Bosa
(in sardo Bosa) è un comune di circa 8.000 abitanti
della provincia di Oristano, nella antica regione della
Planargia. Bosa è un esempio pressoché unico
per la Sardegna di città edificata accanto all'estuario
di un fiume, il Temo, che è navigabile con imbarcazioni
a basso pescaggio per circa 5-6 chilometri. Si è
sviluppata in una frazione marina (Bosa Marina), frequentata
stazione balneare con un porto che include l'isola Rossa,
prima della foce del fiume.
SPIAGGE
Cala Managu
Cala Cumpoltitu
S'Abba Drucche
Bosa Marina (una zona della spiaggia di Bosa Marina è
chiamata le Colonie perché li ci vanno, d'estate,
i bambini che sono iscritti in colonie di tutta l'Italia.)
Turas
LA
CATTEDRALE DELL'IMMACOLATA
Sorta su una preesistente costruzione risalente al XII secolo,
più volte rimaneggiata in epoca successiva, la cattedrale
di Bosa, intitolata alla Madonna Immacolata, venne realizzata
a partire dal 1803, quando il Capitolo vescovile ne affidava
il rifacimento al capomastro locale Salvatore Are al quale,
in un secondo tempo si affiancherà il sassarese Ramelli.
Il nuovo edificio venne solennemente consacrato a
cantiere ancora aperto dal vescovo mons. Murro nel
luglio 1809, mentre per il completamento dei lavori si dovette
attendere lanno successivo. Ledificio è
costituito da unampia navata voltata a botte in cui
si aprono quattro cappelle sul lato sinistro e tre sul destro.
Lampio presbiterio rialzato è coperto da una
cupola impostata su tamburo ottagonale. Allingresso,
a destra, si apre il cosiddetto Cappellone, che si presenta
come edificio autonomo dotato di altari e di un presbiterio
rialzato coperto da cupola. Sotto legida del vescovo
Eugenio Cano, negli anni settanta dellOttocento, la
cattedrale bosana è oggetto di interventi di abbellimento,
che vanno dalle decorazioni pittoriche realizzate dal parmense
Emilio Scherer al rifacimento dellorgano originariamente
costruito dal lucchese Giuseppe Crudeli nel 1810 e del quale
si conserva la cassa neoclassica operato nel 1875
dai fabbricanti modenesi Tommaso Piacentini e Antonio Battani
di Frassinoro (Modena).
MUSEI
Pinacoteca Comunale
EDIFICI
STORICI
Torre dell'Isola Rossa (in frazione Bosa Marina)
Castello di Serravalle
EDIFICI
RELIGIOSI
Chiesa del Carmine
Cattedrale dell'Immacolata
Chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos (XIV secolo)
Chiesa di San Pietro (ex cattedrale della diocesi di Bosa)
MANIFESTAZIONI
Nostra Signora di Regnos Altos (seconda domenica di settembre)
Festa di Santa Maria del Mare (prima domenica di agosto)
Carnevale (giovedì e martedì di Carnevale)
L'AGLIATA
L'agliata è una preparazione gastronomica tipica
della città di Bosa (provincia di Oristano). È
una salsa tradizionale molto utilizzata in passato soprattutto
dai pescatori che necessitavano di conservare il cibo molto
a lungo anche per periodi di qualche giorno in quanto i
moderni frigoriferi per quel tempo erano decisamente un
lusso. Si prepara utilizzando aglio trito in quantità
decisa che viene soffritto in olio di oliva con pomodori
secchi facendo sfumare il tutto con abbondante aceto di
vino. Con il composto così ottenuto venivano posti
a marinare perlopiù pesce, come razza, gattuccio,
polpi ma anche i tradizionali piedini di agnello. Le pietanze
così elaborate oltre a garantire un gusto deciso
e stuzzicante si potevano conservare ben più a lungo
lasciando inalterati, se non migliorati, freschezza e sapore.
