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Pecetto
Torinese |
Piemonte
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Pecetto
Torinese è un comune della provincia di Torino.
Il
comune, situato su di un declivio delle colline a
sud-est di Torino, gode di un clima mite. È
celebre per la produzione delle ciliegie. Negli ultimi
decenni si è avuta una tendenza all'uso abitativo
e residenziale per i torinesi che lavorano nell'area
metropolitana, tanto che la sua popolazione a partire
dal 1968 è quasi raddoppiata. Il suo territorio
è formato da una striscia lunga cinque km e
larga poco meno di due, che digrada dal Colle della
Maddalena (situato ad un'altezza di 700 mt) e dal
monte Capra, al borgo San Pietro ai confini con Trofarello.
Viene attraversato per tutta la sua lunghezza da tre
piccoli fiumi che nascono a nord nella zona dell'Eremo,
e che scendono verso Cambiano e Trofarello : il Rio
Costo, che prende il nome di torrente Gariglia nel
territorio della regione Garia ; il Rio Pontetto,
che sgorga nella regione Fontanone, percorre la zona
ovest del comune e cambia nome in Rio Valle San Pietro
nelle vicinanze dell'omonima frazione e in Rivo Crosso
in prossimità di Trofarello ; infine il Rio
Martello che nasce nella omonima regione per mutare
in Torrente Canepe nelle vicinanze della Valle Canepe
e proseguire poi verso sud con il nome di Rio Vajors,
il cui nome deriva da Ij ri dj'òss, che in
piemontese significa rio delle ossa, dall'enorme numero
di soldati angioini che caddero vicino al fiume durante
la battaglia di Gemenario del 1345 combattuta tra
il Marchese del Monferrato e Roberto d'Angiò.
Il centro del paese sorge su di un poggio a 400 mt
s.l.m., in una posizione isolata rispetto all'Eremo
e alla Maddalena.
Origini
ed etimologia
Il più importante ritrovamento preistorico
del luogo è un muro di laterizio risalente
all'epoca romana nella valle di Canape. Vicino a Pecetto
sorgeva poi la pieve di Covacium, una località
non più esistente, dove sono stati dissepolti,
anche qui, resti risalenti all'epoca romana. L'antico
toponimo compare per la prima volta nel 1152 in alcuni
documenti : Picetum e la sua variante Pecieto, sui
quali sono state formulate alcune ipotesi : lo storico
Flechia lo fece derivare da picea, il cui significato
è abete, albero molto diffuso anticamente nelle
colline circostanti il borgo, e suffragato dalla presenza
di un pino verde, in un campo d'argento, nello stemma
del comune. Un altro storico , il Serra da un significato
diverso indicando nella parola pecia l'origine del
nome : pezza di terra in latino medioevale e per estensione
: complesso di pecie o particelle di territorio distribuite
a sorte. La
fondazione ufficiale del borgo risale al XIII secolo,
una volta staccatosi da Chieri, ma la ritrovamento
di un picinum in un documento del 1040, relativo alla
donazione di alcune terre eseguita da dal marchese
di Romagnano al monastero di San Silano di Romagnano
ha fatto ipotizzare che possa essere esistito un precedente
insediamento. Una studiosa medioevale, la Montanari
Pesando ha escluso questa possibilità ; secondo
la sua ipotesi, il toponimo non poteva essere altro
che Picetum in relazione alla ricchezza di alberi
di pino storicamente presenti nel territorio.
EDIFICI
STORICI
La
chiesa di San Sebastiano
Il più importante edificio storico è
la Chiesa di San Sebastiano che sorge su un poggio
da cui parte la strada per Revigliasco Torinese. Risale
agli inizi del Duecento e fu ristrutturata nel Quattrocento.
Edificata in uno stile di transizione tra il gotico
ed il romanico ne prova l'origine rustica grazie anche
al cotto rosso con cui è costruita, senza nulla
togliere alla semplicità della sua architettura.
Di fronte alla chiesa sorgono due cipressi che da
lontano le conferiscono un inconfondibile aspetto.
La facciata è composta da un portale incorniciato
da un fregio sovrastato da una finestra circolare.
