GIANNI
BOSIO CLARA LONGHINI
1968 UNA RICERCA IN SALENTO
SUONI GRIDA RUMORI STORIE IMMAGINI
TITOLO:
Gianni Bosio Clara Longhini; 1968
una ricerca in Salento;
SOTTOTITOLO: suoni, grida, rumori, storie,
immagini;
COLLANA: voci, suoni e ritmi della tradizione;
ANNO: 2007;
ISBN: 978-88-95161-020;
PAGINE: 348;
PREZZO: 25 €;
FORMATO: 23x22 cm.
A
cura di Luigi Chiriatti, Ivan Della Mea,
Clara Longhini
Dalle
intense e vitali pagine del diario della
ricerca, uno stupefacente ritratto del Salento
del 1968. Gianni Bosio e Clara Longhini,
ricercatori dellIstituto Ernesto de
Martino di Milano, affidano alle suggestioni
di un toccante corpus fotografico e sonoro,
la nitida immagine della terra del rimorso
dieci anni dopo la storica visita di Ernesto
de Martino. E non solo il luogo è
importante parliamo di un Salento
non ancora di moda ma soprattutto
il tempo: mentre mezzo mondo combatte sulle
barricate, i due studiosi intraprendono
un viaggio, che ha contemporaneamente i
tratti di una vacanza e di un percorso di
ricerca e scoperta, con annessi registratore,
macchina da presa, diari di lavoro; un viaggio
che si snoda tra Otranto, Martano, Calimera
e Lecce; un viaggio che ha lintento
di conoscere e documentare la presenza alternativa
del mondo contadino e proletario e verificarne
i processi di cambiamento. Il risultato
di tale permanenza è un corpus vastissimo
e robustissimo di registrazioni, che documentano
nenie, canti, filastrocche cè
un po di pizzica, il lacerante lamento
funebre di Angela Bello a Otranto, la completa
esecuzione del canto di passione grecanico,
I Passiùna tu Cristù
nonché, allargando il raggio dazione
del microfono, la raffigurazione di un paesaggio
sonoro attraverso lascolto attento
e partecipe dei suoni della quotidianità,
campane, bande, processioni, mercati. Unitamente
al linguaggio visivo, il Salento del 68
viene raccontato anche da una scrittura
per immagini che costituisce un contributo
essenziale alla percezione e allinterpretazione
del reale. La documentazione fotografica,
opera nella sua totalità di Clara
Longhini, è resa ancora più
eccezionale dalla tenuta di un diario di
lavoro, in cui vengono registrati non tanto
gli elementi tecnici relativi alle riprese,
quanto il contesto in cui esse vengono realizzate.
Il corredo di informazioni, così
completo, consente di ripercorrere, attimo
per attimo, litinerario dei ricercatori,
di comprendere emozioni, dubbi, forzature,
dati ambientali, paesaggistici, artistici.
La storia di quei 17 giorni non rappresenta
unicamente il tentativo di documentare,
catalogare, annotare testimonianze, giornali
e trascrizioni, ma è essa stessa
una sintesi dei desideri, degli ideali e
delle aspirazioni di un determinato luogo
in un dato tempo, è lopportunità
di conoscere e dialogare con la gente del
Salento.
Il volume si avvale inoltre dei preziosi
interventi di autorevoli studiosi quali
Ignazio Macchiarella, che si è occupato
dellanalisi musicologica dei documenti
sonori raccolti da Bosio; Adolfo Mignemi,
che si è soffermato sullo straordinario
percorso iconografico compiuto da Clara
Longhini; Cesare Bermani, cha ha sviluppato
un dettagliato excursus sul lavoro svolto
dallistituto Ernesto de Martino; e
si conclude con un saggio incompiuto dello
stesso Bosio, in cui viene trattata limportanza
della relazione tra performance, funzione
e contesto. Infine una breve biografia dei
due ricercatori.
NOTE:
allegati 3 cd audio.
INTERVENTI DI: Ignazio Macchiarella, Adolfo
Mignemi, Cesare Bermani, Gianni Bosio.
RECENSIONE
Il
Manifesto, 30-09-2007
Alessandro Portelli
Paesaggi
sonori del Salento tra registrazioni e fotografie
Allinizio di agosto del 1968, Gianni
Bosio e Clara Longhini sono a Lecce. Sono
in vacanza in Salento ma (come negli anni
seguenti in Calabria, Sicilia e Sardegna)
la vacanza è un viaggio di ricerca
e di scoperta, con registratore, macchina
da presa, diari di lavoro. Il mercato di
Lecce, annota Clara Longhini, non ha niente
di speciale. Persino le grida dei venditori
sono assenti o deludenti. E allora, invece
di spegnere il magnetofono, Bosio fa una
cosa insolita: allarga il campo e registra
il vocìo, i rumori del traffico,
il paesaggio sonoro della città.