ORIGINI
E CENNI STORICI
Narra una leggenda che Calmedia, moglie o figlia di Sardo,
giunta nella vallata attraversata dal Temo, colpita dalla
bellezza dei luoghi, abbia deciso di fermarsi e di fondare
una città che da lei avrebbe preso nome. La città
di Calmedia, nella località oggi detta Calameda,
sarebbe stata nell'antichità un fiorente centro culturale,
e avrebbe per secoli convissuto con la vicina Bosa, con
cui si sarebbe infine confusa. In realtà, già
un'epigrafe fenicia (oggi perduta), databile al IX secolo
a.C., documenta per la prima volta l'esistenza di un etnico
collettivo Bs'n, riferito alla popolazione di questo luogo.
Il nome della città fu dunque fin dall'origine Bosa,
un toponimo forse mediterraneo, d'incerta etimologia. L'etnico
latino bosanus è attestato ancora in un'iscrizione
della prima età imperiale, e il nome di Bosa compare
in questa forma in Tolomeo nell'Itinerario di Antonino,
nella Cosmografia dell'Anonimo Ravennate, e per tutto il
Medioevo. La zona fu abitata già in epoca preistorica
e protostorica, come dimostrano le numerose Domus de janas
(per es. a Coroneddu, Ispilluncas, Monte Furru, Silattari,
Tentizzos) e i nuraghi (per es. a Monte Furru). Nulla di
certo si conosce dello stanziamento fenicio-punico. I Fenici
dovettero usare per l'approdo la foce del fiume Temo (allora
all'altezza di Terrìdi), riparata dalle mareggiate
dall'Isola Rossa, e dal maestrale dal colle di Sa Sea. Forse
proprio lì, o secondo l'ipotesi maggiormente accettata
nella vallata di Messerchimbe, più all'interno e
sulla sponda sinistra del fiume, svilupparono un centro
abitato. Qualche studioso (Antonietta Boninu, Marcello Madau),
in base alla conformazione del luogo, sostiene che in età
cartaginese il sito urbano fosse bensì all'altezza
di Messerchimbe, ma sulla riva destra, mentre sull'altra
sponda si sarebbero concentrate l'area sacra e la necropoli.
In tal caso si potrebbe pensare a uno sdoppiamento e a una
progressiva traslazione dell'abitato in età bizantina,
con un nuovo agglomerato formatosi intorno alla cattedrale,
sul sito della vecchia necropoli: nel caso di Bosa appunto
a Messerchimbe, dove i dati archeologici testimoniano un
centro altomedioevale, e dove sarebbe sorta in seguito la
cattedrale di S. Pietro. In età romana la città,
che in un primo tempo pare aver mantenuto l'ordinamento
punico, con la magistratura dei suffeti, divenne, forse
dalla prima età imperiale, un municipio con un proprio
ordine di decurioni. Attraversata dalla strada costiera
occidentale, che superava il Temo a Pont'ezzu, Bosa era
collegata direttamente a sud con Cornus (presso l'odierna
S. Caterina di Pittinuri) ed a nord con Carbia (N. S. di
Calvia, località situata alla periferia di Alghero).
Del porto di Terrìdi restano ancora tracce di bitte
per lattracco delle barche. In età bizantina,
come si è detto, l'abitato era posto con sicurezza
sulla riva sinistra del Temo, presso il luogo della chiesa
di S. Pietro extra muros. La città subì per
tutto il medioevo le scorrerie degli Arabi. Tuttavia non
perse la sua importanza: fu capoluogo della Curatoria di
Planargia, nel Giudicato di Logudoro e sede vescovile. In
un periodo compreso tra il sesto e il settimo decennio del
Mille ed il 1073 si provvide alla costruzione della chiesa
cattedrale dedicata a s. Pietro. Le date vengono fornite
da due documenti epigrafici presenti nella chiesa: il primo
è rappresentato da un'iscrizione incisa sul concio
di una lesena absidale che, secondo una recente rilettura
operata dallo studioso Giuseppe Piras, attesta l'atto di
consacrazione e posa della prima pietra dell'edificio romanico
celebrato dal vescovo Costantino de Castra (in passato il
titulus veniva erroneamente riferito all'attività
