Scandolara
Ravara è un comune della provincia di Cremona.
ETIMOLOGIA
L'origine del nome di Scandolara si presta ad una
serie di possibilità tutte da dimostrare. Alcuni
studiosi vedono la sua origine dal vocabolo celtico
Scandola o Scandula, dal nome di un tipo di grano
spontaneo presente in zona nell'antichità.
Il nome potrebbe derivare anche dalle assicelle di
legno, le Scandole, un tempo poste tra le travi e
il tetto a sostenerne le tegole. Ma l'ipotesi che
trova più prove a sua conferma è quella
del vocabolo longobardo Scadan il cui significato
è isola o terra vicina ad un corso d'acqua.
Il nome è accostato non a caso ad un altro,
Ravara, ovvero Riparia, sulle rive del fiume Po, di
origine chiaramente latina. A confermare questa teoria
l'esistenza nel cremonese di un'altra Scandolara,
Ripa d'Oglio, posta su di un'antica strada che collegava
Cremona a Brescia, su un passaggio tra le due sponde
dell'Oglio, percorsa sicuramente da Longobardi. Oggi
Scandolara Ripa d'Oglio si è discostata dall'alveo
dell'Oglio che come nel caso del Po è cambiato
nel corso dei secoli. Un altro punto a favore dell'origine
longobarda del nome è la località Scandolara,
frazione di Zero Branco, un paese nei pressi di Treviso
che in epoca romana faceva parte del territorio di
Altino. Anche qui il corso di un fiume, lo Zero che
sbocca nella laguna di Venezia, sta a testimoniare
il legame tra l'acqua e il termine Scandolara. Il
paese inoltre presenta altre analogie con Scandolara
Ravara in quanto, come tutta l'area nei pressi di
Treviso, venne conquistato dai Longobardi solo nel
600, ben 40 anni dopo l'invasione Longobarda.
ALTARE
DI ILUMVIO
L'altare di Ilumvio è il più grande
reperto archeologico di Scandolara Ravara esposto
al pubblico. Appare come un grosso blocco di granito
con un buco in cima, rovinato dal tempo. Nel XIX secolo
veniva utilizzato come acquasantiera nella Chiesa
Vecchia di Scandolara.
Si tratta in realtà di un altare funerario
romano. Più precisamente la tomba o meglio
il contenitore delle ceneri di Ilumvio, cittadino
romano abbastanza ricco da potersi permettere un altare
funerario di una fattura non eccezionale ma comunque
notevole per un villaggio come doveva essere Scandolara
oltre 2000 anni fa.
L'altare è l'unica prova tangibile dell'esistenza
proprio dove oggi sorge la Chiesa Vecchia, o nelle
sue immediate vicinanze, di un cimitero romano. L'unico
rimasto dei monumenti che dovevano adornarlo è
la tomba di Ilumvio, salvata molto probabilmente per
la sua forma, perfetta per contenere l'acqua santa
con un recipiente scavato in cima e un'altezza che
non superava il metro.
L'altare dopo il 1850 lasciava definitivamente Scandolara,
venduto da un non meglio precisato prete a un antiquario
per poi finire nella ricca Collezione di marmi Picenardi.
La tappa successiva fu il museo archeologico di Milano,
legittimo possessore dell'altare dal 1868 dove fu
archiviato dallo storiografo Emilio Seletti che nel
1904 lo catalogò come: "Monumento funerario
ritrovato nel villaggio di Scandolara Ravara, dov'era
usato come acquasantiera e venduto alla Collezione
Picenardi".
L'altare è un cilindro di granito a grana fine
alto meno di un metro e decorato a rilievo. Le decorazioni
sono di due tipi. I festoni, una specie di corona
che raffigura delle foglie usata per decorare gli
altari in epoca romana e molto simile alle corone
di fiori che si possono vedere ancora oggi usate nei
templi buddisti e induisti in Asia. L'altro elemento
decorativo sono dei bucrani, particolari teste di
bue, di toro o di caprone con corna pronunciate che
raccolgono, stringendoli, i festoni. Il fregio è
di gusto ellenistico e imita le corone vegetali che
dovevano ornare altari sacri e funerari. Al centro,
nella parte superiore la stessa usata come acquasantiera
dagli scandolaresi per almeno sette secoli, troviamo
un incavo che doveva raccogliere le ceneri del defunto.
Sui bordi dell'incavo si vedono ancora i segni dei
supporti metallici che avevano il compito di chiudere
l'urna con un altro elemento di granito, un coperchio
probabilmente a forma di pigna.
L'iscrizione che si legge sull'altare è questa:
Ilumvius Q(uinti) F(ilius) Rom(ilia tribu). Ilumvio,
figlio di Quinto, iscritto alla Tribù Romilia.