Un gesto che sottolinea la trasformazione
da lui immessa nella ricerca sul campo:
non solo i materiali codificati, le forme
riconosciute (le grida dei venditori) ma
un contesto ampio, di cui ancora non riconosciamo
le forme (e che magari non ne ha) ma che
cominciamo a documentare per poterci ragionare
in futuro. Qualche anno prima, così
era cominciata la ricerca in città:
con il registratore a un angolo di strada
a Milano, fissando il suono della metropoli.
Il luogo è importante (un Salento
ancora non di moda) ma lo è anche
il tempo: siamo nel 68, mentre mezzo
mondo sta sulle barricate Gianni Bosio sta
a Otranto, Martano, Calimera, Lecce, e registra
cose apparentemente lontanissime, in realtà
il sostrato profondo dei sommovimenti visibili.
Poi annota Clara Longhini
siccome è in vacanza, si siede sotto
lombrellone con le gambe al sole e
si scotta perché è troppo
immerso nella lettura di un libro affascinante:
il Capitale di Marx. La storia di quei diciassette
giorni è adesso un libro elegante
e sorprendente 1968 Una ricerca in Salento.
Suoni grida canti rumori storie immagini,
a cura di Luigi Chiriatti, Ivan Della Mea,
e Clara Longhini (Kurumuny, Calimera
Lecce, 2007, pp. 347 e tre CD audio, 25
euro). Naturalmente, Bosio e Longhini non
raccolgono solo rumori e paesaggi sonori,
ma anche molte storie e moltissima musica.
Come già nelle precedenti registrazioni
di Lomax e Carpitella, cè un
poco di pizzica (alla festa di San Rocco
a Torrepaduli ascoltano «una movimentata
tarantella napoletana, definita localmente
pizzica» e tante altre espressioni
di una cultura materiale, linguistica, musicale
tuttaltro che unidimensionale e consumabile.
Di questi nastri, avevo sentito solo il
lacerante lamento funebre di Angela Bello
a Otranto. Adesso, mi affascina ascoltare
cantata dalla figlia di Angela che
lha imparata dalla madre una
bella versione del Testamento dellavvelenato,
una ballata che circola dallItalia
alla Scozia agli Stati Uniti (io lho
sentita da immigrate calabresi in una borgata
romana) e da Angela Bello a Bob Dylan e
Harry Belafonte. Ma il momento più
alto è la completa registrazione
del canto di passione grecanico, I Passiùna
tu Cristù, eseguita da cantori e
suonatori che ritroveremo trentanni
dopo in uno splendido disco delle edizioni
Aramirè (anche a questo servono le
registrazioni: a vedere che cosa resta e
cosa cambia, nel canto e nei cantori, nel
corso del tempo). Raramente una performance
di tradizione orale cè stata
restituita con tanta accuratezza documentaria,
degna erede dellacribia filologica
di Gianni Bosio: comprende la registrazione
sonora, che occupa un intero CD, lanalisi
musicologia e la trascrizione musicale curate
da Ignazio Macchiarella, nonché la
trascrizione e traduzione del testo affiancate
dalla riproduzione anastatica del manoscritto
del cantore Salvatore Russo. Al centro del
libro stano le fotografie di Clara Longhini
(che insieme col diario danno la misura
di quanto sia stato importante il suo contributo,
spesso misconosciuto, allintero progetto
di ricerca del Nuovo Canzoniere Italiano
e dellIstituto Ernesto de Martino).
Come le registrazioni a microfono aperto,
anche le fotografie sono il risultato di
uno sguardo ad ampio raggio: i visi e le
posture dei cantori e dei narratori, ma
anche le luci della festa, gli affreschi
bizantini, le processioni, i vestiti, un
asino bardato, i contesti di lavoro. Mentre
Bosio registra i suoni dellaratura
il canto, ma anche la campanella,
gli incitamenti al cavallo, gli scricchiolii
del carro e dellaratro Clara
lo accompagna con una sequenza di immagini,
che ci aiuta a capire il senso dei suoni.