di un presunto architetto di nome Sisinius Etra); il secondo
è costituito da un'epigrafe, collocata nella navata
centrale, che ricorda l'anno di ultimazione dei lavori promossi
dal vescovo, il 1073 appunto. La decisione di Costantino
de Castra (primo vescovo di Bosa di cui si abbia notizia)
di intitolare a S. Pietro la cattedrale bosana può
essere forse intesa come segno di schieramento dalla parte
del pontefice romano dopo lo scisma ortodosso del 1054:
infatti Costantino de Castra, come sappiamo da una lettera
del 1073 del Papa Gregorio VII, fu impegnato personalmente
nella propaganda cattolica presso i Giudici della Sardegna
e nello stesso anno ricevette da Gregorio VII la nomina
ad arcivescovo di Torres. Con l'edificazione del castello
dei Malaspina (secondo lo storico G. F. Fara 1112 o 1121,
secondo uno studio recentissimo 1271) sul colle di Serravalle,
due chilometri più a valle e sulla riva destra del
fiume, si pensa che la popolazione abbia cominciato gradualmente
a trasferirsi sulle pendici dell'altura, che garantiva una
maggior protezione contro le incursioni arabe, finché
nella zona di Calameda non restò solo la cattedrale
di S. Pietro. Nel 1297 il Papa Bonifacio VIII istituì
un Regno di Sardegna e Corsica, che concesse al re Giacomo
II d'Aragona. I Malaspina, temendo l'invasione aragonese,
potenziarono il castello con una torre maestra che ricorda
quelle cagliaritane dell'elefante e di S. Pancrazio (1305
e 1307), costruite da Giovanni Capula, il quale aveva forse
edificato anche quella bosana (1300). Tuttavia il 2 novembre
1308 Moruello, Corrado e Franceschino Malaspina cedettero
il castello di Bosa a Giacomo II. Negli anni successivi
la famiglia lunense dovette nondimeno mantenere i proprii
diritti sul castello, se una cronaca sarda del Quattrocento
sostiene che nel 1317 essa lo cedette al Giudicato d'Arborea.
Ad ogni modo, a seguito dell'alleanza tra l'Arborea e l'Aragona,
Pietro Ortis prese possesso del castello di Bosa per conto
dell'infante Alfonso d'Aragona, col consenso degli Arborensi.
I Malaspina uscirono però definitivamente dalla storia
bosana solo quando l'11 giugno 1326 Azzo e Giovanni delegarono
il fratello Federico nelle trattative col re d'Aragona per
la cessione di Bosa e della Curatoria di Planargia. Passarono
solo due anni, e il 1 maggio 1328 Alfonso il Magnanimo,
re d'Aragona, concesse in feudo il castello al giudice arborense
Ugone II Cappai de Baux: la città e il suo territorio
entrarono allora a far parte delle terre extra iudicatum
dell'Arborea. Il figlio di Ugone, Mariano IV, ruppe però
l'alleanza con gli Aragonesi, e nel suo tentativo di unificare
la Sardegna sotto di sé fece imprigionare, nel dicembre
del 1349, il fratello Giovanni, Signore di Bosa dal 1335,
e fedele alla vecchia alleanza. Il castello di Bosa era
una roccaforte di grande importanza strategica per il controllo
della Sardegna, e tanto Mariano quanto Pietro IV il Cerimonioso,
desiderosi di impossessarsene, cercarono di farselo cedere
dalla moglie di Giovanni, la catalana Sibilla di Moncada;
ma ella tirò per le lunghe le trattative, finché
il 20 giugno 1352 Mariano lo prese con la forza. Bosa fu
quindi sotto il controllo dei giudici d'Arborea Ugone III
(1376-'83), ed Eleonora Cappai de Baux (1383-1404), che
ne fecero la loro roccaforte nella guerra contro gli Aragonesi;
alle trattative di pace tra Eleonora e Giovanni I d'Aragona,
il 24 gennaio 1388, la città inviò il proprio
podestà con centouno rappresentanti che firmarono
gli atti, separatamente dal castellano e dai funzionarii
e rappresentanti feudali. L'esistenza a quel tempo di un'organizzazione
comunale, oltre che da questo fatto, è dimostrata
dai quattro capitoli degli statuti di Bosa citati in un
