Ozzano
dell'Emilia è un comune della provincia di
Bologna. Il territorio ozzanese attualmente si sviluppa
su una superficie di 64,94 chilometri quadrati, assumendo
la forma caratteristica di un rettangolo lungo e stretto,
la cui altezza è veramente ridotta: solo Km.
4,40. Nel 1880 invece, la superficie dell'intero comune
di Ozzano era pari a 62,44 chilometri quadrati, dei
quali 52,44 coltivati, 3,50 destinati a bosco e 6,50
incolti. Il territorio del comune è interessato
dal Parco dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa.
Ozzano dell'Emilia presenta un clima continentale.
Gli inverni sono freddi e non mancano le precipitazioni
nevose, le estati calde e a volte afose a causa dell'umidità
dell'aria. Le mezze stagioni sono miti. Il canale
di arie dei colli appenninici che coprono il territorio
a sud del comune convoglia una particolare mitezza
sul paese.
ETIMOLOGIA
Chiamato in passato Ozzano di Robbiano, deriva dal
nome latino di persona Ulcius con l'aggiunta del suffisso
-anus che indica possesso. La specifica identifica
la zona.
ORIGINI
E CENNI STORICI
Le sue origini risalgono all'antico impero romano,
quando la città situata in quella che oggi
è la frazione "Maggio" era chiamata
Claterna. Le operazioni di riassetto amministrativo
del 1805 portate avanti dalle classi dirigenti del
napoleonico Regno d'Italia inserirono il Comune di
Ozzano nel Cantone di Castel San Pietro, all'interno
del Distretto di Imola del Dipartimento del Reno.
Il territorio del Comune allora istituito risultava
diviso tra Ozzano di Sopra, al quale era aggregata
Varignana di Sopra e Ozzano di Sotto, al quale era
aggregata Varignana di Sotto. Nel 1810, Ozzano di
Sopra era inserito nel "Cantone e Distretto di
Bologna" ed aggregava intorno a sé le
località di Ciagnano, S. Cristoforo, Massa
delle Rapi, Ozzano di Sotto e Settefonti con Monte
Armato. Con
la restaurazione del dominio pontificio, Ozzano di
Sopra divenne, all'interno del Governo e della Legazione
di Bologna, una comunità (comprendente Ciagnano,
Monte Armato e Settefonti) soggetta alla Podesteria
di San Lazzaro. A sua volta comprendeva come appodiato
Ozzano di Sotto (il cui territorio includeva le località
di Massa delle Rapi e San Cristoforo). Con il R.D.
16 ottobre 1862, n. 923, il Comune ha mutato la propria
denominazione da "Ozzano" a "Ozzano
dell'Emilia".
EDIFICI RELIGIOSI
Chiesa di Sant'Ambrogio
Realizzazione moderna (1995) costruita sul Viale 2
giugno, la chiesa è stata dedicata al santo
milanese il 12 ottobre 1997 ad opera del Card. Giacomo
Biffi. Tra
i particolari di rilievo, la volta realizzata in legno
lamellare (abete rosso dell'Europa centro-settentrionale).
Chiesa
di Sant'Andrea
Il documento più antico tra quelli ad oggi
sopravvissuti, a menzionare questa chiesa, è
un atto di donazione dell'anno 1077. A quel tempo
il luogo, oggi genericamente indicato come S. Andrea
di Ozzano, era detto "massa Basiliano" (termine
di chiara provenienza romana). La parrocchia in quegli
anni era assoggettata alla pieve di S. Giovanni in
Toracciano, poi detta di Pastino. Fino
al 1149 la chiesa di S. Andrea appartenne ai monaci
camaldolesi dell'Abbazia di S. Michele Arcangelo di
Castel de' Britti; poi, per volontà del Vescovo
di Bologna, Gerardo, la chiesa passò in possesso
delle monache del medesimo ordine, del Monastero di
S.Cristina di Stifonte. Nel
1158, causa slavine del terreno che avevano minato
l'integrità del Convento di Stifonte, le suore
si trasferirono nel caseggiato annesso alla chiesa
di S. Andrea e da qui, nel 1245, in quello di S. Cristina
della Fondazza di Bologna, loro casa madre. La chiesa
però, retta da un cappellano, continuò
ugualmente ad officiare e ad avere "cura di anime",
come parrocchia. Con
la beatificazione della consorella Lucia, vissuta
nella seconda metà del XII secolo ed alla quale
si attribuisce il miracolo del cavaliere crociato
strappato dalle sofferenze della prigionia in Terra
Santa, le monache camaldolesi, che già dal
1508 si erano viste autorizzare il culto pubblico
per la Beata Lucia, nel 1573 ottennero altresì
il consenso di traslare le sacre ossa dalla decadente
chiesina di S. Lucia di Settefonti a quelle di S.
Andrea e S. Cristina della Fondazza, dove ancora oggi
sono custodite in urne collocate sopra ad altari costruiti
in suo onore.