Proprio la registrazione di Martano induce
Bosio a una serie di riflessioni raccolte
nel saggio incompiuto che conclude il libro,
sullimportanza della relazione tra
performance, funzione e contesto. Sono annotazioni
autocritiche rispetto alle precedenti esperienze
del Nuovo Canzoniere e dei Dischi del Sole,
ipotesi di nuovi approcci a progetti, di
nuovi lavori. Purtroppo, poco di tutto questo
si poté realizzare. Tra i motivi
ricorrenti nel diario di Clara Longhini,
infatti, ci sono i limiti che le ristrettezze
finanziarie impongono a una ricerca condotta
fuori dagli schemi istituzionali e mercantili:
lei che ha finito i rullini proprio mentre
inizia la danza scherma a Torrepaduli, Bosio
che contravviene alla sua norma fondamentale
e ogni tanto, per risparmiare sul costosissimo
nastro, spegne il registratore. È
un po la metafora delle difficoltà
che il movimento fondato da Bosio sperimentò
in tutta la sua esistenza e che si veniva
accentuando, paradossalmente, proprio in
quegli anni di ripresa del movimento. Anche
perciò, ci sono voluti quasi quarantanni
perché i materiali vedessero la luce.
Forse se fossero usciti allora tanti equivoci
ce li saremmo risparmiati. Nel 2005, Clara
Longhini torna in Salento. Molte cose sono
cambiate: «Non ci sono più
animali nei campi. Buona cosa, certo, ma
» ma qualcosa si è perso.
Nel suo diario, pubblicato qualche anno
fa dalle edizioni Aramirè, Luigi
Stifani, il violinista delle tarantate,
parlava della scomparsa di altri animali:
adesso, diceva, il ragno che avvelenava
le tarantate non cè più,
perché nei campi ci sono tanti veleni
nuovi e anche quelle bestiole sono scomparse.
Al dolore che si esprimeva nel tarantismo
si sostituiscono veleni e sofferenze irriconoscibili,
perché spesso nascoste sotto la maschera
del progresso.
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LA
TERRA DELLUOMO
SCHEDA
TECNICA
La
terra delluomo è unintervista
che si arricchisce degli intercalari tipici
di una conversazione intima. È un
diario che minuziosamente descrive lo svolgersi
degli eventi e le impressioni dei protagonisti.
La terra delluomo è
un film: ideato, finanziato, realizzato,
mai visto in TV, perché mai mandato
in onda, perché forti erano le tematiche
affrontate (la Sicilia e la mafia) e troppo
autentici i personaggi per poter concorrere
con gli attori costruiti del cinema devasione.
Lintento del libro è dichiarato
apertamente dal suo regista e autore Gianfranco
Mingozzi nellintroduzione: non dimenticare
immagini e storie per tanto tempo nascoste
e rifiutate, non permettere che loblìo
travolga personaggi e avvenimenti testimoni
dun passato che ben poco si discosta
dallattualità.
È così che nel documentario
che accompagna il libro Con il cuore fermo,
Sicilia si delineano i contorni dei due
protagonisti: la Sicilia e la figura straordinaria
del triestino (ma solo di nascita) Danilo
Dolci.
In ventisei minuti di immagini in bianco
e nero, accompagnate da una voce fuori campo
su un testo di Leonardo Sciascia, locchio
della telecamera indaga obiettivo, lucido
e fermo la realtà complessa e contraddittoria
della Sicilia sul finire degli anni 60.
Una terra lacerata che nelle riprese di
Mingozzi, nelle interviste, nei fermo-immagine
è costretta a fare i conti con il
numero degli emigranti, col poco lavoro
nelle condizioni di sempre, con le
solfare in disuso; una terra costretta e
scontrarsi con la violenza rissosa e gratuita
della mafia, con i corsi e ricorsi storici
intrisi di soprusi e illusioni vane.
Ed è questa la cornice nella quale
si inserisce lazione di lotta non
violenta di Danilo Dolci, personaggio apertamente
critico nei confronti del pantano ingarbugliato
della realtà siciliana, ma non per
questo meno motivato nei suoi tentativi
di scuoterlo: scioperi, cortei, digiuni
(tutte azioni non violente) sono i punti
fermi della sua lotta, la comunicazione,
il dialogo, la bonifica delle coscienze
sono alla base della sua pedagogia. Abile
documentarista Mingozzi ci riporta unimmagine
chiara, reale e incisiva di questo apostolo
della non violenza che lui stesso
definisce esser impastato di rabbia
consapevole, di ostinazione, di lucidi ideali.
