Crevalcore
è un comune della città metropolitana
di Bologna, in Emilia-Romagna, a cui è stato
conferito il titolo di città nel 2000. Dal
gennaio 2012 fa parte dell'Unione dei comuni Terre
d'acqua. Crevalcore è a 20 metri di altitudine
sopra il livello del mare e si trova nella Pianura
Padana. Confina con la provincia di Modena e la provincia
di Ferrara. La città ha Classificazione climatica
zona E, 2238 GR/G. Crevalcore ha un'economia in prevalenza
legata all'agricoltura, ma sono presenti anche alcuni
stabilimenti industriali nella zona Beni Comunali.
Famose a livello regionale sono la patata di Bologna,
prodotta anche nel comune, e le perine di Crevalcore.
ETIMOLOGIA
Del toponimo Crevalcore sono state fornite diverse
e contrastanti spiegazioni etimologiche; la più
antica di cui si abbia notizia risale al XVI secolo
ed è di Carlo Sigonio: «Castrum alterum
Crepacorium ad disrumpendum cor hostium munivere».
Con l'espressione "castrum alterum" il Sigonio
si riferisce alla costruzione di un secondo castello
(l'attuale Crevalcore) compiuta dal Comune di Bologna
fra il 1226 e il 1231 dopo la completa distruzione
del precedente ad opera delle truppe dell'imperatore
Federico II nel 1219. Sul versante letterario il Tassoni
inventa una spiegazione ancor più allettante
e fantasiosa: «Già vi fu morto Pansa
e dal dolore nominata dai suoi fu Grevalcore»
riferendosi a un episodio delle guerre civili del
43 a.C., la cosiddetta guerra di Modena.
DA VEDERE
Caratteristica di Crevalcore è la struttura
urbana a reticolo dovuta al piano urbanistico coerente
degli agrimensori bolognesi del XIII secolo. L'assenza
di preesistenze consentì una pianta quadrata
senza irregolarità, impostata su un decumano
della centuriazione romana. Tale impianto si è
conservato essenzialmente intatto poiché le
espansioni (tutte novecentesche) si sono adeguate
all'antico reticolo. Ciò è accaduto
anche per l'intervento edilizio di maggior rilievo
compiuto all'inizio del Novecento nel centro storico:
la ricostruzione della chiesa di S. Silvestro, il
cui asse venne spostato di 90 gradi. La vecchia chiesa
silvestrina, risalente al XIV secolo, era orientata
in direzione est-ovest, quindi parallela alla via
principale, e non concedeva adeguato respiro alla
grande mole del palazzo comunale. Non esisteva una
vera e propria piazza e la funzione "spaziosa"
era assolta unicamente dal corso principale. Una mancanza
che si fece ancor più sentire quando venne
eretto il monumento a Marcello Malpighi (scultura
in bronzo di Enrico Barbieri, 1897) consigliando l'amministrazione
dell'epoca di cogliere l'occasione della ricostruzione
della chiesa per fornire allo spazio urbano una piazza
di adeguata ampiezza e decoro. Il tempio di S. Silvestro
venne edificato in forme neogotiche su progetto dell'Ing.
Luigi Gulli con la facciata fronteggiante il palazzo
comunale, ma in posizione più arretrata. All'interno
esso conserva in parte dipinti e arredi del precedente
edificio di culto: un frammento di Incoronazione della
Vergine, affresco trecentesco trasportato su tela,
attribuito a Simone dei Crocifissi, un Crocifisso
ligneo del XV-XVI secolo e il San Silvestro di Giovanni
Maria Viani, mentre il San Francesco stimmatizzato
di Giacomo Cavedoni (1630-35) proviene dalla soppressa
chiesa di S. Maria dei Poveri e l'Adorazione dei Magi,
splendida opera di Orazio Samacchini (1565 circa),
dalla chiesa di S. Croce. Della vecchia parrocchiale
resta il campanile di forme gotiche (recentemente
restaurato), il quale ha sul fianco meridionale una
lapide che reca la seguente iscrizione: «Campanile
istud quod fabricari fecit Ugucio Ugonis de Zamcharis
inceptum fuit per comune Crevalcorii anno Domini 1421
et finitum 1424». Da una pergamena conservata
presso la Biblioteca comunale sembra però che
una torre campanaria esistesse già nel 1386.
