Le
isole Tremiti (dette anche Diomedee) sono un arcipelago
dell'Adriatico, sito a 12 miglia nautiche a nord del
promontorio del Gargano (Lago di Lesina) e a 24 ad
est della costa molisana (Termoli). Amministrativamente,
l'arcipelago costituisce il comune di Isole Tremiti
(420 abitanti), sotto la giurisdizione della provincia
di Foggia. Il comune fa parte del Parco Nazionale
del Gargano e parte del suo territorio è dal
1989 riserva marina. Anche essendo il più piccolo
e il secondo meno popoloso (con meno abitanti vi è
solo Celle di San Vito) comune della Puglia è
uno dei centri turistici più importanti dell'intera
regione. Per la qualità delle sue acque di
balneazione è stato più volte insignito
della Bandiera Blu, prestigioso riconoscimento della
Foundation for Environmental Education.
L'arcipelago è composto dalle isole di:
* San Domino, la più grande, dedita al turismo
dove è presente l'unica spiaggia sabbiosa dell'arcipelago
(Cala delle Arene).
* San Nicola, ivi risiede la maggior parte della popolazione,
è il gioiello storico-artistico dell'arcipelago.
* Capraia, o Caprara o Capperaia, la seconda per grandezza,
completamente disabitata.
* Pianosa, distante una ventina di chilometri dalle
sue "sorelle maggiori", si presenta come
un pianoro roccioso in mezzo ai flutti del mare, anch'essa
completamente disabitata.
* Il Cretaccio, anziché la più piccola
isola dell'arcipelago può essere considerato
il suo più grande scoglio, è un gigantesco
cumulo di creta incastonato tra San Domino e San Nicola.
* Degno di nota, al fianco del Cretaccio, lo scoglio
chiamato la Vecchia.
Alle
Tremiti si parla la lingua napoletana: questo è
spiegabile in quanto l'isola fu popolata da Ferdinando
II nel 1843 con numerosi parteneopei dei bassifondi,
che anche lontani dalla città continuarono
a parlare e a diffondere la lingua d'origine.
Nel 1987 Muammar Gheddafi stupì dichiarando
che a suo avviso le Tremiti erano libiche in quanto
abitate dai discendenti dei libici qui deportati dal
1911 al 1943. L'affermazione spinse alcuni giornali
all'epoca a parlare di pretese territoriali sull'arcipelago
da parte di Tripoli anche se probabilmente la frase
fu usata dal leader libico sapientemente per ricordare
la deportazione dei libici alle Tremiti e in altre
isole italiane effettuate soprattutto dal governo
Giolitti. Ad onor del vero negli archivi comunali
non risultano discendenti dei deportati dalla Libia,
anche perché la stragrande maggioranza di loro
morì di tifo petecchiale quasi immediatamente
dopo l'arrivo nelle isole.
ORIGINI E CENNI STORICI
Abitate già in antichità (IV-III secolo
a.C.) le isole per secoli furono soprattutto un luogo
di confino. In epoca romana l'imperatore Augusto vi
relegò la nipote Giulia che dopo vent'anni
di soggiorno forzato ivi morì. Nel 780 Carlo
Magno vi esiliò Paolo Diacono che, però,
riuscì a fuggire. La storia dell'arcipelago
non è però solo legata agli esiliati,
più o meno illustri, che qui furono confinati,
ma soprattutto alle vicende storiche, politiche ed
economiche dell'abbazia di Santa Maria a Mare (definita
da Émile Bertaux la Montecassino in mezzo al
mare). Secondo il Chartularium Tremitense il primo
centro religioso fu edificato nel territorio delle
isole adriatiche nel IX secolo ad opera dei benedettini
come dipendenza diretta dell'abbazia di Montecassino.
Certo è che nell'XI secolo il complesso abbaziale
raggiunse il periodo di massimo splendore, aumentando
a dismisura possedimenti e ricchezze, cosa che portò
alla riedificazione da parte dell'abate Alderico della
chiesa con consacrazione nel 1045 effettuata dal vescovo
di Dragonara. La magnificenza di questo periodo è
testimoniata dalla presenza tra le mura del monastero
di ospiti illustri, tra i quali Federico di Lorena
(futuro papa Stefano X) e di Dauferio Epifani (futuro
papa Vittore III) e da una bolla di Alessandro IV
del 22 aprile 1256 in cui viene confermata la consistenza
dei beni posseduti dalla comunità monastica.
L'intero complesso rimase un possedimento dell'abbazia
di Montecassino per circa un secolo, nonostante le
pressanti richieste di autonomia e le proteste dei
religiosi tremitesi. Nel XIII secolo, oramai svincolata
dal monastero cassinese, aveva possedimenti in terraferma
dal Biferno fino alla cittadina di Trani. Secondo
le cronache dell'epoca le tensioni mai assopite con
il monastero laziale e i frequenti contatti con i
dalmati, invisi alla Santa Sede, portarono i monaci
del complesso a una decadenza morale che spinse nel
1237 il cardinale Raniero da Viterbo ad incaricare
l'allora vescovo di Termoli di sostituire l'ordine
di San Benedetto con i Cistercensi alla guida dell'abbazia.
