Lesignano
de' Bagni è un comune della provincia di Parma.
ETIMOLOGIA
Deriva dal nome latino di persona Licinius con l'aggiunta
del suffisso -anus che indica appartenenza. La specifica
de bagni si riferisce alla presenza di due pozzi che
raccolgono acque termali saline.
EDIFICI
RELIGIOSI
Pieve di San Michele
Chiesa di San Martino (1732, a Stadirano)
Chiesa della Trasfigurazione (a Mulazzano)
Chiesa della Purificazione (Santa Maria del Piano)
BADIA
CAVANA
Si tratta di una deliziosa chiesetta romanica, quanto
resta di un monastero vallombrosano fondato almeno
nel 1115 e sicuramente rifatto nel 1117 dopo il terremoto
che lo danneggiò seriamente: posizionata su
una collina isolata a est del torrente Parma, l'edificio,
noto come Badia Cavana dalla località in cui
si trova (S.Michele Cavana), è in realtà
dedicato a S.Basilide, e la fondazione si attribuisce
da sempre (pur in assenza di documenti probanti) a
S.Bernardo degli Uberti, vescovo di Parma dal 1109
al 1133 e il maggiore degli esponenti di Vallombrosa
presenti in questo territorio.
Nella prima metà del XV secolo l'abbazia fu
commenda dei feudatari di turno del luogo (dai Gonzaga
ai Riario, Sanvitale, Meli, Barberini e infine Farnese):
nel 1564 assunse anche la cura delle anime in luogo
della dismessa pieve dei Ss.Pietro e Paolo, poco distante,
e la manterrà fino alla soppressione del convento
per i noti editti napoleonici nel 1798, quando i locali
verranno venduti e destinati a rustici o residenze
padronali. Il complesso monastico, in pietra, è
ancora in gran parte riconoscibile, con il chiostro,
qualche bifora, la sala del capitolo, la foresteria.La
chiesa è a navata unica, con transetto e un
nartece a due campate più largo della navata
non in asse con il resto dell'edificio: è probabile
che il nartece fosse successivo al terremoto del 1117
mentre il corpo dell'edificio sia stato solo restaurato,
ma ancora originale (pre-1115). Rifatta in parte nel
1718, restaurata nel 1938 e 1961, la chiesa è
in pietra con copertura a capriate, con la fronte
intonacata (l'unica parte intonacata, per fortuna,
di tutto il complesso) e un sagrato a giardinetto,
alzato su un piedistallo di numerosi gradini. Il portale
mostra un archivolto decorato a intreccio di vimini
entro una ghiera a palmette e fiori, con lunetta che
ospita una Croce gemmata. Sulla parete interna del
nartece i due capitelli a fianco del portale recano
figure dei simboli degli Evangelisti entro fasce di
racemi e palmette. L'interno, molto spoglio e severo,
mostra l'antica arenaria e silice azzurrina delle
murature e un abside cilindrica, con catino, e transetto
che, a differenza dell'aula, è coperto a botte.
I
BARBOJ
Salendo dai tornanti che da Lesignano portano alla
frazione di Rivalta ci si immerge progressivamente
in un paesaggio dove l'uomo ha fatto ancora pochi
interventi. L'aspetto più interessante della
zona è il caratteristico fenomeno delle SALSE
o BARBOJ.
L'area delle manifestazioni eruttive si estende per
circa 1 ettaro con tre centri principali di eruzione,
il maggiore dei quali è situato proprio a lato
della strada comunale. I barboj sono piccole fuoruscite
di un miscuglio fangoso composto da acque salate,
idrocarburi ed altri gas (metano, petrolio, azoto
e anidride carbonica) provenienti da giacimenti sotterranei;
i materiali risalgono in superficie spinti da una
notevole pressione. Durante la salita queste sostanze
corrodono la roccia arricchendo il miscuglio di fanghiglia
grigia che forma poi delle caratteristiche pozze di
fango e numerosi coni simili a dei piccolissimi vulcani.
Il liquido che fuoriesce dal terreno è in genere
freddo, più raramente tiepido, come accade
in quelli di Rivalta. Qualche medico del XVII secolo
indicava che il miscuglio era adatto per la cura di
ferite, ulcerazioni e perfino della lebbra. Oggi però
i medici non pensano che il fango possa guarire delle
malattie, ma questo composto può esser usato
come cura di bellezza, perché con la sua argilla
grigia arricchita dai minerali, rende la pelle più
morbida. Una volta poi si pensava che, oltre ad avere
importanza per la cura di malattie, i barboj avessero,
una funzione di segnalazione del tempo. Oggi è
provato che le salse intensificano la loro attività
in occasione del brutto tempo, o meglio, della bassa
pressione atmosferica, ma certo non servono a segnalare
i cambiamenti del tempo, se non in piccola parte.