È molto particolare. Non occupa lo spazio consueto
ma si dispone negli spazi liberi, ricorda il titolare
del monumento che ha un nome incerto e sommario. Sembra
infatti privo del praenomen, con un nome di famiglia
unico in tutto il mondo romano. Tuttavia nella scritta,
molto deteriorata, viene posta in evidenza la tribù
di appartenenza per dimostrare la sua condizione di
cittadino libero. I bucrani sono decorazioni altamente
simboliche legate al ciclo della vita e alla sua rigenerazione.
Legati ai riti di sacrificio dei tori e dei buoi agli
Dei sono diffusi in tutta l'area mediterranea e presentano
forti legami con il culto della Dea Madre, praticato
a partire dal Neolitico per millenni e soppresso con
l'avvento del Cristianesimo, che trovava proprio nelle
campagne i suoi più acerrimi oppositori.
CHIESA
VECCHIA
La Chiesa Vecchia (Ceesa Vécia in dialetto),
oltre che essere il luogo di origine della pietra
di Ilumvio, è insieme a Castelponzone uno dei
luoghi più carichi di suggestione storica del
territorio Scandolarese. L'antichità del sito,
oltre 2000 anni, è dimostrata da diversi fattori
primo tra tutti l'altare funerario di Ilumvio. Non
sono mai stati fatti scavi archeologici all'interno
della chiesa che è stata costruita intorno
al 1100 su un sito sicuramente più antico.
La torre di fianco alla chiesa è riconosciuta
come più antica e solo successivamente alla
costruzione della chiesa venne trasformata in un campanile.
La data della sua fondazione potrebbe essere collegata
alla ricostruzione di torri e castelli successiva
alla cruenta incursione dei cavalieri Ungari nel 900
d.C., ultima scorreria da parte di popoli nomadi di
cui siamo a conoscenza nella pianura padana. Il sito
testimonia una sorprendente continuità di frequentazione
lunga oltre due millenni, che è ruotata intorno
alla sua struttura. Una forte tradizione orale risalente
a fonti dirette di persone nate nella prima metà
dell'Ottocento, è concorde nell'indicare sotto
la stessa pavimentazione della Chiesa la sepoltura
di migliaia di morti, identificando quel preciso luogo
come tradizionalmente legato al culto dei morti e
quindi sacro. L'importanza della Chiesa non viene
meno nemmeno in epoche più recenti come testimoniato
dal dipinto esistente al suo interno, datato intorno
al 1450, che la raffigura collegata ad un altro edificio
a fianco della sua costruzione attuale, oltre alla
strada. Quel terreno è da sempre noto agli
scandolaresi con il nome del Castlas, ovvero il grande
castello che insieme alla chiesa doveva costituire
un'opera di difesa con un'entrata sull'attuale strada.
L'autore ha inoltre dipinto a poca distanza della
chiesa il fiume, o meglio il paesaggio delle sue rive
descrivendo minuziosamente le piante selvatiche fiorite
e la sabbia così come possiamo oggi vederle
nelle immediate vicinanze del fiume. Ma la Geesa Vécia
è anche la protagonista di una serie di storie
che testimoniano la sua importanza nella cultura popolare
di Scandolara.
ORIGINI
E CENNI STORICI
In epoca romana le tombe e i cimiteri erano spesso
posti lungo le vie più trafficate, ai bordi
delle strade più importanti, affinché
i cittadini di passaggio, i soldati, i mercanti potessero
ammirare e salutare i monumenti funerari che testimoniavano
il prestigio non solo dei defunti ma del luogo della
loro sepoltura. La pietra di Ilumvio ci racconta che
Scandolara era posta proprio lungo una di queste vie,
forse l'antica via arginata del Po di cui parlano
diversi autori antichi, che metteva in comunicazione
Cremona con Brescello, l'antica Brixellium. In epoca
romana il Po, che ha cambiato più volte il
suo corso durante gli ultimi due millenni, passava
a poca distanza da Scandolara.
La chiesa costruita intorno al 1100 sopra edifici
ancora più antichi, potrebbe testimoniare l'esistenza
di una strada che costeggiava il fiume, un antico
argine che difendeva il territorio dal Po. Il tracciato
che partiva da Cremona portava alla Chiesa Vecchia
di Scandolara e proseguiva verso Casalmaggiore trova
un'altra conferma nella chiesa di San Benedetto di
Borgolieto, dove sono stati trovati a più riprese
e vengono trovati ancora oggi manufatti, monete e
tombe di epoca romana. Testimonianze di quell'epoca
sono venute alla luce anche a Martignana, Agoiolo,
Vicobellignano, segno di una discreta densità
di popolazione del territorio. Ilumvio ci parla anche
del fortissimo legame tra Scandolara e il suo fiume,
l'antico Eridano da sempre percorso da intensi traffici
fluviali che mettevano in comunicazione tramite gli
importanti porti di Pavia e Cremona la pianura Padana
con l'Adriatico e l'Oriente.