In seguito Carlo I d'Angiò munisce il complesso
abbaziale di opere di fortificazione. Nel 1334 l'abbazia
fu depredata dal corsaro dalmata Almogavaro e dalla
sua flotta, i quali trucidarono i monaci mettendo
fine alla presenza cistercense nell'arcipelago. Nel
1412, in seguito a pressioni e lettere apostoliche,
e su diretto ordine di Gregorio XII, dopo il rifiuto
di diversi ordini religiosi, una piccola comunità
di Canonici Lateranensi, proveniente dalla chiesa
di San Frediano in Lucca e guidata da Leone da Carrara
si trasferì sull'isola per ripopolare l'antico
centro religioso. I Lateranensi restaurarono il complesso
abbaziale, ampliandone inoltre le costruzioni, soprattutto
con la realizzazione di numerose cisterne ancora oggi
funzionanti ed estesero i possedimenti dell'abbazia
sul Gargano, in Terra di Bari, Molise e Abruzzo. Nel
1567 l'abbazia-fortezza di San Nicola riuscì
a resistere agli attacchi della flotta di Solimano
il Magnifico. L'abbazia fu soppressa nel 1783 da re
Ferdinando IV di Napoli che nello stesso anno istituì
sull'arcipelago una colonia penale. Nel periodo napoleonico
l'arcipelago fu occupato dai murattiani che si trincerarono
all'interno della fortezza di San Nicola resistendo
validamente agli assalti di una flotta inglese (anno
1809). Di questi attacchi sono visibili ancora oggi
i buchi delle palle di cannone inglesi sulla facciata
dell'abbazia. In seguito a tale evento, Murat concesse
la grazia ai deportati che avevano collaborato alla
resistenza contro gli inglesi. Fu così che
ebbe fine la prima colonizzazione delle Tremiti, effettuata
mediante l'insediamento di delinquenti comuni. Nel
1843 re Ferdinando II delle Due Sicilie con l'intento
di ripopolare le isole vi deportò vagabondi
e delinquenti comuni dei bassifondi napoletani dando
luogo così ad una seconda colonizzazione delle
Tremiti. Nel 1911 furono confinati alle Tremiti circa
milletrecento libici che si opponevano all'occupazione
coloniale italiana. A distanza di un anno circa un
terzo di questi erano morti. In epoca fascista l'arcipelago
continuò a svolgere la sua funzione di confino,
ospitando tra l'altro anche il futuro Presidente della
Repubblica Sandro Pertini. Nel 1932 l'arcipelago divenne
comune autonomo con la denominazione di Comune di
Isole Tremiti.
DIOMEDE
L'arcipelago ha legato nel corso dei millenni il suo
nome ha quello dell'eroe acheo Diomede, tanto che
in antichità le isole furono chiamate isole
Diomedee (Insulae Diomedeae). La leggenda vuole che
nacquero per mano di Diomede, quando gettò
in mare tre giganteschi massi (corrispondenti a San
Domino, San Nicola e Capraia) portati con sé
da Troia, e misteriosamente riemersi sotto forma di
isole. Qui l'eroe approdato, ebbe il primo contatto
con la Daunia, prima di sbarcare sul Gargano, nei
pressi di Rodi alla ricerca di un terreno più
fecondo, peregrinando per la regione dauna e unendosi
in matrimonio con la figlia (Euippe, secondo alcuni
Drionna, secondo altri Ecania) di Dauno, re dei Dauni.
Una variante di questo mito, con meno basi epiche,
vuole che i tre massi fossero avanzati dal carico
che l'eroe omerico aveva utilizzato per tracciare
i confini del suo nuovo regno, la Daunia, quindi con
collocazione dell'episodio già dopo il matrimonio
con Euippe. Ma la leggenda non vuole solo la nascita
delle Tremiti legata a Diomede, ma annoda anche la
morte di questi all'arcipelago pugliese. Molte narrazioni
diverse tra loro sono accomunate dal collocare il
luogo della scomparsa dell'eroe nelle isole dell'Adriatico.
Alcune parlano della morte avvenuta in seguito ad
un naufragio, ma la versione più comune della
leggenda narra del ritiro di Diomede, insieme ai suoi
compagni, sull'arcipelago dove l'eroe andrà
incontro alla morte. Sull'isola di San Nicola vi è
una tomba di epoca ellenica chiamata ancora oggi la
tomba di Diomede. Particolare interessante della leggenda
riguarda le diomedee (che i tremitesi chiamano arenne),
caratteristici uccelli che popolano le falesie e le
scogliere dell'arcipelago. Infatti si vuole che questi
uccelli, dal nome riconducibile all'eroe greco, siano
i compagni di quest'ultimo trasformati da Afrodite
per compassione (secondo varie versioni, tra cui quella
di Dionisio di Alessandria) o per vendetta (secondo
Virgilio). In quest'ultima versione la metamorfosi
dei compagni dell'acheo non è collegata alla
morte dell'eroe, ma ai contrasti di questo con la
dea Afrodite. La versione non virgiliana, che è
anche quella più narrata, vuole invece che
la dea per compassione verso il dolore dei compagni
di Diomede li abbia trasformati in uccelli, appunto
le diomedee, che con i loro garriti (simili ai vagiti
di un bimbo), soprattutto notturni, continuano a piangere
affranti la scomparsa del loro condottiero.