Di fronte alla chiesa sorge il Palazzo comunale, costruito
negli anni 1867-68 su progetto di Luigi Ceschi; alcuni
ambienti furono decorati nel 1869 da Gaetano Lodi,
ma oggi poche, e ritoccate in maniera approssimativa,
sono le decorazioni superstiti. La precedente "Casa
del comune", assai antica e di più modeste
dimensioni, era affiancata dalla chiesa dei Battuti,
soppressa in epoca napoleonica, nella quale era l'Adorazione
dei Magi di Lodovico Carracci, ora conservata a Brera.
Il corso (già via Malpighi, ora via Matteotti)
sul quale si affacciano palazzetti in massima parte
settecenteschi, di linee semplici e tutti con portico,
è lungo 350 m e, chiuso alle due estremità
dalle Porte, crea uno spazio di notevole effetto scenografico.
Porta Bologna, ad est, è ricavata nel corpo
dell'Ospedale Barberini, costruito nel 1820-24 grazie
a un lascito del capitano Antonio Barberini sull'area
della soppressa chiesa di S. Maria dei Poveri, sede
di una più antica istituzione ospedaliera.
Durante la costruzione dell'ospedale fu atterrata
l'antica rocca che sorgeva sul lato settentrionale
della porta; alcuni muri poderosi sono in parte visibili
all'interno del fabbricato. Porta Modena, a occidente,
è sormontata da un campanile a vela. In gran
parte frutto di rimaneggiamenti ottocenteschi, lascia
trapelare, grazie a due archi gotici, un'origine tardo
medievale. Sotto il cassero della porta, a una parte
del quale è fissata una lapide terragna del
1392, si apre l'ingresso principale della Chiesa dell'Immacolata
Concezione, chiamata anche "cisa da sìra".
Iniziata nel 1696, venne completata nel 1724-25. Sia
la fastosa decorazione plastica dell'altar maggiore,
con le statue di Noè e Mosè, sia quella
più semplice dei due altari laterali, è
opera dello scultore bolognese Giuseppe Maria Mazza
e dell'ornatista Giuseppe Borelli. La pala dell'altare
di destra, raffigurante Sant'Anna con le sante Lucia
e Liberata, è opera di Giuseppe Marchesi, detto
il Sansone (firmata e datata: 1736); quella dell'altare
di sinistra, con il Martirio di S. Bartolomeo, spetta
ad Antonio Rossi. Ai quattro pilastri della volta
vi sono quattro tele raffiguranti i Dottori della
Chiesa: S. Ambrogio di Ercole Graziani, S. Gregorio
di Giuseppe Pedretti, S. Girolamo di Cristoforo Terzi,
S. Agostino di Gio. Batt. Grati. Da un andito laterale
si accede all'attiguo Oratorio della Pietà,
che risale al XVI secolo e prende nome da una tela
di scuola dossesca raffigurante la Pietà con
i Ss. Giovanni, Nicola e Silvestro (1530 circa). L'oratorio
è ornato da un fregio ad affresco del primo
Seicento con Storie della Vergine e conserva l'originale
coro ligneo di sobria fattura. Otto tele di anonimo
secentesco con la Vita di S. Lorenzo e i Quattro evangelisti
completano l'arredamento dell'ambiente creando il
suggestivo effetto di un interno del XVII secolo perfettamente
integro. La casa adiacente l'oratorio fu abitata dai
monaci benedettini di Nonantola; nel 1830 vi nacque
Gaetano Lodi, ora è sede del centro di accoglienza
parrocchiale. In via Roma si trova la chiesa del Crocifisso
(o Santa Croce), costruita negli anni 1768-72. La
decorazione plastica e di Filippo Scandellari; sull'altar
maggiore si trova un Crocifisso in stucco opera di
Sebastiano Sarti, mentre sull'altare di destra vi
è un'Addolorata di Giuseppe Varotti. A metà
strada tra Porta Bologna e la chiesa di S. Silvestro
sorge il teatro Comunale, edificato su progetto dell'ing.
