San Colombano al Lambro
Lombardia

San Colombano al Lambro è un comune della provincia di Milano. San Colombano è un'exclave della provincia di Milano fra quelle di Lodi e Pavia. Dista 22 km dal resto della provincia. San Colombano produce l'unico vino DOC delle provincie di Lodi e Milano, chiamato appunto San Colombano. San Colombano si estende, per una buona parte, in una zona collinare.

FONTI MINERALI GERETTE
Le fonti minerali Gerette sono collocate in un grande parco termale di oltre 30.000 mq. Sonodotate di un ristorante, sala per conferenze e uno spazio danze.
Caratteristiche chimiche: acque salso – bromo – jodiche e sulfuree. Fin dal 1928 le sette acque minerali sono indicate per:
- le sorgenti Elio e Vittoria svolgono una forte azione purgativa e sono indicate per la stipsi atonica e nelle congestioni del fegato;
- le sorgenti Leone e Ariete nuova con la loro azione lassativa sono indicate per le affezioni croniche catarrali dello stomaco e dell’ intestino, nelle gastriti e nelle atonie gastriche iposecretive;
- le sorgenti sulfuree Laura ed Apollo, con un basso residuo sono ottime acque diuretiche.
Offrono cura idropinica dal 1° giugno al 30 settembre con entrata libera. Si raggiungono con l'Autostrada A1 - uscita Casalpusterlengo, quindi Strada Statale 234 deviazione nei pressi di Lambrigna.

ORIGINI
Le origini di San Colombano al Lambro si perdono nelle nebbie della protostoria, riconducibili all’arrivo di stirpi primitive stanziatesi nelle paludose pianure ai lati del Po. Si tratta di località balzate alla luce in senso etnico , storico e anche geografico , con l’arrivo delle tribù galliche che invasero la pianura Padana. Celti e Romani si avvicendarono su queste terre. La battaglia del Ticino, ricordata negli annali della strategia militare per le astuzie usate dai belligeranti, vide, nel 217 a.C., la sconfitta dei Romani ad opera dei Cartaginesi di Annibale arrivati ai piedi dei colli banini, sul versante Sud Ovest. Esistono documenti storici che citano un toponimo denominato “Brioni” poi “Mombrione”, ubicato sui declivi delle colline, a Est dell’attuale borgo; località che compare in taluni diplomi imperiali e reali risalenti a Berengario I° (888) e Berengario II° (903) , Lamberto (986) e Ottone III° (998). Sul finire degli anni 900 si ebbe una prima trasmigrazione dei mombrionesi verso il lato nord dei colli per porre le basi di un nuovo insediamento : l’attuale San Colombano. La località è menzionata con il suo castello nel testamento di Ariberto d’Intimiano, arcivescovo di Milano, redatto nell’anno 1034 in un documento storico che rappresenta l’atto più antico sul quale viene citato il toponimo di San Colombano.