La probabile presenza degli etruschi, popolo dedito
a traffici commerciali in ambito padano almeno dal
VI secolo a.C., a Motta Baluffi, Scandolara, Gussola,
è testimoniata da diversi reperti venuti alla
luce a Torricella Parmigiana e lungo il corso del
Taro, fiume che collegava l'ambito culturale ligure
e tirrenico a quello padano e che un tempo sboccava
nel Po nel tratto di fiume di fronte a Scandolara,
Torricella del Pizzo e Gussola.
Scandolara Ripa di Po, il nome più antico del
paese trasformato in epoca relativamente moderna in
Riparia e poi in Ravara (dal dialetto cremonese Riparia
= Ravéra) aveva molto probabilmente un ormeggio
sul Po già attivo oltre 2000 anni fa. Le vie
arginate, gli argini costruiti per la prima volta
dagli Etruschi per regolare le acque del Po, servivano
non solo a contenerne le piene ma a permettere la
navigazione del fiume anche controcorrente, grazie
al traino delle imbarcazioni che avveniva tramite
buoi o cavalli. Ilumvio abitava in un villaggio dedito
ai traffici e al commercio, un punto di passaggio
così come testimonia la sua tomba costruita
in un materiale, il granito, che si trova solo a centinaia
di chilometri di distanza dalle sabbie e dalle argille
del suolo della bassa cremonese.
Diversi studiosi sono concordi nel sostenere che l'altare
funerario di Ilumvio è talmente simile ad altri
ritrovati nella zona di Este (l'antica Ateste nei
pressi di Padova) che potrebbe essere stato trasportato
a Scandolara oppure riutilizzato. Inoltre la tribù
a cui era iscritto Ilumvio, la Romilia, era la stessa
dei legionari che dopo decenni passati a combattere
per Roma avevano ottenuto in dono dallo stato fertili
terre a Ateste dopo il 31 a.C. La mappa della pianura
Padana mostra che Ateste era collegata con il territorio
cremonese da ben due "autostrade" dell'antichità.
Una l'abbiamo già citata ed era il Po, un tempo
molto più impetuoso di oggi visto che irrigazioni
intensive, dighe e centrali idroelettriche non ne
diminuivano la portata. L'altra era la Via Postumia,
che da Cremona proseguiva con un'inclinazione verso
sud est in direzione di Calvatone, passando a pochi
chilometri da Scandolara.
La strada correva a mezz'ora a piedi da Scandolara
Ravara e si raggiungeva a piedi passando da Castelponzone
e poi proseguendo in direzione di Voltido. Un'altra
strada passava per Casaletto di Sotto e Cingia de
Botti. Molte delle strade di campagna, dei canali,
i confini dei campi che ancora oggi possiamo vedere
a Scandolara soprattutto verso Castelponzone, San
Faustino e Caruberto, sono gli stessi disegnati dai
romani. Arrivati nella bassa cremonese nel II secolo
prima della nascita di Cristo, per conquistare il
territorio abitato dai Celti, avevano diviso il territorio
in tanti lotti regolari affidati poi a famiglie di
coloni che avevano il compito di dissodarli e difenderli.
La più importante testimonianza scritta di
come doveva essere Scandolara in quei tempi è
di Tacito, uno dei più grandi storici di Roma.
Dei suoi numerosi scritti, molti dei quali andati
perduti, è rimasta intatta proprio una lunga
parte che descrive la campagna cremonese. Fertilissima,
ricca di vigne e di boschi era ambita da mercanti
e coloni per la facilità di irrigazione del
terreno e per l'ottima posizione. Un canale correva
lungo la via Postumia facilitando i trasporti che
avvenivano anche lungo il corso del fiume Oglio, mentre
grandi boschi di querce avevano la meglio sui pioppi
e gli olmi in un rapporto di 5:1:1. Tacito racconta
anche di paludi, canali e acquitrini che caratterizzano
da sempre le terre e la vita degli scandolaresi e
di tutti i rivieraschi, impegnati nel duro lavoro
di dissodamento e bonifica del terreno.
L'altare di Ilumvio potrebbe già essere stato
a Scandolara quando nel 69 si combatté la prima
battaglia di Bedriaco. Il villaggio di Scandolara
e quelli vicini non potevano rimanere estranei a quegli
eventi che portarono morte e distruzione. I cremonesi,
ci spiega Tacito, costruirono altari lungo tutte le
strade e cercarono di seppellire le migliaia di morti
che imputridivano di sangue il terreno.