Antonio Giordani e inaugurato nel 1881. L'interno
è stato decorato dal pittore crevalcorese Gaetano
Lodi (1830-1886), ornatista di corte dei Savoia, con
motivi floreali; è soprattutto notevole il
plafond della sala. Nell'atrio sono visibili un busto
del Lodi e gli stemmi di alcune antiche famiglie crevalcoresi.
Il sipario è opera del pittore e scenografo
bolognese Raffaele Faccioli: rappresenta Marcello
Malpighi alla corte del Granduca Leopoldo II di Toscana;
intorno, i ritratti a medaglione monocromi di crevalcoresi
illustri. Nella campagna crevalcorese ci sono cinque
antiche ville di rilevante interesse, benché
scarsamente note. La prima è la villa Caprara
in località Ronchi, un complesso imponente
acquisito di recente dal Comune di Crevalcore di cui
fanno parte un palazzo padronale (XVI secolo.?) con
ambienti affrescati, due massicci torrioni (XVIII
secolo) e una elegante chiesa settecentesca a pianta
ellittica. In una parte del complesso (ora in via
di restauro) ha sede una comunità terapeutica
per la cura delle tossicodipendenze gestita dalla
comunità "Il Pettirosso". In asse
prospettico con la villa e distante poco meno di 2
km da essa, c'è l'oratorio privato, detto "la
Rotonda" per la sua forma circolare, che fu voluto
dalla contessa Maria Vittoria Caprara nel 1765 come
ex voto per lo scampato annegamento del marito, il
conte Niccolò; Interamente decorata all'interno
in modo da simulare un parato di damasco a fiori,
e l'espressione di un momento di delicato e instabile,
ma prezioso equilibrio tra il Rococò e il Neoclassico.
L'architetto fu Petronio Fancelli; le otto bellissime
tele autografe di Nicola Bertuzzi (rappresentanti
i momenti della vita della Vergine – cui la
Rotonda e dedicata – e i santi Francesco, Martino,
Luigi Gonzaga, Francesco di Paola) che ne costituiscono
l'arredo pittorico sono conservate nella parrocchiale
di S. Silvestro e vengono esposte nell'oratorio durante
la festa della Natività di Maria (8 settembre).
Alla Rotonda si può arrivare direttamente prendendo
la via del Papa; prima di giungervi si incontreranno
a mano destra, oltre il cimitero (arch. Luigi Ceschi
e Giuseppe Ceri 1866; monumento sepolcrale a Gaetano
Lodi), la casa dove visse nel quarto decennio del
Seicento Marcello Malpighi e, poco oltre, la casa
natale di Francesco Ippolito Albertini, allievo del
Malpighi e pioniere nello studio dei disturbi cardiaci.
Arrivati a Caselle, prendendo a destra per via Provanone
si incontra la Palazzina Pepoli, elegante costruzione
del Seicento, immersa nel rigoglio verde di un boschetto,
e più avanti il castello di Palata. Costruito
dal conte Filippo Pepoli intorno al 1540, segna un
momento in cui l'architettura delle residenze nobiliari
di campagna abbandona le forme del fortilizio per
assumere quelle della villa: ne risulta un edificio
dall'aspetto massiccio che all'interno, nel cortile
porticato, presenta ritmi di severa eleganza che lo
apparentano in maniera stretta ai contemporanei palazzi
di città bolognesi e ferraresi. I Pepoli possedevano
nel crevalcorese vastissime estensioni di terra; tutte
le loro proprietà, compreso il castello, vennero
cedute ai principi Torlonia intorno alla metà
del secolo scorso. Smembratasi poi la proprietà
nell'ultimo dopoguerra, il castello perdette la ricchissima
suppellettile, finita sul mercato antiquariale. Anche
la chiesa parrocchiale di Palata, dedicata a S. Giovanni
Battista, fu fondata nel Cinquecento dai Pepoli; il
tempio fu tuttavia ricostruito nel 1883. Notevoli
i dipinti: la Nascita di S. Giovanni Battista è
di Sebastiano Ricci (proveniente dall'Oratorio dei
Fiorentini in Bologna), il S. Francesco d'Assisi,
di Francesco Gessi, lo Sposalizio mistico di S. Caterina
del Tiarini, il Crocifisso con la Madonna, S. Giovanni,
la Maddalena e altri santi spetta probabilmente a
Giovan Battista Ramenghi. Vi sono inoltre un S. Antonio
di Ercole Graziani, un Battesimo di Cristo di Bartolomeo
Passerotti e un'Adorazione dei Magi del XVII secolo.