IL CASTELLO
Pare che le origini del castello di S. Colombano si possano far risalire al VI sec., contemporaneamente al grande monastero di Bobbio (A. Riccardi, Le località e territorj di S. Colombano al Lambro, 1888). Comunque sia, è fuori dubbio che il castello esistesse nel secolo X, sia a garanzia della vicina capitale di Pavia e residenza reale di Corte Olona, sia per la necessità di quei tempi di lotte feudali, sia per le invasioni ungariche, ed il conseguente decreto del Re Berengario, per la difesa e fortificazione di tutte le Città, Borghi, Luoghi, Cascinali, Monasteri, ecc.; sia, infine, per l’espressa affermazione del testamento di Ariberto del 1034, dove si parla di castris, edificiis, ecc., in Gaifaniana, Sancto Columbano, Miradolo, ecc., e più sotto di edifici esistenti tam in ipsis castris quam et foris (tanto dentro quanto fuori di essi castelli). Allo stesso modo è certo che esso appartenesse dall’800 circa al 1000 al contado (Comitatus) di Lodi, come appare anche dai documenti del 1034 e 1299 (A. Riccardi, Le località e territorj di S. Colombano al Lambro, 1888). Trascurando la preesistente fortificazione, si può sicuramente affermare che l’attuale impianto, sia pure considerato come solo tracciato, sia opera del Barbarossa. Questi, durante la sua seconda calata in Italia, distrusse il castello di S. Colombano (come del resto la maggior parte di quelli esistenti in Lombardia); ma nel 1164, riconosciuta l’importanza che il luogo ricopriva nel territorio per la sua particolare conformazione morfologica e per la posizione intermedia nella direttiva viaria Milano-Piacenza, decise di riedificarlo, per utilità del suo impero: e vi aggiunse, per utile personale, una grande borgata denominata "Magnum suburbium" , munita di mura merlate, terraggio e fossa esterna. Si devono pure al Barbarossa le grandiose dimensioni del castello, la perfetta regolarità simmetrica e l’ampiezza delle strade del borgo (situazione anomala nelle tipologie in uso a quei tempi); la costruzione, nel ricetto ad ovest, del "Magnum palacium" o "Grande Palazzo" (di cui sono ancora visibili le fondazioni), adibito a residenza imperiale; la costruzione, nel ricetto ad oriente, del Palazzo dei Vicarj e Rettori della terra di S. Colombano, ossia l’autorità comunale politica ed ecclesiastica del borgo. Si suppone che a dirigere i lavori di ricostruzione del "castrum" sia stato Tito Muzio Gatta, architetto cremonese al seguito del Barbarossa, che qualche anno prima aveva delineato le mura della nuova Lodi. Non si hanno precise notizie circa i tipi di fortificazione e loro distribuzione in questo primo impianto, ma si intuisce comunque che quest’ultimo fosse convenientemente attrezzato di strutture complementari. Agli inizi del dominio visconteo avvennero operazioni trasformative miranti a limitare l’importanza militare del Castello. Comunque, visto l’utilizzo che la signoria viscontea attribuiva alla rocca (prigione di Stato), dove nel 1338 fu imprigionato Lodrisio Visconti, dobbiamo considerare che anche il Castello fosse comunque in condizioni di sicurezza. La signoria viscontea contribuì, su tutto il territorio interessato dal suo dominio, ad una notevole fioritura castellana. L’impronta della nuova architettura fortificata ebbe ovviamente maggiore intensità nei nuovi impianti, pur non trascurando la trasformazione di fortificazioni esistenti: in tale caso rientrò S. Colombano, interessato da molteplici modifiche, talmente radicali da far considerare questo castello come una "nuova costruzione" più che una riedificazione. Le trasformazioni cominciarono nel 1370 per volere di Galeazzo II e furono inerenti sia al castello che al borgo. Gli inserimenti più importanti furono i rivellini, posti sia negli ingressi al ricetto (Torre d’ingresso e Castellana) che alla rocca (Torre d’ingresso e Torre Mirabella); vennero quindi trasformati i caratteri stilistici e gli elementi compositivi della fortezza. Le mura esterne, su tutto il perimetro, vennero integralmente rivestite di nuovi mattoni, il che conferisce una certa omogeneità all’intero impianto castellano. Nel centro della rocca venne innalzata una torre o mastio con il duplice scopo di immagazzinare munizioni e viveri e anche di estrema difesa del castellano nell’evenienza che il castello e la guarnigione, cedendo all’attacco nemico, lo costringessero a rifugiarsi in posizioni sempre più arretrate. Dal "maschio" si aveva la possibilità, tramite vie sotterranee, di portarsi al di fuori della rocca, a sud, in corrispondenza del rivellino, e da questo collegarsi ad almeno due delle torri agli angoli della rocca. Per quanto riguarda il borgo, venne ampliato a seguito della donazione di Galeazzo II del 1373 alla consorte Bianca di Savoia, la quale dotò il Comune degli speciali Statuti. Da questo documento appare evidente la volontà di favorire lo sviluppo del borgo, anche ad opera dei privati, favorendo loro l’acquisto, a prezzi convenzionati, dei materiali da costruzione, escluso il legname che veniva fornito gratuitamente; agevolazioni fornite allo scopo di raggiungere in breve tempo il fine preposto. L’ampliamento del borgo seguì la regolare distribuzione degli isolati e l’ampiezza delle vie interne, che caratterizzavano la preesistente impostazione del Barbarossa. Tutto il borgo venne dotato di mura merlate con fossato e terraggio interno, ed in corrispondenza degli ingressi le porte vennero ulteriormente protette da saracinesche. Ancora a Bianca di Savoia si deve, all’interno delle mura del ricetto, la costruzione di una propria residenza (" Coquina dominae Blanche de Sabaudia). Dai manoscritti custoditi nell’ Archivio Belgioioso, si attribuisce ai Visconti la costruzione della Torre Castellana, annessa alla Torre de’ Gnocchi. Inoltre ai medesimi vengono attribuiti: l’elevazione della Torre de’ Gnocchi, per permettere la continuità del corridore; la sistemazione della canepa sotto la Torre de’ Gnocchi, in quanto nell’addossare la torre castellana venivano chiuse alcune aperture; la costruzione dell’ Hospitium Magnum, esterno al borgo, ad uso del loro treno di caccia. I frati certosini entrarono nella storia del castello di S. Colombano nel 1396, in seguito alla donazione del Duca Gian Galeazzo; in questa prima data ottennero soltanto la parte bassa del castello o ricetto. Nel 1402 avvenne la distruzione, ad opera dei borghigiani, dei due grandi palazzi del ricetto e di ogni altra proprietà della Certosa; la popolazione si pose, poi, sotto la tutela del Vignati, signore di Lodi. Durante il dominio del Vignati, che durò 14 anni, si ebbe un notevole degrado della rocca ed in tutto il ricetto casupole sostenute da colonne in legno, casotti di paglia e case appoggiate alle mura. Con il ritorno dei certosini vennero restaurate, a spese del monastero, alcune case del ricetto ed il palazzo imperiale, quest’ultimo utilizzato quale residenza del fittabile certosino; negli anni tra il 1447 e il 1452 venne asportato il terrapieno (terraggio) a ridosso delle mura tra la Torre d’ingresso al ricetto e la Torre de’ Gnocchi. Nell’atto di donazione alla Certosa, del 1502, viene dettagliatamente descritto lo stato di consistenza dell’intero impianto: le torri erano tutte coperte da tetti, più o meno in buone condizioni, la conservazione delle merlature e dei piombatoi risultava pessima e una torre completamente distrutta; rimanevano invece integri i corridori a coronamento delle mura. Risulta, inoltre, che nella rocca fossero presenti due ponti levatoi ; che il rivellino d’ingresso alla rocca, presso la Torre Mirabella, fosse munito di 23 merli e che fosse ancora presente il rivellino della Torre d’ingresso al ricetto, mentre non si trova menzione del rivellino della Torre castellana, probabilmente perché distrutto in precedenza. Vengono inoltre descritti gli armamenti presenti ed il loro disastroso stato manutentivo e un collegamento sotterraneo a servizio della parte bassa del castello, che doveva probabilmente collegarsi sia alla rocca che all’esterno. Occorre qui ricordare che i certosini divennero proprietari del feudo solo in quest’anno, su concessione di Luigi XII, Re di Francia e Duca di Milano. Una volta ottenutone il pieno diritto, essi apportarono delle trasformazioni al castello; va inoltre specificato che i certosini, per tutto il periodo di loro proprietà, non utilizzarono direttamente l’edificio, che venne bensì adibito ad abitazione di un loro padre procuratore. In un altro documento del 1522, si riscontra la costante presenza, a protezione del castello, di due rivellini, uno sulla piazza del Borgo e l’altro all’ingresso sud della rocca; oltre a ciò si descrive il "maschio" della rocca, utilizzato come deposito di armi e munizioni. Quest’ultimo viene descritto come costruito in massi di ceppo e di granito a punta di diamante; tale rivestimento risale probabilmente al periodo sforzesco, che maggiormente utilizzò questa tipologia. Nel 1526, per ordine ducale (ed anche a seguito delle continue istanze dei certosini), il castello venne smantellato. Vennero demoliti i rivellini, alcune torri compresa quella al centro della rocca, le mura che cingevano il borgo con il conseguente riempimento del relativo fossato ed anche di quello antistante il castello. Nonostante questi interventi lesivi, il castello non perse completamente d’importanza; se ne ha conferma dalla successiva presenza, nello stesso, di una consistente guarnigione a presidio del borgo. Ulteriori danneggiamenti si ebbero a seguito dell’assalto che il castello subì nel 1529 ad opera del generale conte Belgioioso: in conseguenza a questo fatto il castello non fu più considerato piazzaforte ducale. Nel 1535 i certosini intervennero nuovamente sul castello, al fine di escluderne un utilizzo militare: vennero ulteriormente limitate le strutture fortificate, si colmarono le fosse e i sotterranei. Per contro si edificarono delle volte, ad integrazione delle già esistenti, allo scopo di dare continuità al percorso sui corridori e rendere possibile il collegamento alla rocca. Nel 1575 i certosini adattarono alcune case nel cortile del ricetto, ricavandone un oratorio, altrimenti detto Cappella di S. Maria Maddalena, che dal 1576 al 1581 venne decorato dal pittore Bernardino Campi. Nel 1671 i Certosini fecero realizzare l’attuale scala grande che dalla galleria collega i piani superiori, demolendo la precedente scaletta costruita dai Visconti. Contemporaneamente realizzarono il corpo scala superiore alla tribuna dell’Oratorio, che portava ai magazzini "granai" superiori alla Torre de’ Gnocchi e Castellana. Molti anni più tardi (1760-1776) vennero demolite molte case del ricetto, che precedentemente risultava popolatissimo (1600) e destinato completamente a tale funzione. Con la soppressione degli ordini religiosi ad opera del governo austriaco (1782) si conclude il periodo di proprietà certosina del castello. Nel 1786, con atto misto di vendita e livello il feudo di S. Colombano ed Uniti passò alla casa Belgioioso. La prima trasformazione eseguita dalla famiglia Belgioioso, fu la trasformazione dei solai sopra la Torre de’ Gnocchi e Castellana, da granai a residenza per il personale di servizio. Dopo il 1814, ritornata a S. Colombano la famiglia Belgioioso dagli Stati di Venezia, iniziarono le demolizioni delle case del ricetto, dando origine alla realizzazione del parco interno. Dal 1832 al 1836, vennero demoliti l’edificio Portazza e Arsenale, su progetti dell’architetto C. Caccia, ad eccezione della abitazione del giardiniere poi fattore, tuttora esistente. Queste demolizioni consentirono di realizzare un unico grande giardino. Venne inoltre realizzato un enorme parco fiancheggiante tutta la parte ovest del ricetto e della rocca, comprendendo anche l’area dell’ex rivellino di sud. La casa Belgioioso nel 1836, in accordo con la Deputazione del Comune di S. Colombano, sistemò il ponte di accesso al ricetto, eseguì delle opere di sottomurazione per assicurare la torre d’ingresso e definì con l’ingegnere comunale il nuovo livello della piazza antistante. Dal 1836 al 1846, per dare sviluppo al giardino interno al castello, vennero demoliti i fabbricati ( fra i quali l’Oratorio della Maddalena) che racchiudevano i tre cortili interni. Forse grazie alle particolari inclinazioni artistiche del principe, venne inaugurato nel 1836 il "teatro" in castello, adattando i locali dell’ex Pretorio ( il primo edificio a sinistra, entrando dalla Torre d’ingresso al ricetto). Conseguenza alle demolizioni sopra descritte fu la trasformazione a residenza principesca del restante edificio (1850 circa), utilizzato quale residenza estiva. L’allestimento dei locali interni al palazzo si ritiene invece sia avvenuto gradualmente (1870 circa), al punto di risentire l’influenza dell’architettura neogotica, che caratterizza le decorazioni e i rivestimenti tuttora presenti. Il principe Emilio, figlio di Antonio, risiedette definitivamente in castello e si prodigò con impegno per la conservazione del bene, coadiuvato in tale opera dalla moglie Maddalena Desmanet de Biesme e dalla preparazione e sensibilità artistica dell’ingegner Gradi. Risale ai primi anni del XX secolo il crollo del muro della "ghirlanda" alla rocca, probabilmente a causa della costante spinta del terreno, oltre ad un mancato consolidamento. Nel 1926 venne ristrutturata la torre d’ingresso e dopo breve tempo venne demolito il fabbricato nella parte destra dell’ingresso in via Ricetto, anticamente adibito a scuderie. Il minimo reddito pervenuto dalle varie case affittate in Ricetto, le notevoli spese dovute alla conservazione del castello, l’alto tenore di vita tenuto dalla famiglia, portarono ad un lento decadimento; il preoccupante stato di degrado nel quale veniva a trovarsi il castello coinvolse la proprietà in spese manutentive con l’esclusivo scopo di risolvere i problemi di volta in volta affioranti. Nel 1940 i principi fecero donazione del castello all’Università cattolica, affinché esso venisse destinato a sede di "preghiera e di riposo per persone colte", riservandosene il diritto di usufrutto. La seconda guerra mondiale, pur non interessando direttamente il castello, fece registrare l’occupazione di vari locali nel ricetto da parte degli sfollati, a seguito di un’ordinanza dell’allora commissario prefettizio ed un alloggiamento di truppe tedesche nei locali della residenza principesca Nel 1943 morì in castello l’ultimo principe, Emilio Barbiano di Belgioioso d’Este. Alla morte della principessa Maddalena, avvenuta nel 1951, la sorella scrisse una lettera al Rettore dell’Università Cattolica, ricordando lo scopo della donazione. L’amministrazione non riuscendo a proporre un riuso del castello che soddisfacesse la volontà della donante (anche a causa di vari vincoli imposti dalla Diocesi di Lodi) e per gli alti costi di gestione del castello, non coperti da pari entrate, decise per la vendita. Molti furono interessati all’acquisto che avvenne infine a favore dei sigg. Cavalli e Gavazzi, commercianti di legnami. Il passaggio di proprietà non fu ratificato dal competente Ministero della Pubblica Istruzione in quanto il castello era gravato da vincoli monumentali e i nuovi proprietari intendevano apportare modifiche di destinazione d’uso dei locali. Nel frattempo, però, i nuovi proprietari avevano proceduto al disboscamento del parco del castello. L’Università cattolica ritornata in possesso del Castello ne decise successivamente la cessione alla parrocchia di San Colombano nel 1958. Il parroco A. Parazzini si impegnò con grande sforzo economico all’acquisto del castello, ma non riuscendovi con i mezzi a disposizione della parrocchia, accettò un frazionamento: una parte del castello, consistente nella Rocca e nel Ricetto, fu venduta al signor Carlo Lareno Faccini e una parte più piccola al signor Sbarbaro. Con il consenso della Soprintendenza il sig. Lareno Faccini poté demolire le case più antiche a sud del ricetto, risparmiandone solo alcune. Tali demolizioni si rendevano purtroppo necessarie per far posto alla strada, di nuova costruzione, collegante l’entrata al ricetto con la rocca. Nel 1958, nonostante i vincoli a cui era sottoposto l’intero castello, entro il perimetro della rocca si demolirono torri e mura merlate per far posto ad una lussuosa villa in stile moderno e piscina. Gli interventi proseguirono per circa tre anni, interessando con operazioni di restauro risanativo le case situate in via Ricetto, limitatamente a quelle ritenute architettonicamente più interessanti, trasformandole in appartamenti e mutilando così irrimediabilmente la composizione storico-architettonica dell’unico esempio di ricetto esistente in Lombardia. Il 18 dicembre 1987 il castello di S. Colombano fu acquistato dal Comune. Recentemente è stato oggetto di un complesso intervento di restauro.