atto notarile seicentesco. La città era dunque divisa
tra la parte di pertinenza del castello, e quindi soggetta
al feudatario (che si suole oggi identificare, pur senza
vere prove, col quartiere di Sa Costa, privo di chiese perché
avrebbe fatto capo a quella del castello), e il libero comune
(identificato oggi col quartiere di Sa Piatta), retto dagli
statuti. La guerra però riprese, e quando gli Aragonesi
il 30 giugno 1409 sconfissero il nuovo Giudice Guglielmo
III Cappai di Narbona a Sanluri, il Giudicato d'Arborea,
ultimo dei regni sardi indipendenti, cessò di esistere,
e l'anno successivo Bosa passò definitivamente sotto
il controllo della Corona d'Aragona. Poco dopo la conquista
aragonese, il 15 giugno 1413, Bosa e la Planargia furono
unite al patrimonio regio, e la città, riconosciuti
privilegii e consuetudini, fu organizzata come un comune
catalano. L'organo cittadino era il consiglio generale,
col potere di deliberare, dal quale erano scelti i cinque
consiglieri, uno per ogni classe di censo, che formavano
l'organo esecutivo; il primo consigliere rivestiva la funzione
di sindaco, e rappresentava la città. D'altra parte
il castello era tenuto da un capitano o castellano, di nomina
regia, che curava la difesa; il re nominava anche il doganiere
o maggiore del porto, il mostazzaffo (ufficiale incaricato
di sorvegliare il commercio), e il podestà, che amministrava
la giustizia e controllava per conto della corona l'operato
dei consiglieri. Alle dipendenze del consiglio era poi l'ufficiale
che governava la Planargia. In teoria tutte le cariche dovevano
essere ricoperte da Sardi nativi o residenti a Bosa o nella
Planargia; ma sebbene questo diritto fosse stato ribadito
più volte, di fatto venne spesso calpestato. Tra
la città e il castello la convivenza non fu pacifica,
e al parlamento sardo del 1421 i sindaci Nicolò de
Balbo e Giacomo de Milia ottennero dal re la destituzione
del castellano Pietro di San Giovanni. Sotto il regno di
Giovanni II d'Aragona a Bosa funzionò anche una zecca,
che emetteva monete di mistura del valore di un minuto,
destinate a una circolazione locale. Qualcuna di esse si
conseva tuttora. Il 23 settembre 1468 il castellano di Bosa,
Giovanni di Villamarina, capitano generale della flotta
reale, ottenne in feudo perpetuo (secundum morem Italie)
la città, il castello e la Planargia di Bosa (con
le ville di Suni, Sagama, Tresnuraghes, Sindia, Magomadas,
Tinnura e Modolo), di cui divenne barone. Il Villamarina
tuttavia prestò omaggio alla città e ne mantenne
sostanzialmente le istituzioni. In questi tempi Bosa si
trovò ad avere il singolare privilegio di partecipare
a tutti i tre stamenti del parlamento sardo, attraverso
il feudatario (braccio militare), il vescovo (braccio ecclesiastico)
e i delegati dei cittadini (braccio reale). Nel 1478 il
castello di Serravalle vide la fine delle ultime speranze
di indipendenza dei Sardi, quando il marchese di Oristano,
Leonardo Alagòn, vinto a Macomer, trovò in
città l'ultimo rifugio, prima di essere catturato
da una nave spagnola, mentre fuggiva per mare verso Genova.
Ereditata da Bernardo di Villamarina il 24 dicembre 1479
alla morte del padre, Bosa ottenne sempre maggiori privilegii
commerciali, spesso ai danni della vicina e rivale Alghero,
che ne fecero una città prospera. Il 30 settembre
1499 una prammatica di Ferdinando il Cattolico la inserì
tra le città reali, concedendole i privilegii connessi
a tale titolo; essa restò tuttavia infeudata ai Villamarina,
di cui anzi il 18 luglio 1502 divenne possedimento allodiale.
La fioritura continuò anche sotto la figlia di Bernardo,
Isabella, che la resse tra il 1515/18 e il 1559, facendole
guadagnare terreno nei mercati dell'isola anche su Oristano.
