Procida
è un comune di circa diecimila abitanti della
provincia di Napoli. La superficie comunale ricopre
interamente l'isola di Procida e il vicino isolotto
di Vivara (0,4 km²), due isole del golfo di Napoli
appartenenti al gruppo delle isole flegree. L'isola
di Procida ha una superficie di 3,7 km². Il perimetro,
estremamente frastagliato, misura circa 16 km. Il
rilievo più elevato è rappresentato
dalla collina di Terra Murata (91 m), sovrastata da
un borgo fortificato di origine medioevale. L'isola
si trova ad una distanza minima dalla terraferma di
circa 3,4 km (Canale di Procida) ed è collegata
da un sottile ponte alla vicina isola di Vivara. Le
sue coste, in alcune zone basse e sabbiose, altrove
a picco sul mare, danno vita a diverse baie e promontori
che offrono riparo alla piccola navigazione e hanno
permesso la nascita di ben tre porticcioli sui versanti
settentrionale, orientale e meridionale dell'isola.
La gran parte del suo litorale è compreso nell'area
naturale marina protetta Regno di Nettuno. Tradizionalmente,
il centro abitato viene diviso in nove contrade, dette
grancìe: Terra Murata (il borgo più
antico), Corricella (un caratteristico borgo di pescatori),
Sent'cò con il porto commerciale di Marina
Grande, San Leonardo, Santissima Annunziata (anche
detta Madonna della Libera), Sant'Antuono, Sant'Antonio
e Chiaiolella (un porto turistico nella parte meridionale
dell'isola).
ETIMOLOGIA
Il nome dell'isola deriva dal nome di epoca romana
Prochyta. Secondo una prima ipotesi questo nome deriva
da Prima Cyme, ovvero "prossima a Cuma",
come doveva apparire l'isola ai coloni greci nella
migrazione dall'isola d'Ischia a Cuma. Un'altra ipotesi
fa derivare il nome dal greco "pròkéitai"
(p???e?ta?), cioè "giace", in considerazione
di come appare l'isola, vista dal mare. Secondo un'altra
ipotesi ancora, invece, tale nome deriverebbe dal
verbo greco "prochyo", in latino profundo:
l'isola sarebbe stata infatti profusa, messa fuori,
sollevata dal fondo del mare o dalle profondità
della Terra. Dionigi di Alicarnasso infine, nel suo
Archeologia Romana volle far derivare il nome da quello
di una nutrice di Enea, da lui qui sepolta quando
vi approdò. Secondo il mito greco qui avvenne
inoltre la lotta tra i giganti e gli dei, e come Tifeo
e Alcione finirono rispettivamente sotto il Vesuvio
e Ischia, così Mimante fu posto sotto l'isola
di Procida.
ORIGINI
Dal punto di vista geologico, l'isola è completamente
di origine vulcanica, nata dalle eruzioni di almeno
quattro diversi vulcani (databili tra 55.000 e 17.000
anni fa), oggi completamente spenti e in gran parte
sommersi. Per modalità di formazione e morfologia,
l'isola di Procida si avvicina dunque moltissimo alla
zona dei Campi Flegrei, di cui fa geologicamente parte.
L'isola è infatti formata principalmente da
tufo giallo e per il resto da tufo grigio, con tracce
di altri materiali vulcanici quali, ad esempio basalti.
L'isola era anticamente (sicuramente ancora in epoca
romana) collegata da una stretta falesia alla vicina
isola di Vivara. Ipotesi più controverse giungono
a immaginare un collegamento in epoca preistorica
con il Monte di Procida in terraferma o, più
difficilmente, un ulteriore collegamento ancora precedente
con l'isola d'Ischia.
STORIA
Recenti ritrovamenti archeologici sulla vicina isola
di Vivara (un tempo collegata a Procida) fanno ritenere
che l'isola fosse già abitata intorno al XVI
- XV secolo a.C., probabilmente da coloni Micenei.
Sicuramente, intorno al secolo VIII a.C. Procida fu
abitata da coloni Calcidesi dell'isola di Eubea; a
questi subentrarono in seguito i Greci di Cuma, la
cui presenza è confermata sia da rilevamenti
archeologici che dalla toponomastica di diversi luoghi
dell'isola.
Durante la dominazione romana, Procida divenne sede
di ville e di insediamenti sparsi sul territorio;
sembra comunque che in questa epoca non esistesse
un vero e proprio centro abitato: l'isola fu più
probabilmente luogo di villeggiatura dei patrizi romani
e di coltura della vite. Giovenale, nella terza delle
sue Satire, ne parla come di un luogo atto ad un soggiorno
solitario e tranquillo.
Dopo la caduta dell'impero Romano, l'isola subì
le devastazioni dei Vandali e dei Goti; non cadde
invece mai in mano longobarda, rimanendo sempre sotto
la giurisdizione del duca bizantino (poi autonomo)
di Napoli, nel territorio della Contea di Miseno.