Descrizione
Il castello di S. Colombano nasce essenzialmente dall’accoppiamento di una rocca ed un ricetto; più precisamente si tratta di un castello-recinto posto su due corti diverse, delle quali la più alta a destinazione militare e la più bassa a destinazione civile, in particolare con funzione di ammasso di riserve agricole (ricetto). I tratti di mura situati sui lati maggiori del castello sono posti a mezza costa del colle; il tracciato non è rettilineo, ma scandito da torri sporgenti all’esterno. Su tali lati le cortine sono alte, a differenza dei tratti corti (nord e sud) dove la comune presenza del fossato e, tra le torri d’ingresso e quella de’ Gnocchi anche del terraggio, non richiese identica soluzione; anche le mura che dividevano il ricetto dalla rocca erano alte a dimostrazione del significato di ridotto militare di quest’ultima. La configurazione del tracciato è tipica del castello-recinto nella parte bassa, ben presto trasformato in vero ricetto con la presenza continua di capanni in legno e muratura per le scorte alimentari, oltre alla "canepa"sotto la Torre de’ Gnocchi. La rocca di pianta trapezoidale dimostra ancor oggi la sua antica potenza, dovuta innanzitutto alla posizione privilegiata della quota, con il pendio circostante che ne attenua la vulnerabilità, oltreché alla considerazione nella quale era tenuta nei tempi passati. Inoltre va considerato che, mentre agli inizi del 1400 molti fortilizi vennero adattati alle nuove tecniche militari (apparato a sporgere, ecc.),situazione riscontrabile nella Torre d’ingresso e Castellana del ricetto, non si ritenne opportuno intervenire in tal senso anche alla rocca; il motivo di questa mancata trasformazione è da ritenersi sia stata la già sufficiente condizione di sicurezza della rocca. Le cortine, pur presentando alla vista esterna le medesime caratteristiche (ad esclusione della diversa altezza) in tutto il castello, quali la merlatura ghibellina, il cotto come materiale di costruzione, il basamento scarpato con redondone, si possono classificare di tre tipi, diversificandosi per il sistema costruttivo usato e per la diversa utilizzazione delle stesse, e cioè: cortina contraffortata con archi in mattoni paralleli al senso di percorrenza, con superiore strada carrabile; cortina caratterizzata da un eccessivo spessore di muro, destinato a sopperire all’eccessiva altezza; cortina ricavata mediante il progressivo allargarsi della sommità del muro verso l’interno. A conclusione va ricordato che tra la Torre d’ingresso e la Torre de’ Gnocchi, esisteva inizialmente solo un basso muro munito all’interno di terraggio, sul quale scorreva una strada di collegamento. Un’altra caratteristica sono le 18 torri di cui il castello era inizialmente munito e che risolvevano appieno gli scopi che l’architettura castellana aveva loro assegnato. La torre de’ Gnocchi costituisce il nuceo più antico del castello. Le torri, come le cortine, si presentano con merlature ghibelline e base scarpata, la cui intersezione è sottolineata dal redondone che, seguendo parallelamente il naturale ascendere del terreno, riesce ad imprimere una nota esornativa a tutto l’impianto. Il castello di S. Colombano era dotato di passaggi sotterranei, intesi come vani disponibili, e di passaggi. Questi ultimi, presenti esclusivamente nella parte bassa del castello, erano situati sia in corrispondenza delle case del ricetto ad est destinati a cantina, sia nella zona ovest. Esistevano infatti, come oggi del resto, la serie di locali con volte a crociera che definivano l’area del grande palazzo del ricetto, edificato dal Barbarossa, e quelli in corrispondenza delle due torri de’ Gnocchi e Castellana, tra i quali si distingue per importanza architettonica il "cantinone" o "canepa", ambiente tipico dell’architettura gotica profana lombarda, che presenta analogie con la "sala di giustizia" della rocca di Angera ed alcune navate mediane di chiese cistercensi. In quanto ai percorsi sotterranei, che dovevano essere numerosi e comunicanti le varie parti del castello, va ricordato che la gran parte furono distrutti, riempiti o murati in epoca certosina, al fine di rendere il castello privo di qualsiasi interesse militare difensivo. L’utilizzo del fossato invaso d’acqua, nel primitivo sistema difensivo, non ebbe largo sviluppo; motivo di questo scarso utilizzo furono le difficoltà di mantenere un costante livello d’acqua e la già sufficiente sicurezza assicurata del fossato asciutto. Nel castello di S. Colombano erano presenti entrambi i tipi: la rocca era dotata, sia verso il ricetto a nord che verso la collina a sud di fossato asciutto, con ponti levatoi ulteriormente protetti da rivellini; attorno alle mura del ricetto, invece, sorgeva un fossato: esso riceveva le acque dai due colatori discendenti dalle valli laterali ed era costantemente alimentato. Di questo fossato è attualmente visibile solo il perimetro del tratto verso il borgo, dato che il fossato vero e proprio fu colmato nel 1585. Il castello di S. Colombano ha sempre avuto una posizione predominante nella vita comunale, pur non essendo sempre il polo centrale. A differenza della maggior parte dei castelli, che non ebbero grande connessione con la città in quanto vissero una vita propria, questo ha sempre condizionato San Colombano in modo diretto, fino alla fine del Settecento quando, trasformato in villa residenziale, perse gran parte della sua influenza, per poi riacquistarla quando fu ceduto alla Parrocchia. La disposizione stessa del Comune risente di tali connessioni; infatti la piazza del borgo è situata proprio di fronte alla torre d’ingresso al ricetto, ospitando anche la chiesa parrocchiale. Il mercato, che tuttora si svolge in via Mazzini e fino a qualche anno fa in via Belgioioso, frontalmente al castello, ebbe fin da tempi lontani, per concessione del Barbarossa, ubicazione prospiciente la torre de’ Gnocchi. L’esistenza del ricetto, rarissimo in Lombardia, denota la completa partecipazione della popolazione medioevale alla vita del castello, inteso quale luogo di sicurezza e di sopravvivenza. All’interno del ricetto sorse nel 1593 il Monte di Pietà, prima forma organizzata di credito del paese; dal 1416, per molti periodi, la torre de’ Gnocchi fu sede del Consiglio Generale del Comune, ed in seguito ospitò sia il Prefetto che il Consiglio Comunale (la prefettura di San Colombano comprendeva ai tempi una zona assai vasta del territorio lodigiano). Inoltre il castello rappresentò sempre la residenza del feudatario o del potente, ai quali la popolazione doveva obbedienza e denari; nel periodo di proprietà dei certosini, che pur esercitavano funzione di feudatari, gli abitanti del Comune spesso si rivolsero ai religiosi per ottenere favori, esenzioni o intercessioni presso il Senato di Milano. Esaurita la funzione difensiva del castello, quest’ultimo vide diminuire anche la sua influenza. Nel secolo XVIII, con l’instaurarsi di un nuovo ordinamento politico-sociale, il castello perse anche il suo significato emblematico, trasformandosi in residenza privata e cessando quindi definitivamente di influenzare la vita della città. L’industrializzazione del secolo XIX poi, operò un profondo divario tra la ormai statica vita del castello e il dinamico sviluppo del Paese (pur considerando San Colombano quale centro agricolo, nel quale l’industrializzazione non sconvolse, come in altre città, le abitudini e la mentalità stessa degli abitanti). I cambi di proprietà degli anni ’50 non modificarono tale divario tra le due funzioni. Per quanto riguarda la rocca e l’antico ricetto, ormai in gran parte trasformato, dobbiamo valutarne il completo e definitivo distacco, giacché la proprietà privata pretende appieno i propri diritti di autonomia, non permettendo neppure la sola visione dell’antica fortificazione.