Ma proprio allora l'economia bosana doveva subire un duro
colpo. Nel 1527, durante la guerra tra la Francia di Francesco
I e l'Impero di Carlo V, mentre i lanzichenecchi saccheggiavano
Roma, i Francesi contesero alla corona di Spagna il possesso
della Sardegna. Entrati a Sassari alla fine di dicembre,
la saccheggiarono, incutendo terrore nelle altre città
sarde. I Bosani, per impedire un assalto della flotta francese
comandata da Andrea Doria, reagirono l'anno successivo ostruendo
con dei massi la foce del Temo, forse a S'Istagnone, determinando
però in questo modo il rapido decadimento del porto,
e l'inizio di un lungo periodo di straripamenti del Temo
che resero l'ambiente malsano. Da allora le imbarcazioni
presero ad attraccare all'Isola Rossa. Morta senza eredi
Isabella di Villamarina, il re Filippo II di Spagna sequestrò
il territorio riunendolo al patrimonio regio. Da allora
Bosa divenne a tutti gli effetti una città reale,
cessando di essere sotto un'autorità feudale. Nel
1565, per ordine del re, e su richiesta dello stamento militare,
vennero tradotti in lingua catalana gli statuti di Bosa,
originariamente in italiano o in sardo. Probabilmente intorno
al 1580, nell'ambito del progetto di fortificazione delle
coste sarde, fu costruita la torre dell'Isola Rossa, già
citata dal Fara nella sua Corografia della Sardegna. Dal
1583 l'amministrazione di essa fu demandata ad un alcaide,
che vi risiedeva insieme alla sua guarnigione composta da
un artigliere e quattro soldati. Il 1591 fu per la cultura
bosana un anno straordinario. In quell'anno infatti fu consacrato
vescovo Giovanni Francesco Fara, il padre della storiografia
sarda. Egli diresse la chiesa bosana soltanto per sei mesi,
durante i quali visitò tutte le parrocchie; ma subito
convocò il sinodo diocesano (10-12 giugno 1591),
e con le sue costituzioni riorganizzò la diocesi
secondo i canoni tridentini. Con tutta probabilità
si deve a lui la costituzione dell'archivio diocesano e
l'avvio della redazione dei cinque libri, il cui documento
più antico conservato oggi è del 1594. All'interessamento
del Fara dovette probabilmente la libertà e la possibilità
di uscire di prigione il poeta bosano Pietro Delitala, uno
tra i primi autori sardi ad usare nella sua opera la lingua
italiana. Dal carcere indirizzò alcuni sonetti di
supplica al vescovo, e da altre liriche si evince che nel
1590 era tornato in libertà. Trascorse i suoi ultimi
anni a Bosa, dove prese moglie ed ebbe cinque figli, fu
podestà della città e Cavaliere nello Stamento
Militare del Parlamento del Regno di Sardegna. A Bosa operava
già dal 1569 come canonico della cattedrale anche
Gerolamo Araolla, il maggiore poeta in lingua sarda dell'età
spagnola, che vi compose le sue opere (Sa vida, su martiriu
et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuariu,
e Rimas diversas spirituales), e fu forse anche alcaide
del castello di Serravalle nella prima decade del Seicento.
Il periodo postridentino vide anche l'arrivo a Bosa dei
Cappuccini, che vi edificarono il loro convento (1609);
e la fondazione delle confraternite della S. Croce e del
Rosario, e dei gremii dei sarti e calzolai e dei fabbri.
Il nuovo secolo fu però un periodo di grande decadenza,
come per tutti i dominii spagnoli, anche per Bosa. Apertosi
con la grave inondazione del 1606, funestato dalla peste
(1652-'56), da un violento incendio (1663), dalla grande
carestia del 1680, dalle continue incursioni ottomane e
dalla forte recessione economica, vide precipitare la popolazione
dai circa 9000 abitanti del 1609 ai 4372 del 1627, ridotti
ancora a 2023 nel 1688. Non dovette giovare molto la concessione
dello statuto di porto franco da parte del re Filippo IV,
nel 1626. Poco dopo, nel 1629, con la concessione della
Planargia in feudo a don Antonio Brondo, Bosa perdeva anche
i contributi in grano dell'entroterra. Tuttavia verso la
fine del secolo, in seguito a vari passaggi di mano del
feudo che, poverissimo e spopolato, era caduto nel disinteresse
dei suoi signori, la città ne riprese di fatto il
controllo. Passata con l'intera Sardegna agli Asburgo nel
1714, quindi ai Savoia nel 1718-'20, la città riacquistò
via via una certa importanza: già nel 1721 le barche
coralline napoletane furono autorizzate a far quarantena
anche nel porto di Bosa, e di conseguenza fu inaugurato
un lazzaretto a S. Giusta. La popolazione era andata in
quegli anni progressivamente aumentando, tanto che dai 3335
abitanti del 1698, si era giunti nel 1728 a 3885, e nel
1751 a 4609. Nel 1750 Carlo Emanuele III autorizzò
un gruppo di coloni provenienti dalla Morea a insediarsi
su una parte del territorio di Bosa: fu così fondato
il paese di S. Cristoforo, in seguito chiamato Montresta.