Chiesa
di San Cristoforo e San Carlo
Costruita in gran parte col contributo del conte Carlo
Grati ed originariamente dedicata al solo San Carlo,
fu benedetta, pur non ancora consacrata, il 4 novembre
1642 dall'Arciprete della Pieve di San Pietro di Ozzano,
don Giulio Boschi. Successivamente venne ad essa trasferito
il titolo della chiesa di San Cristoforo, ormai cadente.
Detto trasferimento si completa nel 1666 circa, con
l'aggiunta della cappella centrale. L'attuale
facciata della chiesa è dovuta a modifiche
apportate nel 1924 dall'architetto G. Rivani; la precedente
versione era del tipo detto toscano a due ordini di
colonne, con un timpano semicircolare. La costruzione
così come è oggi vede quasi scomparire
le colonne ed il timpano è triangolare, mentre
il campanile ha mantenuto la forma a cupola. L'interno
della chiesa è di ordine ionico.
Chiesa
di Santa Maria della Quaderna
Della sua esistenza se ne ha menzione solo intorno
al 1365 circa. Nello schizzo eseguito da un anonimo
al seguito del Cardinale Paleotti durante le visite
pastorali eseguite nel 1578, la chiesa appare non
solo con forme molto diverse da quelle odierne, ma
al tempo stesso con caratteristiche simili a quelle
di un tempietto romano a cui è annesso un altro
fabbricato trasversale, dotato di tetto a lunga falda
e campanile a vela. Il campanile attuale fu costruito
sul finire del '600. Le ultime modifiche che hanno
trasformato struttura ed architettura dell'edificio
in quelle che possiamo vedere ancora oggi risalgono
ai primi anni del 1800. All'interno
della chiesa si trovano l'altare maggiore, sopra al
quale si può ammirare una splendida "Natività"
della Madonna del pittore Orazio Samacchini, nonché
quattro cappelle i cui altari sono invece intitolati
alla "B.V. del Carmine", alla "B.V.
di S. Luca", alla "B.V. del Rosario"
ed alla "Visitazione della Madonna".
MUSEI
Museo di Anatomia Patologica e Teratologia Veterinaria
Il
Museo ospita più di 4.300 preparati. Molto
interessanti sono i disegni a colori e soprattutto
le plastiche (modelli) in gesso, creta e cera, riproducenti
reperti patologici in modo fedele sia nelle dimensioni
che nei colori. Tra questi spiccano i modelli in cera
realizzati nella seconda metà del XIX secolo
dal ceroplasta Cesare Bettini. Interessante per numero
e rarità è la collezione di scheletri
di animali con mostruosità: la raccolta di
patologie articolari è visitata ancora oggi
con interesse da cultori dell'artrologia umana e comparata.
La collezione del Museo ha una valenza storico-artistica
(le plastiche a colori sono uniche nel loro genere
in patologia veterinaria e molte testimoniano entità
morbose scomparse, come la pleuropolmonite contagiosa
bovina) ma anche una valenza didattica, in quanto
numerose patologie attuali sono utili per dimostrazioni
agli studenti. Il Museo fa parte del centro di servizio
autonomo dell'Alma Mater Studiorum - Università
di Bologna denominato Sistema Museale d'Ateneo.
Museo
Archeologico Romano
Ospitato
nello stesso edificio ove ha sede la biblioteca comunale,
il museo contiene reperti rinvenuti nel corso dei
recenti scavi della città romana-altomedievale
di Claterna, corredati da interessanti cartelloni
e proiezioni. Il museo è attualmente di piccole
dimensioni, ma rappresenta una prima fase del lavoro
svolto finora, giacché gli scavi non sono ancora
del tutto completati ed altri reperti potrebbero venire
alla luce.
BIBLIOTECA 8 marzo 1908
La Biblioteca ozzanese nasce all'inizio degli anni
settanta su sollecitazione di un gruppo di cittadini
ed in una fase di profonda crescita sociale ed economica,
determinata dall'insediarsi di numerose piccole e
medie imprese ben presenti e radicate ancora oggi
sul territorio ozzanese. Si
formò così un comitato promotore che
nel 1978 ottiene degli spazi dall'amministrazione
comunale, creando il primo nucleo della biblioteca
nell'ambito del Consorzio Provinciale di Pubblica
Lettura. Successivamente, nei primi anni novanta,
avviene la vera svolta quando il Comune di Ozzano,
prima Amministrazione della provincia, decide di trasformare
questo servizio in istituzione, cioè in un
ente dotato di una fortissima autonomia relativamente
alle attività bibliotecarie e culturali ma,
soprattutto, proiettato in modo dinamico e paritetico
nel rapporto con altri enti pubblici ed economici:
università, fondazioni, aziende. Nel
1998 tale trasformazione gestionale e amministrativa
trova la sua realizzazione concreta nell'edificazione
nella attuale nuova sede di Piazza Allende: nella
piazza centrale del paese, con oltre 2.000 m2 di superficie,
con all'interno: la grande sala conferenze (Sala Città
di Claterna) punto di riferimento dell'intera collettività,
il Museo Archeologico di Claterna, l'Archivio Storico,
spazi laboratoriali e corsuali.