CHIESA PARROCCHIALE
La chiesa parrocchiale ha origini antiche; il primo impianto, probabilmente un oratorio campestre dedicato a S. Colombano, risale all’epoca carolingia e fu eretto su beni di proprietà del monastero di Bobbio. Esso possedeva, però, una diversa ubicazione rispetto all’attuale: era infatti addossato al fossato del castello. Ciò dimostra che la chiesa esisteva prima del castello; in caso contrario sarebbe stata costruita a giusta distanza in modo da non ostacolare le operazioni militari (B. Belli Panigada- G. Panigada, Le vicende nella storia dell’insigne Borgo di S. Colombano, 1970). L’infelice localizzazione e il fatto che la parrocchiale fosse "una giesa molto vegia, pizola in modo che no li po stare pur la mitade de lo populo ne le feste" spinse Bassino de Cipelli, rettore della chiesa e cappellano ducale, ad inviare una supplica (conservata nell’Archivio di Stato di Milano), nel 1479, rivolta a Gian Galeazzo Sforza e a sua madre Bona di Savoia, signori del luogo. In essa il rettore, rappresentando anche la volontà dei parrocchiani, chiedeva il permesso di poterla demolire per costruirne una più ampia in un terreno poco distante, laddove sorge l’attuale chiesa parrocchiale. Il Cipelli ottenne dagli Sforza il permesso per la costruzione del nuovo edificio ecclesiastico; i lavori ebbero inizio il 18 maggio dell’anno 1479. Per l’occasione, a causa delle scarse risorse economiche della comunità banina, venne smantellato il vecchio edificio e il materiale ricavato fu reimpiegato nella "nova fabrica", cosicché della costruzione primitiva non rimase alcuna vestigia. Il nuovo edificio era rivolto a levante. Infatti quando nel 1838 il prevosto Luigi Gallotta fece ampliare la chiesa, trasportando in avanti la facciata, vennero scoperte le fondazioni dell’edificio quattrocentesco, orientato in senso opposto, che dovette subire dunque un’ulteriore ricostruzione in età moderna, prima delle modifiche apportate dal parroco (M. Pearce- M. Montanari, op. cit.). L’erezione del campanile, invece, risale al 1780 circa. Internamente la chiesa presenta tre navate e cappelle laterali, fra le quali si può ammirare la cappella votiva detta "del Rosario" , eretta dopo la pestilenza del 1630. La chiesa ospita affreschi di Bernardino Campi (eseguiti tra il 1576 e il 1581 per la cappella di S. M. Maddalena, in Castello, e da essa asportati nel 1846), opere di Bernardino Lanzani, di Paolo Caravaggio e dipinti ad olio dell’artista contemporaneo Felice Vannelli. Il monumentale organo ottocentesco, opera dei fratelli Bossi, è tra i più importanti della nostra regione.