L'interno è composto da tre navate separate
da pilastri collegati da archi che reggono i muri
della navata maggiore. Caratteristica particolare
sono la ricchezza delle decorazioni, molte delle quali
ormai perdute.
Sulla
parete di destra, entrando si trova un prestigioso
affresco raffigurante la Natività, opera del
pittore Jacopino Longo, allievo della scuola d'arte
di Macrino d'Alba : un'iscrizione in caratteri gotici
svela il nome del committente dell'opera : Bernardino
di Canonicis e la data 1508. Nella stessa chiesa è
presente un altro affresco dello stesso autore che
rappresenta L'assunsione di Maria Vergine.
La
volta del presbiterio custodisce alcuni episodi della
Vita di San Sebastiano , degli Evangelisti e la Tentazione
di Sant'Antonio. Sulla parte di fondo si trova la
imponente Crocefissione affrescata da Antonio de'
Manzanis i cui personaggi indossano costumi del XV
secolo. Sempre nel presbiterio sulla sinistra rispetto
all'altare maggiore è collocato un grande altare
ligneo sovrastato da una tela dipinta nel 1631, che
raffigura la Madonna col Bambino fra i Santi Giuseppe,
Sebastiano, Fabiano e Romualdo; di fronte sulla parete
di destra si trovano due quadri di scuola lombarda
che rappresentano l' Ultima cena e la Lavanda dei
piedi. La navata sinistra è interamente affrescata
con figure di santi : da notare nella volta a crociera
della terza campata quattro episodi della Leggenda
del miracolo di Santo Domingo de La Calzada e sulla
lunetta, un affresco con la Vergine che allatta il
Bambino, e sul sottarco della seconda campata l'immagine
della Vergine con il Bambino.
La
Parrocchia di Santa Maria della Neve
L'attuale Parrocchia di Santa Maria della Neve fu
costruita tra il 1739 ed il 1742, su progetto dell'architetto
Bernardo Antonio Vittone, utilizzando materiale di
recupero proveniente da una chiesa esistente nello
stesso luogo. L'antica torre del ricetto e un campanile
risalente alla fine del Settecento la fiancheggiano
formando un complesso composito tipico nello stile
architettonico piemontese. L'interno è costituito
da un'unica grande navata con soffitto a botte, su
cui si affacciano sei cappelle, e conserva diverse
sculture lignee provenienti dall'ormai distrutto Eremo
dei Camaldolesi. In fondo all'abside si trova il maestoso
quadro del Rapous con la Madonna circondata dai compatroni
di Pecetto, (Giacinto, Grato e Sebastiano). L'altare
maggiore, disegnato dal Dell'Ala di Beinasco è
realizzato in marmo nero intarsiato con pietre policrome
di diversa provenienza. L'organo è di Giovanni
Battista Concone.
La
chiesetta della Confraternita
Nella piazzetta sottostante la parrocchiale si trova
la Chiesetta della Confraternita, che fu costruita
e ristrutturata a più riprese, nel corso di
un secolo, tra il 1625 ed il 1736, sui progetti degli
architetti Luigi Molinari D'Andorno e di Ludovico
Perucchetti. All'interno, oltre ad un tempietto risalente
al Settecento in legno dorato, opera dello scultore
torinese Bosco, si conservano diversi quadri, statue
e candele un tempo appartenenti all'Eremo dei Camaldolesi.
Uno dei dipinti del Theatrum Sabaudie mostra un castello
di Pecetto che non fu mai costruito, in quanto, probabilmente,
si interruppe con l'erezione dei bastioni che tuttora
esistono.
Altri
edifici di pregio
Verso la strada che porta alla Valle Sauglio è
situata la villa settecentesca detta Il Ghiotti o
il Tarino, nota per aver ospitato Gegia Marchionni,
amante di Silvio Pellico. Alla Villa Bergalli invece,
situata sul pendio del Bric della Croce, negli anni
Venti del Novecento, trascorreva le vacanze estive
e autunnali la scrittrice Annie Vivanti.