Il feudo dei Pepoli comprendeva anche Galeazza, borgata
che prende nome da una poderosa torre fatta costruire
da Galeazzo Pepoli nella seconda metà del XIV
secolo. Attorno alla torre sorse nel Cinquecento una
villa che verso il 1870 fu rimaneggiata, dai successivi
proprietari, i Falzoni Gallerani, in stile neo-medievale
con una scenografica facciata a coronamento merlato.
Procedendo per via Riga si raggiunge infine Bevilacqua,
dove si trova il palazzo con due avancorpi a foggia
di torre agli angoli, costruito dal conte Onofrio
Bevilacqua nella seconda metà del Cinquecento.
ORIGINI E CENNI STORICI
Della diffusione di un'etimologia legata alla parola
cuore fa fede anche lo stemma del paese (tre cuori
rossi in campo bianco) e ancor più il fatto
che dopo la ricostruzione del 1231 il nome fu mutato
in quello beneaugurale di Allegralcore. Una spiegazione
etimologica più fondata collega invece il nome
all'espressione latina crepa(tum) corium cioè
pelle, scorza crepata, a designare una zona, al limite
delle valli, in cui il ritirarsi dell'acqua nei periodi
estivi produceva le tipiche screpolature dei terreni
paludosi. La prima menzione certa del toponimo Crevalcore
è in un documento del 1130 pubblicato dal Tiraboschi
dove si parla di casamentum unum juris Sancti Silvestri
in castro Cravacuore. Il castrum non sorgeva però
nel luogo attuale, ma a poca distanza dai ruderi del
più antico castello di Fultignano, già
in rovina nel 1017, che si può ritenere facesse
parte del sistema difensivo bizantino lungo il confine
del Panaro. In alcune mappe secentesche dell'Assunteria
ai confini e alle acque del Comune di Bologna (Bologna,
Archivio di Stato) sono ancora indicate, in località
Guisa, le vestigia di Crevalcore vecchio. Nonostante
residui margini di incertezza derivanti dalla mancanza
di recenti e approfonditi studi sull'argomento, l'origine
di Crevalcore potrebbe così essere ricostruita:
nei pressi dei ruderi di Fultignano il Comune di Bologna,
avviato alla conquista del contado, intorno al 1130
costruì il primo castello in territorio appartenente
all'Abbazia nonantolana che proprio in quegli anni,
essendo in conflitto con Modena, si era consegnata
ai bolognesi; tale castello fu diroccato nel 1219
nel corso delle guerre intraprese da Federico II per
riaffermare l'autorità imperiale. I bolognesi
lo ricostruirono (1231) 3 km a nord-ovest in posizione
più prossima al Panaro (che allora scorreva
lungo l'attuale via Argini) in forma quadrata con
un impianto urbanistico regolare. Al nuovo castrum
(chiamato "Crevalcore nuovo" in una carta
del 1231 del Registro nuovo del Comune di Bologna)
fu mutato il nome e si chiamò "Allegralcore"
mentre il castello diroccato venne chiamato Crevalcore
vecchio. "Allegralcore" non riuscì
però ad attecchire e a un secolo di distanza
si ritornò, anche nei documenti ufficiali,
all'antica denominazione. Il castello non ebbe vita
facile; per richiamarvi gente dalle zone limitrofe
allo scopo di disporre di un maggior numero di braccia
per la difesa furono concesse esenzioni fiscali che
ne fecero un "borgo franco", ma nel 1239
nuovamente fu investito dalle milizie di Federico
II, occupato e incendiato. Dopo un'ulteriore ricostruzione
il Senato bolognese considerò l'opportunità
di un più rapido collegamento con Bologna che
avrebbe permesso l'invio di rinforzi con maggiore
celerità; tra il 1245 e il 1250 fu tracciata
la nuova strada che, congiungendo in linea retta Borgo
Panigale con Persiceto e Crevalcore, prese il nome
di Persicetana. Alla fine del XIII secolo si fecero
ulteriori opere di fortificazione e venne rafforzata
la guarnigione di stanza nel castello a causa delle
lotte con gli Estensi, insediatisi a Modena nel 1289.