CHIESA DI SAN ROCCO
"Ornamento e decoro del Borgo": così l’ha definita lo storico locale Don Annibale Maestri. La chiesa, edificata nel 1514 appena fuori le mura, sorse sulla direttrice mediana sud-nord, frontalmente alla porta ferrata, sul proseguimento della strada magistra per Lodi. La costruzione è attribuita agli architetti Giovanni Battagio e Giovanni Amadeo, ha pianta ottagonale ed è stata eretta in stile bramantesco. Interessante risulta la parte alta della fabbrica, di impostazione rinascimentale; internamente è sede del matroneo, le cui aperture bifore sono "impreziosite" da colonnine binate finemente tornite. Nel corso di lavori di restauro della Chiesa, eseguiti durante gli anni Sessanta del Novecento, vennero in luce, nell’altare di destra, sotto gli affreschi raffiguranti scene di vita di S. Rocco, dipinti precedenti di S. Giovanni Battista e di S. Fermo e quattro porte antiche situate sui lati diagonali dell’ottagono (che furono restaurate con mattoni di recupero sagomati a mano. Nella cappella dell’altare maggiore, poi, fu riaperta una piccola finestra circolare, con ciò ripristinando l’aspetto primitivo della piccola abside. Al termine dei lavori la chiesetta fu riaperta al pubblico nel 1961, nella festa di Pentecoste. La costruzione, anche se incompleta, è monumento nazionale. Attualmente è proprietà dei Signori Riccardi.

CHIESA DI SAN FRANCESCO
L’opera è stata eretta nel 1580 circa sulla sponda sinistra della Rugia Nuova; si trovava in posizione leggermente esterna alle mura del Borgo, immersa nel verde. Nel 1623 fu ampliata e la parte retrostante adattata per farne un piccolo monastero dei frati Minori Osservanti. Nel 1664 fu trasformata in un complesso di clausura; tale rimase sino al 1811 per poi passare al clero locale. L’impostazione architettonica della facciata, con il frontone indicante l’inclinazione del tetto, richiama lo stile Lombardo-romanico; il pronao d’ingresso ne completa le caratteristiche rinascimentali.

CHIESA DI SAN GIOVANNI
Nel 1510 fu edificato l’ospedale e fu consacrata la chiesa di S.Giovanni Battista. Il complesso era lambito dal "cavo colatore" o "sonator", che alimentava il fossato sul lato est del Borgo bastionato. Inizialmente fu proprietà dei Terziari francescani, poi divenne convento di S.Antonio. Fra il 1714 e il 1751 si susseguirono lavori di ampliamento. Nel 1782 la chiesa fu soggetta ad espropri e a diverse destinazioni. In quell’anno l’imperatore Giuseppe II d’Austria pose fine all’uso conventuale del luogo e lo affidò al clero locale. Nonostante varie trasformazioni apportate nei secoli, la facciata ha mantenuto l’impostazione originaria. Notevoli opere di ristrutturazione e restauro hanno riportato alla luce, all’interno della chiesa, pregevoli stucchi d’epoca barocca e intarsi marmorei di fattura tardoromanica.

CASA DI DON CARLO GNOCCHI
Don Carlo Gnocchi, celeberrimo fondatore della Pro Juventute e dell’infanzia mutilata e abbandonata, nacque a S. Colombano, il 25 ottobre 1902. Sulla sua casa natale, sita in via Vittoria, una lapide lo ricorda.

MANIFESTAZIONI

Il "Guiderdone"
Dal 1992 il paese è stato suddiviso in otto rioni (Imperiale, Borgoratto, Mombrione, Campasso, Lazzaretto, Regone, Fontanelle, Campagna) che festeggiano il "palio del Guiderdone" la terza domenica di settembre. Il palio fra gli otto rioni consiste nella rievocazione dell’assalto al portone della torre d’ingresso al Castello, utilizzando un ariete artificiale spinto da sette componenti di ciasun rione: vince il rione che realizza un certo punteggio; esso si aggiudica per un anno la "Cingolina", trofeo bronzeo che rievoca una delle torri del Castello. L’assalto ricorda un fatto realmente accaduto nel 1401, cioè l’assalto dei popolani, frustrati da angherie fiscali dai Visconti di Milano, al Castello visconteo, poi diventato Castello Belgiojoso.

La sagra dell'uva
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, la domenica dopo la festa del Cristo, che si teneva la terza domenica di settembre, venne dedicata al prodotto "principe" della collina: l’uva. Con il patrocinio della provincia di Milano nacque la Sagra Provinciale dell’Uva con il concorso delle "Margotte di uva", le prime sfilate di carri allegorici e la rassegna di vini tipici. Attira decine di migliaia di turisti ogni anno. I carri allegorici vengono realizzati ogni anno da decine di giovani banini, divisi in numerose compagnie. In questi ultimi anni la Sagra ha visto come protagoniste le compagnie degli "Scrausi",dei "Menadi me pochi", del "Bovera Club", dei "Veneziani", di "Quei de l' uratori" e degli "Amici di Cicciovips". Nel 2007 è stato festeggiato il cinquantenario di tale evento. La sagra è inoltre una delle più importanti sul territorio, e vede ogni anno la presenza di migliaia di visitatori non residenti.

