico del 480-60 a.C., periptero
(m 34,70x15,30) di 6x13 colonne, con cella munita
di pronao ed opistodomo. Se è andata perduta,
oltre alle absidi, la fronte orientale, e di quella
occidentale sono stati visti negli scavi i soli tagli
nella roccia per le fondazioni, sono visibili tuttavia
le fondazioni della peristasi meridionale e settentrionale
(con alcune colonne incorporate nei muri della chiesa)
e della cella, mentre sotto la chiesa è visibile,
per oltre venti metri, il krepidoma del lato settentrionale.
Nell'atrio della chiesa si conservano alcuni elementi
dell'alzato, una parte di capitello e tratti del geison.
Rupe
Atenea
Sulla Rupe Atenea si sono rinvenuti resti di un frantoio
ellenistico, e sulle sue pendici sud-ovest è
conservato uno dei numerosi templi delle divinità
ctonie, incorporato nella chiesetta medievale di San
Biagio. Il tempio, di medie dimensioni (m 30,20x13,30)
era dorico in antis. Se ne conservano il basamento,
col caratteristico vespaio costituito da un graticcio
di blocchi, ed una parte cospicua delle strutture
isodome dei lati e del fondo della cella, mentre l'abside
della chiesa viene ad occupare la porta del tempio,
conservando libera parte delle ante. Dallo scavo provengono
resti del geison e della sima a protomi leonine (al
Museo Nazionale). Sul lato a valle, la terrazza su
cui è sistemato il santuario è delimitata
da un muro di témenos, con un accesso attraverso
due strade scavate nella roccia. Lungo il lato nord
del tempio, all'altezza della cella, sono due altari
circolari, di cui quello ad est presenta un anello
di blocchi che borda il piano dei sacrifici tagliato
nella roccia e arrossato dal fuoco delle offerte,
mentre quello ovest, realizzato pure a grandi conci,
reca al centro un foro ed una cavità per le
offerte infere. Il ritrovamento all'interno dell'altare
di kernoi (vasi rituali) e, nell'area, di statuette
e busti fittili caratteristici del culto di Demetra
e Kore, insieme alla tipica forma circolare degli
altari, consentono d'attribuire il santuario alla
coppia di divinità tanto popolari a Gela, e
poi nella sua colonia, da far affermare a Pindaro
che Agrigento era un vero e proprio Persephònas
hédos (un "trono di Persefone").
Attraverso un sentiero ed una scaletta intagliata
nella roccia (ambedue moderni) si valica a sud-ovest
la linea delle mura e si raggiungono il cosiddetto
"Santuario rupestre" di Demetra e la chiesa
di S. Biagio. Il "santuario" è incentrato
su due profonde cavità naturali, sistemate
tuttavia artificialmente, che s'addentrano nella rupe
recando un flusso d'acque all'esterno, e su di un
profondo tunnel a nord delle cavità, evidente
sostituto delle originali condutture, costituite dalle
cavità. La fronte delle grotte è guarnita
da un edificio rettangolare diviso in due vani nel
senso della larghezza. L'edificio è realizzato
con poderosi muri a blocchi e fortemente rastremato
sulla fronte, ed era coronato da una semplice cornice
e forse da una grotta a teste leonine. Questa struttura
veniva a costituire una sorta di cisterna a due livelli,
di cui quello inferiore riceveva il flusso d'acqua
incanalato in tubature di cotto dalla grotta di destra,
e quello superiore presentava due porte d'accesso
alle cavità e tre finestre in facciata (una
minore al centro e due maggiori ai lati). Ai piedi
della cisterna si trovano delle vasche intercomunicanti
a vari livelli, mentre tutta l'area è delimitata
da mura formanti un peribolo trapezoidale (aggiunto
successivamente), la cui fronte reca aperture a pilastri
per dar luce al peribolo stesso, e all'estremità
nord-est due vasche costruite a blocchi. La struttura
della cisterna, col peribolo aggiunto, risponde perfettamente
alla tipologia delle fontane arcaiche e classiche,
ben nota in tutto il mondo greco. Il ritrovamento
di busti fittili e di ceramiche del VI e V secolo
a.C. ha fatto lungamente discutere sulla natura cultuale
del complesso, dimenticando che fino ad epoca ellenistica
avanzata non è possibile nel mondo greco dissociare
funzioni sacrali e attività utilitarie in apprestamenti
idraulici del genere, soprattutto se nati in età
arcaica e classica. L'uso della fonte è iniziato
infatti già in età protostorica, come
mostrano ceramiche indigene anteriori alla fondazione
d'Agrigento: anche questo ha fatto parlare di sincretismo
religioso, laddove siamo in presenza di una pura e
semplice continuità d'uso (anche ovviamente
gl'indigeni frequentatori della fonte avranno attribuito
a loro volta caratteri sacrali al luogo) tra fase
pre-greca e fase coloniale. La cronologia del complesso
monumentale è assai controversa, giacché
la datazione pre-greca del Marconi non ha alcun fondamento,
mentre ricerche recenti (de Waele) tendono a buon
diritto a collocare la struttura della fontana e il
tunnel all'iniziale V secolo a.C., collegandoli all'intensa
attività idraulica progettata da Feace, con
restauri ed aggiunte che si prolungano nel tempo almeno
fino all'età ellenistica. Ritornati sui propri
passi si può visitare, sotto la punta sud-orientale
della Rupe Atenea, la Porta I, che si apriva, alle
pendici della Rupe, su una strada tracciata nel vallone
e diretta verso est. La porta, conservata per sei
assise nel battente di destra, si apre al centro di
un poderoso baluardo a tenaglia, uno dei rari esempi
di particolari aggiustamenti difensivi dell'intera
cinta, in un punto di relativa debolezza del tracciato.