Il XIV secolo fu particolarmente ricco di scontri,
assalti, colpi di mano, sia nelle contingenze delle
lotte tra Geremei e Lambertazzi sia a causa dell'occupazione
viscontea. I Pepoli, cedendo il dominio di Bologna
ai Visconti, si erano riservati i castelli di Persiceto
e Crevalcore, ma Giovanni da Oleggio, che governava
a nome dell'Arcivescovo Giovanni Visconti, imprigionò
Jacopo Pepoli e si fece consegnare i due castelli.
Deciso a recuperare Bologna, di cui l'Oleggio si era
proclamato signore nel 1359 dopo la morte dell'Arcivescovo,
Bernabò Visconti, giunto con un esercito, prese
Crevalcore; Bologna era stata nel frattempo ceduta
al Papa e il Legato pontificio, cardinale Egidio Albornoz,
si era attestato a Persiceto. Per alcuni anni si ebbe
una situazione di tensione con scaramucce e scontri
finché, avendo la meglio le truppe pontificie,
il Visconti fu costretto a ritirarsi. A Crevalcore
si svolsero nel 1364 le trattative di pace, concluse
con la cessione del castello al Legato. La minaccia
viscontea si riaffacciò con maggior vigore
nel 1385, dopo l'ascesa al potere di Giangaleazzo:
Crevalcore fu teatro di importanti fatti d'arme nel
1390, tra l'esercito del duca e Alberico da Barbiano,
comandante delle truppe bolognesi. Nel 1389, in previsione
di un attacco visconteo, essendo il più esposto
dei castelli bolognesi, era stato nuovamente fortificato,
rinforzato il palancato di travi che lo cingeva e
rinsaldato il terrapieno. Furono anni convulsi: nel
1403 si arrivò alla pace seguita, a Crevalcore,
da otto anni di dominio estense. Dopo la cacciata
del legato pontificio (1411) si accesero estremamente
aspre le lotte tra le fazioni dei Bentivoglio e dei
Canetoli i quali, avendo a Crevalcore folte schiere
di partigiani, usarono il castello come base operativa
nel vano tentativo di impadronirsi del potere. Solo
al consolidarsi definitivo della signoria bentivolesca
ebbe inizio un lungo periodo di pace. Ciò rese
possibile una serie di risistemazioni idrauliche chi
sortirono l'effetto di ridurre l'estensione delle
valli e acquistare alla coltura nuovi terreni. Fra
le opere idrauliche di maggior rilievo va annoverato
lo scavo del Cavamento Foscaglia, gettantesi in Panaro
all'altezza di Finale, per il quale si rese necessaria
una trattativa con gli Estensi. Tutto il territorio,
nonostante fosse passato dal 1130 sotto il dominio
di Bologna, era rimasto di proprietà dell'Abbazia
nonantolana che lo gestiva concedendolo in enfiteusi
ai terrazzani. Nel Trecento però l'Abbazia
era in decadenza e la concessione in enfiteusi serviva
ormai a mascherare vere e proprie alienazioni. Si
trattava di terreni in larga parte incolti; nel 1312
gli abitanti di Crevalcore ottennero un'area a est
del castello che diede origine a una partecipanza,
di cui resta il ricordo nel toponimo Beni Comunali.