La sagra della Maddalena
La sagra della Maddalena cade nella terza domenica di luglio e fino a non molti anni fa si protraeva il giorno seguente con la tradizionale fiera del bestiame e delle macchine agricole in esposizione lungo tutta la via IV Novembre. Oggi sopravvive solo per la fiera che in questa settimana allieta i banini con le sue attrazioni. Eppure si tratta di una festa ricca di significato storico: insieme alla festa patronale di S. Colombano è la festa di più antica istituzione. Infatti se ne trova menzione già nel 1374, negli Statuti Sancolombanesi. Si da allora, in occasione del "festum Mariae Magdalenae" si sospendeva ogni atto giudiziario civile ed era vietato il lavoro non solo nel capoluogo, ma anche in tutta la giurisdizione del vicariato. La festa celebrava la Patrona dell’ordine religioso dei Certosini, presenti nel Borgo per più di 400 anni. Nel 1645, poi, fu accordato loro il diritto di Fiera nella festa della Maddalena. Alla soppressione dell’ ordine certosino tale diritto, come pure tutti i beni di loro proprietà, passarono allo Stato, nella persona del principe Ludovico Belgiojoso.

La festa del Cristo
La festa detta "del Cristo" ricorre la terza domenica di settembre; essa è legata alla devozione dei banini verso il Crocefisso. Questa pregevole scultura lignea (attualmente collocata nella Chiesa Parrocchiale), già menzionata in atti del 1588, veniva portata in processione dai banini in occasione di guerre, carestie, pestilenze, ma anche per invocare piogge o sereno, o per scongiurare le intemperie che minacciavano i raccolti. In onore del Crocifisso il prevosto Ciserani volle erigere una cappella (oggi cappella del S. Cuore). Essa fu inaugurata il 15 settembre 1703. Il giorno seguente, domenica 16 settembre, terza domenica del mese, al termine di una solenne processione, il Crocefisso fu collocato nella nicchia della cappella sopracitata. Da allora la festa del Cristo fu celebrata nel Borgo in tono sempre più elevato, anche perché veniva a coincidere con l’inizio della vendemmia.