Economia
L'economia di Pecetto trova nella raccolta delle ciliegie
la coltura di maggior reddito per i pecettesi, mentre
la coltivazione degli ortaggi e del frumento risponde
in prevalenza alle esigenze locali. Inoltre la particolare
mitezza del clima consente la coltivazione del mandorlo,
dell'olivo e dell'oleandro. L'inizio della raccolta
delle ciliegie su vasta scala ebbe inizio nel 1910
anno in cui la grandine e filossera distrussero i
rigogliosi vigneti della zona. Il sindaco di allora
Mario Mogna accolse il consiglio dell'amico Giovanni
Giolitti che suggerì di sostituire le viti
con piante di ciliegio. Le quasi 50.000 piante concentrate
nel capoluogo e nella zona ai confini di Trofarello
producono frutti di qualità pregiata : tra
la ciliegia vittona e la varietà galucio nelle
buone annate si possono raggiungere le 700 tonnellate.
L'Eremo dei Camaldolesi
Il duca Carlo Emanuele I di Savoia aveva fatto un
voto nel 1559 : "se l'epidemia di peste cesserà
realizzerò un grande convento, composto da
numerosi edifici". Nel 1601 assieme al suo consigliere
spirituale , padre Alessandro dei Marchesi di Ceva,
e all'architetto Vitozzi, mantenne la sua promessa
e diede il via ai lavori, proprio in località
Monveglio, laddove sarebbe sorto l'Eremo dei Camaldolesi.
Cinque anni dopo, nel 1606 in quel luogo sorse il
maestoso edificio immerso in un parco ricco di pini
, cipressi e cedri. Questo convento fu l'impresa edilizia
più importante di Carlo Emanuele I. Per ogni
eremita l'architetto aveva previsto una casetta indipendente
con un pozzo interno, una cella, un oratorio e un
piccolissimo orto. Una chiesa bianca dominava le celle.
Nei due secoli di vita del monastero vennero concentrate,
oltre ad una ricca biblioteca, diverse opere d'arte
: Beaumont, Bernero, Cignaroli, dei fratelli Pozzo,
per non citarne che alcuni. Ma la diaspora artistica
iniziò prima dello smantellamento ufficiale
del convento che fu deciso nel 1801 dalla commissione
esecutiva del Piemonte. La soppressione, che avvenne
contemporaneamente a quella degli eremi di Cherasco
e Busca era necessaria per motivi finanziari : il
governo francese all'epoca non era in grado di mantenere
la dotazione annua di 13.125 Lire. L'eremo rimase
deserto per otto anni, fu oggetto di ripetuti saccheggi
, finché nel 1809 fu messo all'asta ed acquistato
dal banchiere Ranieri. Il monastero ridotto a condizioni
pietose ritornò alla curia nel 1874, per essere
adibito a sede estiva del Seminario. I lavori di ristrutturazione
fecero perdere completamente la fisionomia delle antiche
vestigia. Oggi i resti della proprietà sono
stati demoliti e al suo posto sorge un edificio che
ospita una sezione dell'Ospedale Maggiore di Torino.
Le uniche testimonianze dello splendore del passato
sono il campanile e la cappella dell'Ordine dell'Annunziata.
Cenni
storici
Le ipotesi di un insediamento precedente sono ancora
da provare, comunque sappiamo con certezza che la nascita
del paese risale tra il 1224 e il 1227 , quando gli
abitanti di Covacium divennero cittadini chieresi a
tutti gli effetti. Gli abitanti, esattamente 73, giurarono
di offrire a Chieri prestazioni militari, la manutenzione
dei fossati e il pagamento di una tassa annuale chiamata
taglia nel caso lo reclamasse il comune ; vi era anche
il curioso diritto di obbligare il trasferimento della
residenza altrove, mentre il comune di Chieri si impegnava
a comprare il luogo di trasferimento prescelto. Dovevano
anche mantenere i loro obblighi nei confronti dei Conti
di Biandrate, a cui Chieri era dal 1158 infeudata, ma
decisa ad assorbirne i territori. Nel 1227 infatti,
gli uomini di Covacium si trasferirono quindi nel territorio
di Pecetto, dove era presente una torre, un ricetto
posti a difesa di Chieri, e la Chiesa di Santa Maria.