In questa area di affioramento di poca estensione,
ma di notevole interesse scientifico, è prevista
l'istituzione di una riserva naturale di tipo geologico
in modo da sottrarla all'uso agricolo, indirizzandola
invece verso un'evoluzione naturalistica che vedrà
sicuramente accrescere i piccoli coni eruttivi; ciò
consentirà di valorizzare in pochi anni le
emergenze presenti e favorirà l'aumento dell'interesse
turistico per questa zona.
MONTE
LA PILA
Il sito archeologico di Monte La Pila si trova su
unaltura rocciosa presso il fondovalle della
Val Termina di Torre in Bassa Val dEnza, altura
tuttora denominata Al Castél. Le
indagini archeologiche hanno evidenziato tre fasi
di insediamento: la prima attribuibile allEtà
del Bronzo Medio, Recente e Finale (XVIIX secc.
a.C.), la seconda allEtà del Ferro di
facies etruscopadana e poi di facies ligure (VIII
secc. a.C.), e un'ultima di età medievale,
testimoniata dallimponente fortilizio tuttora
ben individuabile (in superficie ed elevato) alla
sommità (XXII secolo). La prima individuazione
del sito avvenne maggio 1993 nel corso di una ricerca
di archeologia di superficie volta a indagare i territori
appenninici delle Valli Baganza, Parma, Enza, situati
nelle Provincie di Parma e Reggio Emilia. Da allora,
e fino al giugno 2006, larea è stata
oggetto di sistematiche ricerche di superficie che
hanno recuperato migliaia di reperti archeologici,
prontamente consegnati al Museo Archeologico Nazionale
di Parma. Tra quelli rinvenuti nel giugno 2006, figuravano
in particolare tre oggetti che, per tipologia, apparivano
incompatibili con la datazione della copertura del
terreno, verosimilmente attribuibile a sbancamenti
di epoca medioevale, ma in realtà contenente
i resti -sbancati nel Medioevo ma riposizionatisi
lungo i versanti- di un importante villaggio dellEtà
del Bronzo, di facies terramaricola. I tre reperti,
una rondella di cranio umano, un frammento di femore
e una grande fibula intatta di tipo certosa, appartengono
infatti ai decenni centrali V secolo a.C. Sono stati
trovati (vicini tra loro) presso un curioso rigonfiamento
del terreno cosparso di pietre squadrate e clasti
informi, su un pianoretto reso ormai quasi impercettibile
dalla copertura del terreno costituita dagli spostamenti
di terra preliminari alla costruzione e allimpianto
delle strutture castellane, databile, in base agli
scarsi materiali, al X-XII secolo. Si è quindi
ipotizzato che un aratro avesse intaccato strutture
funerarie di inumati etrusco padani in giacitura primaria
(cioè nel luogo originario di sepoltura) ed
è stato effettuato un intervento di emergenza
volto al recupero di un eventuale sepolcro dellEtà
del Ferro, scavo che si è svolto dal 24 luglio
al 5 settembre 2006. La campagna di scavo ha intercettato
unarea sacra a destinazione funeraria databile
allEtà del Ferro (V secolo a.C.). La
sua interpretazione ha dovuto tenere conto di un differimento
diacronico degli eventi. In un primo tempo, una comunità
etrusca padana imposta su un pianoro di
mezza costa unarea destinata a necropoli, sostenuta
da un grande muro di terrazzamento e con tombe indicate
da segnacoli tipo stele aniconica. Il suolo del pianoro
(oggi sepolto) viene tagliato dalla fondazione di
uno spesso muro di contenimento del terrazzo che dà
al pianoro stesso, una volta terrazzato, quella forma
delimitata e preordinata necessaria alla realizzazione
di una necropoli al suo interno. Di tale necropoli
rimangono due sepolture di inumati. Contemporaneamente,
o poco dopo, su questarea si inseriscono elementi
archeologici di facies ligure, rappresentati dal grande
residuo dei roghi funebri (ustrinum), anchesso
individuato: ciò indica che i Liguri mantengono
la destinazione funeraria del sito, pur epurandolo
dai caratteri etruschi sia abbattendo i segnacoli
che depredando le tombe da essi indicate. Il successivo
crollo del grande muro della necropoli sul suolo calpestato
indica una fase di defunzionalizzazione della necropoli,
ma in un contesto ormai tardo di riutilizzo dello
stesso crollo allo scopo di ricavare entro esso una
sepoltura ad incinerazione con cista litica di tipo
ormai del tutto ligure. La fine della vita nel sito
è evidenziata da uno strato di terreno (livello
di colluvio pedogeologico) scivolato per effetto delle
piogge e agenti naturali sullintero contesto
stratigrafico della necropoli etrusca e ligure. Unicamente
i butti a contenuto di Età del Bronzo obliterano
in maniera ormai del tutto irriconoscibile forma e
assetto originario del pianoro e della sua necropoli.