In quest'epoca l'isola cominciava intanto a mutare
radicalmente la sua composizione demografica, divenendo
luogo di rifugio per le popolazioni in fuga dalle
devastazioni dovute all'invasione longobarda prima
e, in seguito, alle scorrerie dei pirati saraceni.
In particolare, sembra che l'isola abbia accolto le
ultime popolazioni in fuga dal porto di Miseno, distrutto
dai Saraceni nell'850. Tuttavia, un documento databile
tra il 592 e il 602 riguardante un tributo in vino
lascia intuire come già in questa epoca esistesse
sull'isola un insediamento stabile[1].
Mutava radicalmente anche l'aspetto dell'isola: al
tipico insediamento "diffuso" di epoca romana
faceva posto un borgo fortificato tipico dell'età
medievale. La popolazione si rifugiò infatti
sul promontorio della Terra, naturalmente difeso da
pareti a picco sul mare e in seguito più volte
fortificato, mutando così il nome prima in
Terra Casata e poi in quello odierno di Terra Murata.
Con la conquista normanna del meridione d'Italia,
Procida sperimentò anche il dominio feudale;
l'isola, con annessa una parte di terraferma (il Monte
di Miseno, poi detto Monte di Procida), venne assoggettata
alla famiglia di origine salernitana dei Da Procida
(che dall'isola presero il nome), che controllarono
l'isola per oltre due secoli. Di questa famiglia l'esponente
di maggior spicco fu sicuramente Giovanni Da Procida,
terzo (III) con questo nome, consigliere di Federico
II di Svevia e animatore della rivolta dei Vespri
Siciliani.
Durante la guerra del Vespro l'isola fu infatti controllata
dalla flotta del re aragonese di Sicilia ben 14 anni,
dal 1286 al 1299, pur subendo diversi assedi da parte
degli angioini di Napoli, che riuscirono a rientrare
a Procida solo quando, dopo la morte di Giovanni da
Procida, il suo figlio secondogenito, Tommaso da Procida,
passò nel campo angioino. Nel 1339, comunque,
l'ultimo discendente dei Da Procida vendette il feudo
(con l'isola d'Ischia) alla famiglia di origine francese
dei Cossa, famiglia di ammiragli fedele alla dinastia
D'Angiò, allora regnante su Napoli. Dei Cossa,
esponente di maggior rilievo fu Baldassarre Cossa,
eletto antipapa nel 1410 con il nome (poi ignorato
nella storiografia vaticana) di Giovanni XXIII.
In quest'epoca l'economia dell'isola rimaneva sempre
prevalentemente legata all'agricoltura, con una lenta
crescita delle attività legate alla pesca.
Durante la dominazione di Carlo V a Napoli l'isola
fu confiscata all'ultimo Cossa e concessa in feudo
alla famiglia dei d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1529),
fedele alla casa d'Asburgo. Il primo feudatario fu
appunto Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto e generale
di Carlo V, cugino di Fernando Francesco d'Avalos.
Continuavano intanto anche in quest'epoca le scorrerie
dei pirati saraceni, accentuate ulteriormente dalla
lotta tra gli Ottomani e l'impero spagnolo. Molto
documentata e cruenta in particolare fu l'incursione
del 1534, ad opera del pirata Kahir-Ad-Din, detto
il Barbarossa, conclusasi con devastazioni e con un
gran numero di Procidani deportati come schiavi, e
che volle poi ripetere l'impresa nel 1544.
Il suo successore, Dragut, fece sì che l'isola
fosse nuovamente devastata nel 1548, nel 1552, nel
1558 e nel 1562. Una ulteriore incursione barbaresca
è documentata nel 1585.
Testimonianze di questo periodo sono le torri di avvistamento
sul mare, diventate in seguito il simbolo dell'isola,
e una seconda cinta muraria attorno al borgo della
Terra Murata. Un miglioramento delle condizioni di
vita nell'isola si ebbe tuttavia solo dopo la battaglia
di Lepanto che ridusse di molto le attività
della marina ottomana nel Mediterraneo occidentale,
permettendo, finalmente, la nascita nell'isola di
un'economia legata alla marineria.
Nel XVII secolo l'isola venne occupata dalla flotta
francese comandata da Tommaso Francesco di Savoia,
sullo sfondo delle vicende legate alla rivolta di
Masaniello e della nascita della seguente Repubblica.
Con l'avvento dei Borbone nel Regno di Napoli, nel
1734, si aveva intanto un ulteriore miglioramento
delle condizioni socio-economiche dell'isola, dovuto
anche all'estinzione della feudalità nel 1744
per opera di Carlo III, che inserì Procida
tra i beni allodiali della corona, facendone una sua
riserva di caccia.