Una prima torre difendeva il battente di sinistra
della porta ed una seconda l'angolo sud-ovest del
bastione. Ritornati sulla SS 118 ci si può
avvicinare alla Porta II, profondamente incassata
nella roccia, e, sulle pareti del taglio roccioso,
ad un piccolo santuario rupestre con incassi per pinakes
(alcuni semplicemente stuccati e perciò in
origine soltanto, e non riportati), ai piedi dei quali
erano piccole fosse con oggetti votivi databili da
età classica ad età romana.
COLLINA
DEI TEMPLI
Al limite sud-est della Collina dei Templi, sul margine
del suggestivo rialzo si collocano in successione
i famosissimi templi di Giunone Lacinia, della Concordia,
di Ercole, di Zeus Olimpio e di Vulcano; essi sono
il vero e proprio simbolo di Agrigento nel mondo.
Oltre ai templi di Ercole, Giove, Concordia, Giunone,
Dioscuri, Vulcano e Demetra sono da evidenziare il
Quartiere di abitazioni Ellenistica Romane, il complesso
monumentale con la "Cavea" della Ekklesiasterion
Ellenistica e il Museo Nazionale di Agrigento che
consente di avere una visione più completa
della presenza greca nella città. Recentemente,
(2004) inoltre è stato portato alla luce un
tempietto romano.
CENTRO
STORICO
Da visitare anche il Centro Storico, con numerosi
palazzi nobiliari e chiese della città medioevale
di Girgenti.
Castello
Il
Castello sorgeva sulla sommità occidentale
di Girgenti, costruito tra i secoli X-XI, fu distrutto
nel 1907 per far posto al serbatoio comunale del Voltano.
Esso costituiva la fortezza della città Medioevale
di Girgenti, tutta racchiusa da recinto murario, con
aperture dette Porte.
Porte
1
- Porta del Vescovo
Risalente
al XV Secolo, si affaccia sul ciglio settentrionale
delle Mura, venne chiusa nel 1755 per ampliamento
del Vescovado.
2
- Porta Bibbirria
Risalente
al secolo XI, era chiamata Plebis Rea, collocata nella
Piazza omonima, accanto alla chiesa di S. Onofrio.
La Porta e la Chiesa furono insieme distrutte nel
1864. Un documento storico del 15 agosto 1266, depositato
presso l'Archivio Storico di Palermo, ne documenta
l'esistenza sin dai " tempi remoti", di
indefinibile data.
3
- Porta della Gioiosa
Risalente
al IX secolo, costruita ccanto alla chiesa Madonna
degli angeli detta della Porzincuola delle Indulgenze
(gioiosa), è stata demolita all'inizio del
'900 perchè ormai pericolante.
4
- Porta di Ponte
Risalente
al IX secolo, fu la più importante Porta della
città, ed era costituita da un ponte levatoio.
La Porta era sormontata da un arco Gotico con lo stemma
di Federico III d'Aragona, Re di Sicilia dal 1296
al 1337). Purtroppo la Porta fu completamente distrutta
nel 1868 e ricostruita, senza più l'arco, nello
stile Neoclassico su progetto di Raffaello Politi.
Dell'originaria porta, per fortuna, esistono due disegni,
uno del 1823 eseguito da Leo Von Klenze e l'altro
del 1829 eseguito da Friedrich Maxmilian Hessemer.
La Porta di Ponte era anche l'ingresso della via Atenea,
principale arteria della città medioevale di
Girgenti.
5
- Porta Panitteri
Risalente
al IX secolo, si trovava lungo il fossato meridionale
della città. Fu distrutto a seguito della costruzione
della Stazione Ferroviaria di Girgenti, ricostruita
in sede poco distante nel 1930. Di essa rimane un'edicola
del XVII secolo raffigurante la Madonna del Lume.