Anche i Pepoli ottennero dalla Badia una concessione
enfiteutica, punto di partenza per la formazione di
un patrimonio terriero di entità notevolissima
che comprendeva quasi per intero l'estensione delle
valli. Nel 1578 il conte Giovanni Pepoli, complice
il Consiglio della Comunità, usurpò
una quota dei beni della Partecipanza, che entrò
in crisi, come risulta da due volumi di cabrei conservati
nell'Archivio comunale, nel XVII secolo. I Pepoli
possedevano a Crevalcore oltre 3.000 ettari, per un
totale di circa 150 poderi coltivati da altrettante
famiglie mezzadrili. I poderi erano organizzati in
cinque imprese facenti capo ad altrettante ville,
attorno alle quali spesso si sviluppava un borgo con
artigiani, botteghe, chiesa, ecc. Le più antiche
sono: Galeazza, il cui nucleo primitivo era costituito
dalla poderosa torre trecentesca costruita da Galeazzo
Pepoli, e Palata, dove fu costruito un palazzo-castello
che suscitò, verso il 1540, l'entusiastica
ammirazione di fra Leandro Alberti che disse: «Et
più giù caminando, alla Palada, incontrasi
nel principiato edificio del magnifico Conte Philippo
de Pepoli, il qual finito traa li nobili e radi edifici
della Italia computare si potrà». Più
modeste erano invece le ville della Filippina, Guisa,
Ca' de Coppi. Ma anche altre nobili famiglie si insediarono
nel Crevalcorese, grazie a concessioni enfiteutiche,
nel XV secolo. Fra queste le più importante
erano i Bevilacqua, i Bolognini e i Caprara. Il territorio
assunse in tal modo una fisionomia ben definita: a
sud, nelle immediate vicinanze dei castello, entro
le maglie ancora visibili della centuriazione romana,
esisteva una zona di proprietà frazionata e
di poderi di piccole dimensioni; a nord, c'era una
zona in cui prevaleva la grande proprietà in
mano a famiglie nobiliari bolognesi che investivano
in beni immobili i patrimoni accumulati nel secolo
precedente in attività bancarie o mercantili.
La piccola proprietà era tuttavia sottoposta,
specialmente nel Cinquecento, a una progressiva erosione
a vantaggio delle proprietà nobiliari, conservatesi
sostanzialmente intatte fino al secolo scorso (i Caprara
vendettero le loro terre intorno al 1820; ai Pepoli
subentrarono i Torlonia verso il 1870). Un episodio
bellico di rilievo accadde nel 1643 durante guerra
per il Ducato di Castro: ne restano due incisioni
che mostrano l'assalto dell'esercito della lega farnesiana
e sono fra le immagini più antiche dell'iconografia
crevalcorese dopo il disegno del manoscritto Gozzadini.
Il castello viene raffigurato con dovizia di particolari,
suddivisi nei suoi 32 isolati, con quattro bastioni
agli angoli, le porte, i ponti levatoi, il largo fossato
colmo d'acqua del canal Torbido. Fu probabilmente
in questa circostanza che venne demolita la chiesa
di S. Martino in Cozzano, citata già nei documenti
dell'XI secolo. È forse l'ultima volta che
la struttura difensiva castrense venne messa alla
prova. Nel secolo seguente il fossato, senza più
manutenzione, si interrò e diventò luogo
di scarico per i rifiuti, tanto che nel 1855 il medico
Federico Rossi, attestandone l'insalubrità,
ne raccomandò il riempimento. Se nel Settecento
la vita crevalcorese appare consumarsi nella tranquillità
del quotidiano, scandita dal lento succedersi delle
processioni religiose (tale almeno è l'immagine
consegnataci da una cronaca di Stefano Maria Setti)[9]
e non toccata che marginalmente da un episodio militare
della guerra di successione austriaca (battaglia di
Camposanto, 8 febbraio 1743), gli avvenimenti del
1796 le conferiranno un'impronta decisamente più
dinamica. Con la creazione della Repubblica Cispadana
il paese fu incluso nel dipartimento dell'Alta Padusa
che ebbe per capoluogo Cento, ma i cambiamenti di
maggior rilievo sotto il profilo economico furono
dati dalla soppressione delle Compagnie religiose
(dei Battuti, dei Poveri, del Rosario, del Sacramento,
dell'Immacolata Concezione), quasi tutte titolari
di un patrimonio immobiliare di una certa entità.
Si formò un ceto di proprietari terrieri locali
dai connotati decisamente borghesi e si instaurò
un clima nuovo che non verrà meno neppure dopo
la Restaurazione. La creazione di una scuola pubblica
(1824) e l'erezione dell'Ospedale Barberini furono
tra gli eventi più importanti della prima metà
dell'Ottocento; fu tuttavia l'edilizia privata che
ricevette particolare impulso in tale periodo con
il rinnovo di molti palazzetti prospettanti sul corso
principale. Meno sporadiche si fecero, intorno alla
metà del secolo, le notizie riguardanti professionisti
particolarmente attenti ai problemi sociali o culturali;
il citato Federico Rossi fu autore di un "Abbozzo
di Topografia medica del comune di Crevalcore",
mentre il centese Gaetano Atti fondò una "Scuola
di Umanità e Rettorica". Questi gruppi
emergenti, sospetti di liberalismo alla polizia papalina,
offrirono il loro contributo alla causa dell'unità
nazionale e dopo i plebisciti del '59 si affacciarono
alla gestione della cosa pubblica con energie nuove.