In questo periodo la marineria procidana si avvia
verso il suo periodo di massimo splendore, accostando
a questa anche una fiorente attività cantieristica:
fino a tutto il secolo successivo, vengono varati
nell'isola bastimenti e brigantini che affrontano
la navigazione oceanica; verso la metà del
XIX secolo circa un terzo di tutti i "legni"
di grande cabotaggio del meridione d'Italia proviene
da cantieri procidani.
La popolazione ascende fino ad un massimo di circa
16000 persone sul finire del XVIII secolo, ovvero
circa una volta e mezza la popolazione attuale.
Nel 1799 Procida prende parte ai sommovimenti che
portano alla proclamazione della Repubblica Napoletana;
con il ritorno dei Borbone, pochi mesi dopo, dodici
Procidani, tra i più influenti e in vista dell'isola,
vengono impiccati per questo nella stessa piazza dove
era stato issato l'albero della libertà.
Negli anni successivi (e in particolare nel "decennio
francese"), l'isola vede diverse volte la guerra
passare sul suo territorio con pesanti scontri e devastazioni,
a causa della sua basilare posizione strategica nella
guerra sul mare, contesa tra Francesi e Inglesi; le
cronache riportano che nel solo 1809 circa 4000 persone
abbandonarono l'isola al seguito delle navi inglesi
sconfitte al termine della sesta coalizione antifrancese.
Anche per questi motivi, nel 1860 la caduta dei Borbone
e l'unificazione italiana vengono accolte favorevolmente
dalla popolazione
Il XX secolo vede la crisi irreversibile della cantieristica
procidana, sotto la concorrenza dei grandi agglomerati
industriali: l'ultimo grande brigantino procidano
viene varato nel 1891.
Nel 1907 inoltre, Procida perde il suo territorio
di terraferma, che diventa un comune autonomo denominato
Monte di Procida.
Nel 1957 l'isola viene raggiunta dal primo acquedotto
sottomarino d'Europa, mentre negli ultimi decenni,
la popolazione, fino agli anni 30 decrescente, comincia
lentamente a risalire.
L'economia rimane in gran parte legata alla marineria
accanto alla crescita, negli ultimi anni, dell'industria
turistica.
ECONOMIA
L'isola si trova attualmente in un periodo di forti
trasformazioni nella sua struttura economica. La marineria,
sebbene in forte calo, rimane ancora uno dei maggiori
settori di occupazione, con persone di tutte le fasce
di età impiegate come ufficiali di coperta
o di macchine su navi mercantili delle maggiori compagnie
marittime di tutto il mondo, continuatori di una tradizione
secolare. Tuttavia negli ultimi anni, la sempre maggiore
automazione presente in ambito meccanico, unita ad
un sempre maggiore utilizzo di lavoratori di paesi
emergenti nell'ambito del trasporto marittimo, ha
fatto sì che questa fonte di reddito perdesse
importanza relativa nell'isola. Accanto alla marineria,
negli ultimi anni si è cercato di favorire
lo sviluppo dell'industria turistica, sebbene in questo
settore i risultati, pure incoraggianti, siano stati
inferiori alle attese, soprattutto se guardati sullo
sfondo di vicine mete turistiche quali Ischia, Capri
o Sorrento. Ciò sicuramente non per la mancanza
di attrattive (in particolare storiche o naturalistiche),
ma più probabilmente per l'assenza di una solida
tradizione imprenditoriale in tal senso, nonché
per la forte carenza di strutture ricettive.
Non prevista, si è dunque affiancata al turismo
e alla marineria la nascita di un ceto impiegatizio
che si manifesta soprattutto attraverso fenomeni di
pendolarismo verso l'isola d'Ischia o la vicina terraferma,
fenomeno assolutamente nuovo nella storia economica
dell'isola.
Quote marginali della popolazione attiva si dedicano
alla pesca commerciale, con una discreta flotta peschereccia,
mentre quote ancora inferiori sono dedite alla cantieristica
o all'agricoltura.
GASTRONOMIA
Nella cucina procidana fanno da padrone i prodotti
della terra (in particolare carciofi e limoni) e del
mare.
Il limone procidano ha la particolarità di
essere molto grande, poco acre e con l'albedo (la
parte bianca compresa tra la buccia e la polpa) molto
sviluppata. Uno dei piatti più particolari
in cui viene utilizzato questo prodotto è la
tradizionale insalata di limoni, fatta con limoni
di Procida a tocchetti, aglio, olio, peperoncino,
sale e menta. Ottima anche la produzione del classico
limoncello.
Molto particolare anche la pasta detta pescatora povera,
nella quale si utilizzano peperoncini verdi fritti
ed alici.
Tra i dolci della tradizione troviamo il casatiello
dolce, una sorta di ciambella tipicamente pasquale
lievitata con il lievito madre solitamente utilizzato
per il pane. Più moderna invece è la
lingua, un dolce composto da pasta sfoglia ripiena
di crema pasticcera e ricoperto di zucchero.