6
- Porta dei Saccajoli
Risalente
al IX secolo, detta "dei pastai", è
tutt'ora esistente, in parte interrata. Nel XVI secolo
all'interno venne collocata una edicola sacra dedicata
alla Madonna del Porto Salvo e successivamente dedicata
a Santa Lucia. La chiesetta soprastante fu in seguito
distrutta per ragioni urbanistiche, e la Porta rimase
seminterrata, ma ancora visibile.
7
- Porta di Mazara
Risalente
all' XI secolo, si trova nella parte alta occidentale
della città, accanto alla Cattedrale di San
Gerlando ed al Seminario dello Steri. La Porta, detta
anche "del Pertugio per via del rimpicciolamento
del varco, dovuto alla trasformazione dello Steri
in Seminario, venne chiusa nel 1846.
8
- Porta del Borgo
Risalente
al IX secolo, era la Porta che aveva prima preso il
nome di Mazara, segnava il confine della città
con il quartiere del Rabato, venne demolita dal Comune
nel 1873.
9
- Porta di Mare
Risalente
al XV° secolo, è tutt'ora esistente ma
interrata.
10
- Porta del Marchese
Risalente
al XIV° secolo, era collocata tra le cinque torri
meridionali della città medioevali, poi distrutta.
11
- Porta Balnei (Porta dei Bagni)
Risalente
al XII° secolo, faceva parte di un'antica cinta
muraria arabo-normanna che fu demolita qualche secolo
dopo per l'allargamento della cinta muraria. Il nome
Porta Bagni deriva dalla strada che conduceva a sud,
attraversando la Giudecca, il lavacro sacro degli
ebrei girgentini fino al 1492.
12
- Porta Cannone
Risalente
al XVI° secolo, si trovava all'estremità
occidentale della città, accanto alla chiesa
dell'Addolorata, a confine con il quartiere Rabato.
Fu demolita per ragioni urbanistiche del tempo, nel
1864. Ma di questa antica porta rimane un eccezionale
documento storico in un dipinto del francese Desprez,
che erroneamente scambiò il quartiere Rabato
con la Rupe Atenea, dove si scorgono la Torre circolare,
la Porta Cannone e la chiesa dell'addolorata.
Fossato
Di
notevole importanza strategica-difensiva era il Fossato
molto profondo creato parallelamente all'interno delle
mura meridionali, in tutta la sua lunghezza, tale
da rendere quasi impossibile l'accesso ai vicoli della
cittadella. Dalla fine del XVII° secolo questo
enorme fossato, con profondità diverse, venne
via via riempito per ragioni strutturali ed urbanistiche,
fino al raggiungimento del livello attuale, dove ora
sorge la città di Agrigento.
Nave
di Empedocle
La
Nave di Empedocle era un enorme voragine naturale
che divideva l'antica Girgenti in due colline. Nella
collina occidentale era arroccata la città
Medioevale (Fortezza di Kokalo); nella collina orientale,
meno popolata, era il promontorio della Rupe Atenea.
Un disegno del 1775, tratto da "Antichità
Siciliane spiegate" di G. Pancrazi, visualizza
chiaramente tutta la collina di Girgenti, dove si
scorgono il Castello Medioevale, il burrone e la Rupe
atenea.
CULTURA
Nella letteratura, l'agrigentino più famoso
è Luigi Pirandello; tra gli altri agrigentini
o per meglio dire akragantini famosi, cioè
vissuti nella dorica Akragas, indubbiamente non resta
che citare il filosofo Empedocle o l'atleta, vincitore
di una famosa Olimpiade, Esseneto, al quale è
anche dedicato lo stadio. Della contemporaneità
ricordiamo Leonardo Sciascia (di Racalmuto, a Nord
di Agrigento) e Andrea Camilleri il quale fa di Vigata
(Porto Empedocle, paese in provincia di Agrigento)
e Montelusa (Agrigento) il teatro delle gesta del
commissario Montalbano.La città di Agrigento
durante l'arco dell'anno ospita varie manifestazioni
molto interessanti tra le quali la sagra del mandorlo
in fiore nel cui ambito si svolgono due importanti
festivals internazionali del folklore il primo ideato
dal Prof. Enzo Lauretta ed il secondo denominato festival
internazionale " I bambini del mondo" ideato
da Giovanni Di Maida e Claudio Criscenzo . Ogni anno,
nella prima decade di febbraio, da piu di 60 anni
la valle ricoperta da un meraviglioso manto fiorito
di alberi di mandorli è scenario di questa
importante manifestazione che raccoglie la partecipazione
di vari gruppi folcloristici provenienti da varie
parti del mondo. Tra i momenti più suggestivi
della manifestazione l'accensione del tripode dell'amicizia
innanzi al tempio della Concordia, e la conclusione
ancora una volta con l'esibizione dei gruppi nella
valle e l'attribuzione al gruppo vincitore dell'ambito
tempio d'oro, trofeo raffigurante il tempio di Castore
e Polluce.