Tale operazione era volta, oltre a costringere i Conti
di Biandrate a rinunciare agli ultimi luoghi rimasti,
anche a ottenere, da parte degli abitanti, maggiori
tutele d'ordine fiscale e sociale, che solo il comune
di Chieri poteva garantirgli. I
primi decenni del Duecento vedono l'inizio di conflitti
devastanti : da una parte l'imperatore e dall'altra
il papa. Nel 1228 Testona alleata con Chieri e Asti
nelle schieramento imperiale si staccò dall'alleanza
per muovere guerra a Chieri e l'anno successivo a Pecetto.
A questo attacco Chieri rispose mettendo a ferro e fuoco
Testona, ma non si hanno notizie della partecipazione
dei pecettesi. Con il tempo Pecetto diventa il borgo
principale della zona e già nel 1275 aveva inglobato
diversi villaggi adiacenti, compresa l'antica Covacium.
Al termine del XIII secolo i confini del comune erano
quasi identici a quelli attuali ad esclusione di alcune
zone poste a nord. Verso
la fine del XIII secolo, Pecetto si vide coinvolta nelle
scaramucce tra le due fazioni chieresi che si spartivano
la città di Chieri : la Società di San
Giorgio, che rappresentava la borghesia, e la Società
dei Militi in rappresentanza dell'aristocrazia. A causa
di questo conflitto un certo Tommaso Surdo di Pecetto
uccise l'assassino del padre per vendicarne la morte,
un tal Iacomello Niello. Per evitare la vendetta il
Surdo si pose sotto la protezione della Società
di San Giorgio, ma nonostante questo fu raggiunto nel
1304 dai suoi nemici e ucciso. Nel
corso del XIV secolo, Pecetto vide il sorgere di una
rivolta a causa della vendita del borgo ai Balbi, una
illustre casata che comprendeva tre famiglie : gli stessi
Balbo, i Bertone e i Simone. Dopo numerosi ricorsi e
cause, nel 1360 i pecettesi ottennero di tornare sotto
la diretta giurisdizione di Chieri. La potenza della
casa Savoia si stava sempre più affermando a
quei tempi, per cui per sottrarsi ad un attacco del
Marchese del Monferrato la repubblica chierese, alla
quale anche Pecetto faceva parte, chiese e la ottenne
la protezione. Nel 1363 i chieresi concessero con un
atto solenne ad Amedeo di Savoia la signoria del loro
territorio. Nel 1542 per sottrarsi all'egemonia spagnola
su Chieri , gli abitanti di Pecetto chiesero esplicitamente
di diventare sudditi di Torino. È in questa occasione
che Torino accolse la richiesta trasformando il nome
in Pecetto Torinese. Ma con la Pace di Cateau-Cambrésis
del 1559 e l'accordo di Blois del 1562 il duca Emanuele
Filiberto rientrava in possesso dei suoi territori,
tra cui Chieri che gli giurò fedeltà il
26 novembre 1562, e dal consegnamento della città,
avvenuto due anni più tardi, risulta che Pecetto
era tornata a far parte del suo mandamento. Una
volta passata Chieri sotto i Savoia, il duca Carlo Emanuele
I, alla continua ricerca di soldi per sostenere le guerre,
cedette in feudo Pecetto nel 1619 a Cristoforo di Cavoretto,
che a sua volta lo cedette al barone Benedetto Cisa
di Grésy. Nel 1713 il feudo passò a Gaspare
Francesco Balegno e successivamente, nel 1722, venne
concesso in feudo a Giovanni Enrico Marene: il fratello,
il conte Pietro Tommaso, fu l'ultimo feudatario di Pecetto.
Gli
echi della Rivoluzione Francese giunsero anche a Pecetto
: sulla piazza principale del borgo venne eretto l'albero
della libertà, mentre alcuni frati del vicino
convento dell'Eremo spaventati si diedero alla fuga.
Nel 1799, con l'arrivo dell'esercito austro-russo, comandato
dal Suvorov i pecettesi furono obbligati a ricevere
il sedicente generale Branda-Lucioni generale in pensione
dell'esercito austriaco che si era messo a capo di una
banda di contadini contro i repubblicani. L'episodio
venne registrato nei libri mastri del comune per via
della spesa sostenuta: "lire 1214, soldi 4, denari
00".
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