BEATA LUCIA DA SETTEFONTI
Col
nome di Beata Lucia da Settefonti (Abbadessa Lucia)
è conosciuto un personaggio storico che ha
ispirato il nome di una zona del territorio ozzanese,
compresa all'interno del Parco dei Gessi Bolognesi
e Calanchi dell'Abbadessa. Attorno
al 1100, Bologna è animata dalle lotte tra
Guelfi e Ghibellini. In questo clima politico, nell'antica
famiglia Chiari, viene alla luce una bambina la quale,
una volta cresciuta e divenuta una splendida ragazza,
matura il desiderio di dedicare la propria vita alla
preghiera, scegliendo di vivere nel monastero Camaldolese
di Stifonti (Settefonti), fondato nel 1097. Tale monastero,
dedicato a Santa Cristina, sorgeva vicino all'attuale
Pieve di Pastino, a ridosso di un lungo crinale tra
i calanchi. La
giovane prese i voti nella chiesa bolognese di Santo
Stefano, scegliendo il nome di Lucia. In seguito divenne
badessa del convento, alla morte della fondatrice
Matilde; Lucia era però una donna molto bella
e la sua fama raggiunse il circondario, comprese anche
le tante guarnigioni che presidiavano il territorio
di Uggiano (antico nome di Ozzano dell'Emilia). Tra
i militi vi era un soldato di ventura, il nobile bolognese
conte e cavalier Diatagora Fava, detto Rolando; egli
si era fatto trasferire proprio nella guarnigione
di San Pietro di Ozzano per poter rivedere Lucia,
che aveva incontrato in una chiesa di Bologna, quando
giovinetta non aveva ancora preso i voti. Secondo
la versione (tramandata oralmente) arrivata ai giorni
nostri, il cavaliere soleva percorrere ogni mattina
a cavallo il sentiero sui calanchi, per recarsi alla
chiesa del convento; mai una parola fu detta tra loro.
Lucia si era accorta di questa costante presenza e
presto si trovò a combattere il turbamento
con assidue preghiere, veglie e penitenze che minarono
presto la sua salute. Cadde ammalata, ma lui non cessò
le sue visite mattutine. Una
volta guarita, cercò invano di resistere e
non scendere più in chiesa, ma un giorno decise
di parlargli, con la complicità di una consorella.
Si parlarono, lui aprì il suo cuore ed anche
Lucia lo fece: gli disse di amarlo, ma di essere risoluta
nella sua dedizione alla vita monastica, invitandolo
a non tornare più. Si
lasciarono, con la promessa del cavaliere di partire
crociato per la Terra Santa. Così fece, mentre
Lucia, minata dalla malattia, si spense santamente.
Il cavaliere fu ferito, fatto prigioniero e rinchiuso
in una cella dove una notte (racconta sempre la leggenda)
in preda alla febbre, vide Lucia che gli tendeva la
mano e, come in sogno, si trovò trasportato
nella foresta di Stifonti. Risvegliatosi,
s'incamminò verso il convento, si inginocchiò
davanti alla tomba dell'amata e pianse. In quel momento
le sette fonti di acqua cristallina, che si erano
seccate alla morte di Lucia, ripresero a zampillare
copiosamente. Questo
fatto fu raccontato per la prima volta dallo stesso
cavaliere e subito Lucia fu venerata come santa dalla
gente; la Chiesa però non lo ritenne verosimile
e ignorò la cosa. Intanto, dopo la morte di
Lucia (si presume nel 1157), il convento, continuamente
preso di mira dai briganti data la sua posizione isolata,
fu trasferito a S. Andrea di Ozzano, sulle pendici
del monte Arligo, dove già sorgeva un altro
monastero camaldolese; poi, a metà del Duecento,
dentro le mura di Bologna nel convento di S. Cristina
della Fondazza, tuttora esistente. Solo
nel 1508 la Chiesa riconobbe ufficialmente il fatto
accaduto tre secoli prima e proclamò Lucia
beata. Le reliquie della Santa rimasero qui fino al
7 novembre 1573 quando il Cardinale Paleotti le traslò
di nuovo nella chiesa di S.Andrea di Ozzano. Pio VI
nel 1779 ne confermò il culto e ne fissò
la memoria al 7 novembre. I Camaldolesi la venerano
come fondatrice del ramo femminile dell'ordine. Oggi
il monastero non esiste più, essendo stato
demolito nel 1769; ad indicare l'originaria posizione
sulla collina vi è solo un pilastrino, dono
della famiglia Fava. Anche le sette fonti si sono
prosciugate col tempo; l'ultima che era rimasta è
stata interrata anni fa dal proprietario, stanco del
via vai della gente che si andava a bagnare sperando
in un miracolo. Nella chiesa di S. Andrea, dove il
corpo di Lucia fu trasportato nel 1573, sono conservati
un paio di ceppi (gli stessi, si dice, della prigionia
di Rolando). Da
quel tempo lontano, lo stretto calanco che il giovane
cavaliere era solito percorrere, prese il nome di
Passo della Badessa.