CENNI STORICI
San Colombano è il nome di un monaco, abate, missionario evangelizzatore irlandese con il carisma del combattente, armato di spada e vangelo. Partito già anziano dalla sua terra d’origine, fu esule da lunghe e sofferte peregrinazioni nelle Gallie, transitò per questi luoghi all’inizio del VII secolo, diretto alla corte longobarda di Pavia. Qui lasciò il segno del suo apostolato convertendo al Cristianesimo le tribù padane stanziate sulle rive del fiume. La tradizione vuole che questo monaco convertisse gli abitanti dei colli al Cristianesimo ed insegnasse loro la coltura della vite, che ancora oggi conserva la priorità assoluta sui 12 km² dei dossi banini. Il ritrovamento di anfore vinarie e strumenti di cantina , conservati nel locale Museo Paleontologico Virginio Caccia, dimostrano che già in epoca romana la vite veniva coltivata sui colli per la produzione di vino; ma il santo patrono introdusse dalla Francia alcune tipologie di vitigni ora chiamate ancora con il suo nome. Egli a Bobbio nel 614 fondò l'Abbazia di San Colombano, operante sotto la Regola Colombaniana e molti monasteri in Italia ed in Europa dipendevano da tale città assieme a territori come piccoli feudi monastici. Infatti fin nell'alto medioevo il territorio fu soggetto fin dall'epoca longobarda ai monaci colombaniani, della potente Abbazia di San Colombano e del grande Feudo monastico di Bobbio, che vi fondano il Monastero di San Colombano evangelizzando il territorio. Essi favorirono espansione dei commerci dell'agricoltura e della cultura, introducendo importanti innovazioni ed aprendo vie commerciali. San Colombano al Lambro è uno di questi feudi monastici, che attorno o subito dopo il X secolo come molti altri viene infeudato nuovamente staccandosi dalla potente abbazia bobbiese. Ariberto d’Intimiano nel 1034 donò alle Chiese milanesi i possedimenti banini, a lui precedentemente donati dall’Imperatore Corrado II°. Diede così inizio al possesso delle terre da parte della Signoria Milanese. La navigazione sul Lambro e il frutto dei suoi pedaggi con le attività collaterali e la supremazia sul territorio , furono alla base di lunghe e sanguinose vicende che opposero i Lodigiani ai Milanesi. Nel 1158 comparve all’orizzonte del borgo l’astro di Federico I di Svevia , detto il Barbarossa che ne distrusse fortezza e abitato. L’Imperatore, riconoscendo la felice posizione strategica del castello abbarbicato al colle, dominante sia la valle del Po che quella del Lambro, lo riedificò e con esso gettò le basi del “burgum” adottando il classico taglio urbanistico romano, tuttora riconoscibile, legato al cardo ( direttrice nord-sud ) ed al decumano ( est-ovest ). Tra il 1164 e il 1355, sorse anche la Civitas Imperialis che fa parte dell’attuale centro storico, sito ai piedi del castello. Da un punto di vista giurisdizionale il colle banino era diviso longitudinalmente tra i distretti di Lodi e Pavia. Il diploma di Federico I° ai fedeli cittadini pavesi nel 1164 ribadiva che Miradolo e Chignolo, ubicati al di là del colle, rientravano nei territori della città di Pavia. Tale divisione sarà mantenuta anche successivamente. Seguì il nuovo periodo delle signorie milanesi. I patti del 1198 fra Lodi e Milano stabilivano che ai milanesi da Landriano e agli abitanti di San Colombano era richiesto il solo soccorso militare a Lodi in caso di guerra e l’impegno a non combattere contro di essa. Erano invece i da Landriano a imporre e riscuotere le tasse dirette e indirette che , secondo la legislazione milanese, gravavano sugli abitanti di San Colombano e delle sue campagne e sempre a loro spettava l’esercizio del potere giudiziario, facente capo al tribunale ambrosiano. Nel 1299 i Visconti, con il “Liber jurium civitatis laudae”, sancirono la loro presenza e il possesso del castello e del territorio. Nel 1353 Francesco Petrarca fu gradito ospite di Giovanni Visconti nel maniero banino ed ebbe modo di elogiarne le bellezze in una lettera scritta all’amico Guido Albornoz, arcidiacono di Genova: “… gradita solitudine, amico silenzio… Io non conosco altro luogo, che in positura si poco elevata, si vegga intorno si vasto prospetto di nobilissime terre …”. Del periodo visconteo si ricordano in modo particolare gli “Statuti Colombanesi”, organo legislativo istituito da Bianca di Savoia, consorte di Galeazzo II, la quale nel 1371 qui vi stabilì fissa dimora .Gli Statuti rappresentano una lungimirante e antesignana legiferazione che potrebbe benissimo essere considerata l’antenata degli attuali Statuti imposti ai Comuni. Alla morte di Bianca di Savoia i beni di San Colombano passano al figlio Gian Galeazzo. L’otto Settembre 1396 Gian Galeazzo Visconti pone la prima pietra della Certosa di Pavia e il successivo 6 ottobre dona ai Certosini, per la costruzione , il Ricetto del castello di San Colombano con tutte le pertinenze, fornaci, molini, beni circostanti, diritti di pesca nel Lambro e cospicue somme in denaro. Le autorità del Borgo in questo periodo sono: il Castellano rappresentante del Duca proprietario del feudo, il Fittabile Generale dei beni del Monastero, il Rettore della Chiesa e il Vicario del Comune o Vicariato. Con compiti diversi da quelli del Castellano, il Vicario agiva come feudatario con ampi poteri, con diritto di vita e di morte, curava la vita del Comune, i costumi, le leggi, le pene in corso. Il Rettore della Chiesa è la massima autorità religiosa locale e viene nominato nel rispetto del diritto di giurispatronato. Il 19 settembre 1399 il Vescovo Bonifacio da Lodi riconferma e investe Rettore della Chiesa il prete Stefano de Monzio da Novara, già designato dai Vicini o Parrocchiani di San Colombano. Fino ad oggi i Parroci che hanno retto la Chiesa del Borgo sono stati 37, designati alternativamente dal Comune e dal Vescovo di Lodi fino alla metà del 1900 con l’abolizione del giurispatronato. L’imposizione certosina gravò a lungo sulla popolazione locale e le proteste puntualmente giustificate vennero presentate in tutte le sedi. Le corde troppo tese dai Certosini pure allora, si spezzarono e, nel settembre del 1402, scoppiò la rivolta dei Banini, oppressi da angherie e soprusi. Morto Gian Galeazzo, insofferenti del giogo del nuovo Duca Filippo Maria e dei privilegi certosini, gli abitanti assalgono e prendono il Castello e la Rocca, massacrano la guarnigione ducale, saccheggiano e bruciano i grandi palazzi del Ricetto e la proprietà certosina. Solo il 10 agosto 1574 Papa Gregorio XIII° con una sua bolla dichiarerà finalmente “finita” la fabbrica del chiostro, riducendo le pretese dei certosini. La presenza dei monaci nel nostro territorio produsse anche importanti effetti positivi. Per loro iniziativa vennero attuate importanti opere di bonifica, di regimazione delle acque, di miglioramento delle pratiche agricole, di ristrutturazione del Castello. L’Oratorio Certosino, dedicato a Santa Maria Maddalena in Castello, ospitava tra l’altro i bellissimi affreschi di Bernardino Campi, ora collocati nella Chiesa Parrocchiale. È bene ricordare che la presenza dei monaci in San Colombano continuerà fino al 1785, cessando il 22 ottobre con la confisca di Giuseppe II° d’Austria Nel 1447 si estinse la casata dei Visconti con Filippo Maria che, senza eredi maschi, diede in sposa la figlia Bianca Maria a Francesco Sforza, condottiero versatile che impiegò le sue armi al soldo di Milano e Venezia. I Veneziani nel 1447 occuparono San Colombano al comando di Michele Attendolo, ma lo Sforza, per gli ambrosiani, il 15 settembre dello stesso anno la espugnò con l’aiuto di Bartolomeo Colleoni e dei suoi mercenari che fecero uso per la prima volta, in loco, dell’artiglieria pesante con le bombarde. Anche in casa Sforza abbondarono gli intrighi di palazzo e le lotte per il potere, particolarmente fra Galeazzo Maria e Ludovico il Moro. Questo fu però, paradossalmente , il periodo di maggior fulgore artistico e culturale della corte milanese e anche di San Colombano. Si ricordano presenze importanti quali Corio, Bramante, Leonardo. Quando Leonardo dovette lasciare definitivamente Milano per recarsi a Roma, nel settembre del 1513, transitò per San Colombano seguito dai suoi allievi. In tale occasione venne eseguito un abbozzo del luogo, poi inserito nel Codice Atlantico da Pompeo Leoni. Batti e ribatti sull’incudine del dominio, finché toccò a Luigi XII° di Francia trarne i vantaggi: alleatosi con Venezia conquistò il Ducato di Milano. Tramontato Luigi XII, sorse Francesco I° re di Francia, sovrano munifico, per quattro volte in guerra con Carlo V°. Pavia nel 1525 fu fatale per Francesco I e lo fu anche per il Ducato di Milano, compreso il contado di San Colombano, che divennero feudi imperiali spagnoli. Tali possedimenti, con il Castello, furono successivamente donati nel 1529 dal re al conte Ludovico Belgioioso e rimasero proprietà della casata, con alterne vicende, sino alla prima metà del XX secolo. Nel 1546 Carlo V° riconferma ad alcuni di San Colombano il privilegio, già loro accordato da Francesco II° Sforza, di erigere le “saline” e fabbricare sale usando acque minerali nella località oggi chiamata “Gerette”. Il Seicento conobbe la dominazione spagnola permeata di inettitudine e malgoverno, disordine