Il declino di Roma non interruppe del tutto la navigazione
sul Po. Nel 450 d.C. circa era ancora attivo un servizio
regolare di navigazione tra Pavia e Ravenna che durava
3 giorni di viaggio a favore di corrente. Il tragitto
veniva coperto da navi cursorie, vere e proprie corriere
natanti che potevano trasportare merci e persone.
In quegli anni le vie d'acqua erano diventate molto
più sicure di quelle di terra dove le scorrerie
dei cavalieri barbari avevano di fatto interrotto
le comunicazioni sulla Postumia. Sappiamo che nel
400 un folto gruppo di Sarmati, valorosi cavalieri
provenienti dalle steppe dell'odierna Ucraina, venne
stabilito dall'impero nei pressi di Cremona e Piacenza
mentre gli Unni di Attila nel 430 d.C. circa saccheggiarono
e incendiarono tutto il casalasco fermandosi più
a lungo a Bedriacum, senza distruggerla completamente.
Anche i Goti, un insieme di popoli nordici, passarono
dalle terre di Scandolara che venne investita in pieno
dal più grande dei conflitti che l'Italia avesse
mai visto, la Guerra gotica nel VI secolo.
Al
termine del conflitto una massa di popoli nomadi si
trasferì in Italia: erano i Longobardi che
conquistarono insieme a Gepidi e Avari quasi tutta
la pianura Padana tranne Monselice, Cremona, Mantova
e Padova difese da guarnigioni dell'esarcato bizantino
di Ravenna. Anche Scandolara e tutto il Casalasco
rimasero in mano ai bizantini mentre Milano, Bergamo,
Verona e Brescia venivano occupate dagli invasori.
Fino ai primi anni del VII secolo i Longobardi vennero
respinti ma nel 605 un esercito proveniente da Verona
e Brescia guidato dal re Agigulfo e ingrossato da
numerosi alleati Avari, un popolo slavo, conquistò
gli ultimi possedimenti imperiali sul Po, popolati
da migliaia di profughi fuggiti all'invasione 40 anni
prima. Cremona, uno dei principali porti sul Po, venne
distrutta e i suoi abitanti si rifugiarono tra le
paludi e le isole del fiume. Alcuni si trasferirono
nell'Oltrepò cremonese, oggi compreso nella
provincia di Parma, fondando nuovi villaggi. La tradizione
orale indica come frequenti i passaggi tra Scandolara
e Motta Baluffi verso Roccabianca e la sponda parmigiana
del Po controllata a lungo dai cremonesi.
Fino
ai primi anni del 1900 i contadini scandolaresi utilizzarono
antichi sentieri che si inoltravano nella golena di
Motta passavano il Po grazie a barche o, negli anni
di magra del fiume, a piedi attraverso un guado. Nello
stesso punto durante la primavera del 1945, migliaia
di tedeschi in fuga dal versante tirrenico attraverso
la Val di Taro, cercarono di attraversare il Po in
direzione di Verona e del Brennero.
Parlando
della conquista longobarda del Cremonese, i documenti
citano anche un castello chiamato Vulturina abbandonato
dalla guarnigione bizantina e arresosi ai longobardi.
Alcune fonti identificano Vulturina con l'abitato
scomparso di Gussola, l'antica Vulturnia, fondata
dagli etruschi di fronte alla foce del Taro e poi
scomparsa, sommersa sotto metri di sabbia portata
dalle alluvioni del Po. Scandolara entrò a
far parte dei possedimenti longobardi di Brescia,
così come molti altri paesi posti tra l'Oglio
e il Po, diventando una proprietà del Monastero
di Santa Giulia di Brescia, fondato dalla regina Teodolinda.
Il più vicino centro di potere longobardo però
rimaneva la corte di Sospiro, sede di un duca longobardo.
Uno dei rari documenti scritti di quell'epoca risale
al 715 d.C., anno in cui il re longobardo Rotari firmava
un trattato che regolava il commercio del sale tra
Chioggia e Pavia. I commerci fluviali non si erano
interrotti del tutto, ma non è nota la sorte
di Scandolara. Nel 1030, oltre 400 anni dopo l'invasione,
un certo Lanfrancus de Scandolaria cedeva al Vescovo
di Cremona delle proprietà che aveva a Pieve
Gurata (Gurada), Vidiceto (Vidixetum) e Cingia de'
Botti (Cingla), luoghi legati da antiche strade a
Scandolara Ravara. È una delle prime testimonianze
scritte dell'esistenza di Scandolara. Nella pergamena
Lanfranco specifica di vivere secondo le leggi e i
costumi longobardi. La pergamena cita anche i nomi
dei proprietari degli appezzamenti di terra confinanti,
tutti di chiara origine longobarda come Rodeprandi,
Arialdus, Liutefredi.