Gli immigrati, però, furono insediati in territorii
fino ad allora usati dai pastori bosani: non ebbero perciò
vita facile, e furono oggetto dell'aperta ostilità
della città, spesso sfociata in fatti di sangue,
cosicché un secolo dopo, secondo l'Angius, delle
famiglie greche restavano due soli membri. Interessante
per questo periodo è la relazione nel 1770 della
visita che il Viceré Vittorio Ludovico de Hayes compì
anche a Bosa: venne segnalato lo stato d'abbandono degli
ufficii ed in particolare degli archivii. Il 4 maggio 1807
Bosa divenne capoluogo di provincia per un decreto del re
Vittorio Emanuele I. Nel 1927 venne istituita la Provincia
di Nuoro e Bosa venne accorpata ad essa. La città
conobbe nell'Ottocento un incremento demografico progressivo
ma lento: la popolazione passò via via dai 5600 abitanti
del 1821 ai 6260 del 1844, ai 6403 del 1861, ai 6696 del
1881, ai 6846 del 1901. Si sviluppò tuttavia l'attività
della concia delle pelli (sulla sinistra del Temo, negli
edificii noti come sas Conzas), mentre le vecchie mura vennero
abbattute e già alla metà del XIX secolo la
città si ampliò verso il mare, secondo le
indicazioni del piano d'ornato di Pietro Cadolini (1867).
Il rinnovamento delle vecchie infrastrutture, come il ponte
sul Temo (1871), e le nuove costruzioni, quali l'acquedotto
(1877) e la rete fognaria, che posero rimedio all'ambiente
insalubre della città, o la strada ferrata a scartamento
ridotto per Macomer, segnarono un risveglio che soltanto
dopo la grande guerra conobbe un sensibile rallentamento.
Nel 1869, dopo decennii di richieste, si cercò di
ridar vita anche al porto, ormai scomparso da più
di trecento anni, congiungendo l'Isola Rossa alla terraferma,
senza però che si ottenessero risultati apprezzabili.
Le opere pubbliche di questi anni diedero al centro un aspetto
dignitoso ancora oggi pienamente fruibile; tuttavia per
il comune di allora, accanto al miglioramento delle condizioni
di vita, significarono anche un forte indebitamento, che
con gli anni, sommandosi alla pressione fiscale voluta dal
ministero, diede origine a una rivolta popolare (14 aprile
1889). La popolazione conobbe un'evoluzione relativamente
modesta anche nel corso del Novecento (8632 abitanti nel
1971, ma 7935 nel 2001) ed è proprio grazie a questa
sua scarsa vitalità che Bosa ha potuto mantenere
una fisionomia storica sconosciuta in molti altri centri
della Sardegna. Negli ultimi decenni l'espansione urbana
ha portato al congiungimento del centro alla marina, con
interventi edilizi come due nuovi ponti, il primo all'altezza
di Terrìdi (anni '80) e il secondo (esclusivamente
pedonale) presso il centro storico (anno 2000), che hanno
almeno in parte alterato il sapore tradizionale del suo
ambiente. Oggi per di più, anche in seguito all'apertura
della litoranea per Alghero, la città è avviata
verso un rilancio turistico, che se rappresenta un'opportunità
economica per gli abitanti, rischia di compromettere definitivamente
il suo carattere. Nel maggio 2005, in attuazione della Legge
Regionale di riforma delle circoscrizioni provinciali della
Sardegna, il comune di Bosa è passato dalla Provincia
di Nuoro alla Provincia di Oristano.