Sul palcoscenico narrativo di questo documentario,
Gran Premio Leone DOro al Festival
di Venezia del 65, Prix Simone Dubrheuil
al Festival di Mannheim del 65 (due
tra i tanti premi), gli attori e protagonisti
si muovono in un percorso emozionale che
oscilla dalla rassegnazione quotidiana al
desiderio di riscatto, dallaperta
denuncia alle composte azioni dimostrative,
che generano nello spettatore una sequenza
di riflessioni sulla necessità di
sbrecciare la memoria e, responsabilmente,
riprendere in considerazione la Sicilia,
con la sua storia, col suo passato trascorso
ma così incredibilmente attuale.
RECENSIONE
Venerdì
di repubblica, 29-08-2008
Irene Bignardi
Mingozzi
e quel film che non vedremo mai. O forse
si?
Un piccolo libro corredato di Dvd (La Terra
dell'Uomo di Gianfranco Mingozzi, Etnafest,
Kurumuny, pp. 174, euro 15) ci racconta
molte cose. Come la realtà siciliana,
per molti anni al centro dell'appassionato
lavoro di Gianfranco Mingozzi, sia profondamente
e, al tempo stesso, continui a vivere problemi
anche più drammatici. Come la storia
del documentario italiano sia antica e illustre:
perché Con il cuore fermo, Sicilia,
il film-inchiesta di Gianfranco Mingozzi
che accompagna il libro, vincitoore del
Leone d'oro al festival di venezia 965,
è un esempio straordinario di impegno
civile e di qualità cinematografica.
Come sia difficile fare un certo tipo di
cinema anche quando sembrano esserci tutte
le condizioni. E' il caso di La violenza,
che doveva essere un lungometraggio, nato
da un progetto di Gianfranco Mingozzi e
cesare Zavattini. Il film, per una serie
di vicissitudini produttive (la marcia indietro
di De Laurentisi), non sarà mai completato.
Ma dai materiali che Mingozzi aveva girato
e conservato nacque, tuttavia, un piccolo
capolavoro, Con il cuore fermo, Sicilia,
e una durevole amicizia del regista con
danilo Dolci, il sociologo e poeta che con
il suo lavoro agì profondamente sulla
realtà siciliana degli anni del dopoguerra.
nel 1985 Mingozzi è tornato in Sicilia,
e da Danilo Dolci, per la Rai, con il progetto
di fondare materiali vecchi e nuovi, e di
costruire un nuovo film-inchiesta sulla
sempre bruciante realtà siciliana:
La Terra dell'Uomo. Ma il film, finito nel
1988, non è mai andato in onda, e
si è perso negli scaffali della tv
di Stato. Mingozzi, attraverso i ricordi
di amici e collaboratori, attraverso le
memorie di Dolci, le parole di Zavattini,
le poesie di Buttita, la testimonianza di
Sciascia, che aveva anche scritto il commento
per il primo film, ricostruisce la cronaca
di un film scomparso, il suo percorso siciliano,
le ambiguità della politica cinematografica
e non solo. E se vent'anni dopo La Terra
dell'Uomo saltasse fuori?
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Il viaggio è bello quando è
imprevedibile, quando non percorre luoghi
già battuti, ma esplora regioni
nuove e sconosciute. Tradotto in termini
pedagogici: linsegnamento deve incoraggiare
la creatività.
Errico
mette giustamente in rapporto la creatività
con latteggiamento di meraviglia,
di stupore, di spontaneità dellinfanzia.
Con labitudine del bambino di interrogare.
Non è facile nellinsegnamento
accettare e sollecitare la creatività.
Perché questo implica mettere in
discussione se stessi e il proprio sapere.
Diceva un filosofo francese, Peguy: Il
bambino, crescendo, comincia a fare domande
ai genitori. I genitori a un certo punto
non sanno più cosa rispondere e
mandano il bambino a scuola. Una volta
a scuola il bambino impara che non deve
fare più domande. È
vero, spesso la scuola è così.
Preferisce le rotte già battute,
il sapere consolidato, la ripetizione.
Non dovrebbe esserlo. Dovrebbe suggerire
e praticare la ricerca. Sollecitare le
domande. E quindi accettare anche i propri
limiti, i vuoti, le incertezze. Poiché,
come conclude Errico, insegnare
e imparare vuol dire anche accettare di
non avere risposte alle domande, e continuare
a interrogarsi e a stupirsi, e ad andare
per lunghe strade di domande che non hanno
una risposta. Ecco: si può
proprio convenire con questa definizione
e dire che linsegnamento, oggi,
leducazione è un andare
per lunghe strade di domande che non hanno
una risposta. Ma, forse, a pensarci,
questa definizione identifica non solo
le condizioni dellinsegnamento,
ma, più in generale, la condizione
stessa della nostra vita: tutti noi, infatti,
non facciamo altro che andare per
lunghe strade di domande che non hanno
una risposta.