civile, carestie, pestilenze e passaggi di soldataglie. L’undici Settembre 1593 nel Ricetto viene fondato il “Monte di pietà” con un lascito del Parroco Baruffi. L’istituzione continuerà ad operare in favore dei bisognosi fino agli inizi del 1900. Il Monte era ubicato nella stessa costruzione che ospitava i rappresentanti del Comune all’interno del castello, sul lato sinistro della torre d’ingresso. I rappresentanti dei Certosini risiedevano nella Torre dei Gnocchi. Nel 1602, Martedì 2 luglio per concessione del duca Carlo D’Aragona, Governatore di Milano, i Certosini inaugurano con eccellenti risultati il primo “mercato”, che ancora oggi si tiene ogni Martedi .La prima concessione del Duca Massimiliano Sforza ai Certosini risaliva al 28 agosto 1513. Una nota datata 1609 enumera in San Colombano 5000 abitanti e la presenza di 500 fuochi. L’attività principale è la coltivazione della vite per la produzione di vino. Nel maggio del 1630 la peste contagia anche San Colombano, seminando vittime: il Lazzaretto, attualmente restaurato, dedicato come quello milanese a San Gregorio Magno, ricorda ai posteri il funesto evento. Nel 1691 con Privilegio del Re di Spagna Carlo II°, San Colombano viene dichiarato “Oppidum Insigne”, coi diritti annessi. Il 27 luglio si pone la prima pietra del “Portone”sulla strada per Lodi. Passato il lungo periodo di presenza spagnola, iniziò nel 1706 il governo austriaco con l’Imperatore Carlo VI°. La vita nel Borgo fu contrassegnata da divisioni interne che vedevano contrapposti non solo il fisco e il Monastero, ma anche i borghigiani “nobili”e“maggiorenti” da una parte e i”poveri“ e”particolari” dall’altra. Nel 1709 questi ottengono la separazione del comune: l’uno dei nobili , sostenuti dal Monastero, e l’altro dei particolari. In questo periodo i poveri hanno un protettore che rivendica i loro diritti. In San Colombano si contano 10 Oratori Pubblici soggetti alla giurisdizione della Parrocchia, mentre le chiese di San Francesco, San Giovanni Battista ed altre sono indipendenti dal Parroco locale. Ciò che oggi rimane delle strutture religiose rappresenta per la comunità un patrimonio di grande valore devozionale ,tradizionale e artistico .Oltre a quelle citate, sono importanti per strutture e contenuti la Chiesa Parrocchiale (1478) e la Chiesa di San Rocco (1514). Nel 1734 vengono celebrati con grande solennità nella Chiesa Parrocchiale i funerali di D. Baldassare Pategno, Ministro plenipotenziario del Re di Spagna presso la corte francese. La sua residenza oggi è la sede del Comune. Alla fine del 700 fu il turno degli asburgici con l’Arciduca Carlo, che occupò la Bassa Lombardia, ma Napoleone, in netta ascesa ne contrastò l’espansione occupando Lodi e dintorni, San Colombano compresa. Siamo al dieci Maggio 1796. Il pur breve periodo napoleonico ed il precedente austriaco hanno lasciato un’impronta importante nella vita civile e nell’organizzazione pubblica. A questo periodo risalgono la denominazione di San Colombano e la sua appartenenza alla provincia di Lodi e Crema, istituita nel 1816. Il censimento del 1798, che annovera in San Colombano una popolazione di 4223 abitanti, con 20 Preti, 12 Religiosi, 12 Religiose e 847 famiglie, evidenzia una sensibile riduzione rispetto a un secolo prima. L’economia del Borgo è sempre legata alla viticoltura, la collina è intensamente coltivata da contadini che lavorano per i grossi proprietari, ma anche su piccoli terreni che si rendono disponibili e vengono acquistati. I terreni ceduti da nobili , possidenti ed ecclesiastici, passano a piccoli proprietari coltivatori che li gestiscono con l’aiuto dei famigliari. La viticoltura è pratica manuale che necessita di poche attrezzature. Per i trasporti pesanti vengono usati carri trainati da cavalli da tiro. Per i trasporti legati alle pratiche collinari si usano carretti trainati da asini, più usati perché resistenti e poco esigenti. Le famiglie vivono in case a uno o due piani, isolate o riunite in cortili, con la proprietà o la disponibilità di una cantina spesso interrata, di una piccola stalla con fienile, di un pozzo, di un gabinetto esterno situato sopra un letamaio, con pollaio e spazi per piccoli allevamenti di animali da cortile. La conservazione degli alimenti viene fatta mediante cottura, salatura, oppure per raffreddamento utilizzando le ghiacciaie interrate, alimentate con ghiaccio o neve raccolti nella stagione invernale. Per il riscaldamento e la cottura dei cibi ogni abitazione era dotata di uno o più focolari. Il commercio e l’artigianato gravitano attorno alla attività agricola. Solo famiglie facoltose possono avviare giovani alle professioni o alla carriera ecclesiastica. Nel comune vengono edificate case signorili con giardini e pertinenze appartenenti a commercianti, professionisti, possidenti locali o milanesi che scelgono il Borgo come dimora di campagna. Nel comune sono attivi tre molini e due fornaci. Col tramonto di Napoleone Bonaparte, la Lombardia vede il ritorno degli Austriaci, dopo Vienna 1815, i Metternich: anni duri dopo i tragici eventi del ’21 e ’31. Nel 1836 l’epidemia di colera miete vittime nel Borgo. L’Imperatore Ferdinando I° e la consorte nel 1838 passano per il Borgo e per l’occasione alcune case prospicienti la Chiesa Parrocchiale vengono modificate, dando origine alla attuale piazza. A oriente del Borgo, presso la Chiesa di San Filippo Neri, si forma un consistente nucleo abitato che si dedica prevalentemente all’agricoltura di pianura. La località apparterrà sempre, come frazione Campagna, al Comune di San Colombano. Nel Borgo, col contributo di benefattori locali, sorgono un asilo per bambini poveri e un ospizio per la cura e il ricovero di anziani bisognosi. Anche San Colombano visse nel Risorgimento momenti di patriottismo, animati dal giovane dottore in legge Pietro Gallotta. Questi scampò alle catene dello Spielberg e proseguì la sua intensa attività clandestina sfociata, a Milano nei fatidici cinque giorni di marzo del 1848. Con lil Decreto Rattazzi del 1859 San Colombano passa alla Provincia di Milano. Nel 1863 San Colombano assunse il nome ufficiale di San Colombano al Lambro. Nel 1879 compare la Peronospora che devasta i vigneti, annienta il prodotto più importante del Borgo e getta la popolazione nello squallore. Il Borgo Insigne ha condiviso in tutto il XX secolo la storia nazionale. La sua economia si è basata sull’agricoltura, sul commercio e sull’artigianato. L’epidemia “Spagnola”, la Guerra d’Africa , i due Conflitti Mondiali e la Guerra Civile hanno portato lutti e sofferenze tra la gente . IL Monumento ai Caduti, edificato a seguito di una sottoscrizione popolare, porta i nomi di 113 giovani vittime del primo conflitto mondiale, il secondo non fu da meno e alle vittime del conflitto vanno aggiunti i caduti civili del bombardamento del Settembre 1943, nel corso di una incursione aerea degli Alleati. L’economia in San Colombano per la prima parte del 1900 si è basata sull’agricoltura collinare con apporti del commercio e dell’artigianato. Le famiglie povere cercavano risorse prestando servizi, offrendo aiuto soprattutto femminile nelle case e per la monda del riso , mentre gli uomini vengono occupati per la conduzione degli impianti di riscaldamento nei grandi edifici milanesi. I viticoltori, dediti ad una intensa coltivazione che interessava tutto il territorio collinare disponibile, nei mesi estivi cercavano occupazione presso le “Cascine” di pianura. La frazione Campagna, per decisione vescovile, diventa Parrocchia autonoma retta da Don Stefano Codecasa. Viene edificato un nuovo Cimitero Comunale che sostituisce il Lazzaretto e vengono realizzate importanti opere pubbliche che trasformano l’aspetto e la vita nel Borgo. Due filande impiegano cospicua manodopera femminile per lavorare i bozzoli prodotti dal lavoro di allevamento dei bachi in numerose famiglie. Le Fonti minerali e le colline sono meta di visitatori, in gran parte milanesi in cerca di svago. Sulla collina prospiciente il centro abitato vengono edificate le monumentali scuole elementari. Nel Borgo sono attivi un teatro, due alberghi e numerose locande con ricovero per gli animali da tiro. Il concittadino Franco Riccardi conquista la medaglia d’oro olimpica nella spada a Berlino e a Los Angeles e si qualifica come Campione Mondiale. Dopo il conflitto 1915-18 la vicina Milano ha offerto importanti alternative alla attività agricola e lo sviluppo industriale ha determinato due nuovi fenomeni: il pendolarismo e l’abbandono dei vigneti. Il XX secolo iniziò per il Borgo dando i natali a un futuro Santo: Don Carlo Gnocchi (1902 ), che dedicò tutta la sua esistenza ai sofferenti. Oggi il Borgo Insigne, per il suo ambiente, la sua storia, le sue tradizioni, i suoi monumenti, la sua economia, rappresenta una comunità che si apre al futuro con grandi prospettive. Nell'anno di creazione della provincia di Lodi nel 1992, San Colombano, tramite un referendum, ha deciso di rimanere nella provincia di Milano, nonostante la non contiguità rispetto agli altri comuni del distretto meneghino. San Colombano rimane così un'exclave della provincia di Milano.

DATI RIEPILOGATIVI

In aggiornamento

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