Il paese, che riprese a chiamarsi Crevalcore, dopo
che un decreto papale del 1857 gli aveva inopinatamente
imposto il nome di Buonocore, fu per un breve periodo
(dicembre '59 gennaio '61) aggregato alla provincia
di Ferrara. Mentre fu sindaco Antonio Michelini (1863-72)
vennero costruiti il nuovo municipio e il cimitero,
poco più tardi il Teatro Comunale e l'asilo
infantile (1881, con un lascito dell'ing. Camillo
Stagni). Tra il 1870 e il 1874, sia per motivi igienici
sia per ragioni di decoro ambientale, vennero riempite
le antiche fosse e spianati i terrapieni difensivi.
Ciò permise di dar lavoro a un grande numero
di braccianti allentando momentaneamente le tensioni
sociali. Scarsità di lavoro e aumento della
popolazione provocarono nell'ultimo trentennio del
secolo l'emigrazione di un buon numero di famiglie
verso il continente americano, intanto nacquero forme
di solidarietà collettiva come la Società
Cooperativa di Consumo (1874) e la Società
di Mutuo Soccorso fra Artigiani ed Operai (1883).
Il partito Socialista ottenne subito una nutrita schiera
di adesioni, tali da portarlo, nel 1906, alla conquista
del Municipio. Il clima politico si surriscaldò:
nel 1909-10 una catena di scioperi decisi dalle organizzazioni
socialiste, in accordo con la Lega dei Barrocciai,
causati dal rifiuto della classe padronale di concedere
aumenti salariali, portò all'erezione di barricate
nelle vie cittadine e all'intervento di una compagnia
della Regia cavalleria, che per una settimana tenne
Crevalcore in stato d'assedio. Il progetto di bonifica
delle valli, elaborato nel 1911 con la creazione del
Consorzio di Bonifica Cavamento Palata, avrebbe dovuto
servire a creare nuove occasioni lavorative, ma non
decollò che nel 1918, in una situazione ben
presto resa esplosiva per gli scioperi e la reazione
del padronato che aveva preso a finanziare le prime
bande fasciste. L'amministrazione socialista era stata
particolarmente attiva nel settore dei servizi: al
1912 risale l'impianto della prima cabina elettrica;
al 1913-14 risale la costruzione dell'acquedotto;
nel '15-'16 vennero edificate le scuole elementari,
che servirono come ospedale militare dopo la ritirata
di Caporetto. Il 28 aprile 1921 una banda di squadristi
attaccò il Municipio per intimidire l'amministrazione
e nel maggio 1922 questa fu definitivamente costretta
a dimettersi. Nello stesso periodo i fascisti occuparono
la Casa del Popolo (costruita di fronte al Teatro
Comunale nel 1908 mediante azioni acquistate dai soci)
e la destinarono a sede del fascio. Con la liquidazione
del movimento cooperativo fu completato lo smantellamento
dei centri di aggregazione operaia e l'opposizione
al regime soffocata. Durante il ventennio venne pressoché
completata la bonifica delle valli e si intraprese
qualche tentativo di edilizia popolare, ma complessivamente
l'amministrazione podestarile non sembrò andare
oltre una gestione sostanzialmente conservativa. Il
dopoguerra fu caratterizzato dal ritorno all'amministrazione
di sinistra e dal riesplodere delle lotte bracciantili
che, almeno per tutti gli anni cinquanta, segnarono
il lento cammino di un'economia ancora sostanzialmente
agricola verso forme di organizzazione produttiva
più moderne. Il 7 gennaio 2005 il treno interregionale
2255 proveniente da Verona per Bologna, all'altezza
della stazione Bolognina, si è scontrato con
un treno merci. Diciassette persone sono rimaste uccise
e molte altre ferite nello scontro.