Salvatore
Tommasi
L'Autore
Nato
in provincia di Lecce dove vive e lavora
come dirigente scolastico di un liceo,
Antonio Errico ha pubblicato volumi di
narrativa e di saggistica tra cui Favolerie,
Angeli regolari, Lultima caccia
di Federico Re, Viaggio a Finibusterrae,
Stralune. Collabora a quotidiani e periodici,
a riviste letterarie e scolastiche.
RECENSIONE
La
Gazzetta del Mezzogiorno, 27-12-2009
Le ragioni della Passione di Antonio Errico
Antonio
Errico E lavventura del sapere di
Daniela Pastore
Il sapere, la sete di conoscenza, il racconto
infinito e circolare del destino umano.
E ancora una volta un viaggio quello
che lo scrittore Antonio Errico propone
ai suoi elettori. Ma questa volta non è
fra i misteri della Puglia e le gesta dei
suoi protagonisti, bensì un cammino
alla ricerca di un senso profondo di due
attività attorno alle quali luomo
ha costruito la sua civiltà: larte
di insegnare e la capacità di apprendere.
Tra questi due poli, un variopinto mosaico
di riflessione sul novecento e le sue eredità,
sul ruolo della scuola nel terzo millennio,
sulla tecnologia, sul valore e il senso
dei libri, sulla scrittura, sulla narrazione,
sullascolto.E un saggio snello
ma denso, poliedrico, labirintico, colto,
poetico, Le ragioni della passione,
sottotitoli approdi e avventura del
sapere (pagg. 114, 12 euro, edizioni
Kurumuny). Sei Capitoli che formano una
mini galassia sullinfinito sortilegio
dellapprendimento. Si intitola le
ragioni della passione. Si intitola
le ragioni della passione perchè
ogni passione ha la sua ragione, il suo
quid, magari non evidente, eppure
fondamentale spiega Errico- e allo
stesso tempo ogni ragione ha la sua passione,
cela nelle sue profondità un pathos
che la anima e la motiva. Pagine narrate
con saudente levità, in cui alle
istituzioni dello scrittore si mescolano
le esperienze del dirigente scolastico (Errico
è preside di un liceo) che si interroga
sul ruolo della scuola in una società
sempre più complessa e tecnologica.
Un ruolo che nonostante attacchi e
denigrazioni, rimane fondamentale e insostituibile
incalza Errico poiché
nelle aule ogni giorno si ripete il miracolo
di un ragazzo che scopre il senso della
vita e impara a vedere il proprio destino
riflesso in quello degli altri. Ci
sono le citazioni colte, una carrellata
di nomi immensi: Shakespeare, Bunuel, coleridge,
Keats, Joice, Virginia Wolf, con le loro
perle di saggezza. Ed i timori di un secolo
che pensa sempre più in byte abbiamo
venduto le nostre anime alla tecnologia
fa spallucce Ne facciamo un
uso smodato. Internet è uno strumento
fondamentale, anche se non sempre attendibile.
Quello che mi spaventa è labbuffata
di social network. Sono convinto relazionarsi
attraverso facebook porti ad una lenta e
costante perdita di umanità.Dalle
pagine emerge sovrano il monito alla lettura,
meglio alla rilettura dei libri. Ho
ripreso centinaia di volte Dialoghi
con Leucò , di Cesare Pavese
, e Lo Zen e larte della manutenzione
della motocicletta di Robert M. Pirsig.
Testi straordinari.Dunque, il racconto
e lascolto. Lautore ne sottolinea
la feconda, inarrestabile magia. Per
narrare occorre che ci sia qualcuno che
ascolti scrive che si verifichi
lintreccio di due diverse tensioni,
due diverse maniere di stabilire il rapporto
con la vita e con la storia, con la verità
e la menzogna, con il viaggio e con la morte.
Ecco il tema del cammino che ritorna, cifra
fondamentale della narrativa di Errico.
Che sia fra i vapori onirici di Finibusterrae
e fra gli scaffali polverosi di una biblioteca,
poco importa. Giacchè, come ricorda
Josif Brodskij, anche il libroè
un mezzo di trasporto attraverso lo spazio
dellesperienza alla velocità
della voltata della pagina.
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