Tricarico
è un comune di 5.920 abitanti della provincia di
Matera. Nota come città arabo-normanna, possiede
uno dei centri storici medioevali più importanti
e meglio conservati della Basilicata. Il territorio di Tricarico
si estende per 17.691 ettari, con un'enclave nella provincia
di Potenza: la Serra del Ponte, ove sorge la Toppa Pizzuta.
Il territorio si presenta vario nell'altitudine e nel tipo
di vegetazione. È a carattere prevalentemente montuoso,
con altitudine massima che raggiunge quasi i 1000 m s.l.m.
(monte La Pila). Vi sono compresi boschi estesi complessivamente
per circa 3.000 ettari e costituiti principalmente da querce
e cerri con fitto sottobosco, ad un'altitudine compresa
tra i 700 e i 1000 m (di Mantenéra, di Fonti, di
Tre Cancelli e di Cupolicchio, oltre ad altri boschi privati,
come quelli di Serra del Cedro, di San Marco, di Martone-Carbonara).
Tra le contrade di Calle e San Marco, in località
Grottone, vegeta una roverella la cui età è
stimata in 612 anni. Inserita nell'elenco dei monumenti
naturali della Regione (alberi padri), è la più
vecchia quercia che si conosca in Lucania (o Basilicata).
L'area urbana comprende il centro storico, diverse aree
di recente urbanizzazione (quali i quartieri Santa Maria,
San Valentino, Carmine, San Giovanni, Lucano e Appio) e
numerose case sparse nelle contrade periurbane e rurali,
tra cui la comunità rurale di Borgo di Calle, con
circa 200 famiglie dedite ad agricoltura e pastorizia.
ETIMOLOGIA
L'origine del toponimo è controversa e sono state
fatte diverse ipotesi:
-
dal greco treis = tre ed akros, akris = vetta, monte, vertice
ossia "città dalle tre vette";
- dal latino tricaricum da intendersi come "posta su
tre colli".
- dal greco treis kari kora o treis kariaris[senza fonte],
da intendersi come "città delle tre grazie"
o "città graziosa";
- dal latino trigarium (il termine indica il luogo dove
si allenavano gli aurighi che montavano la triga, ossia
un carro trainato da tre cavalli).
LE
MASCHERE
Le maschere di Tricarico ( L' màsh-k-r nel dialetto
tricaricese), costituiscono un retaggio di culture ancestrali,
legato, si ritiene, a riti di fertilità. Mucche e
tori, impersonati da uomini (la partecipazione è
interdetta alle donne) rappresentano una mandria in transumanza
nella quale i partecipanti mimano l'andatura ed i movimenti
degli animali, comprese le "prove di monta" dei
tori sulle vacche. La maschera da mucca è costituita
da un cappello a falda larga coperto da un foulard e da
un velo e riccamente decorato con lunghi nastri multicolori
che scendono fino alle caviglie; la calzamaglia indossata
(o, in alternativa, maglia e mutandoni di lana) è
anch'essa decorata con nastri o foulards dai colori sgargianti
al collo, ai fianchi, alle braccia ed alle gambe. La maschera
da toro è identica nella composizione ma si distingue
per essere completamente nera con alcuni nastri rossi. Ogni
maschera ha un campanaccio, diverso nella forma e nel suono
a seconda che si tratti di mucche o di tori.
All'alba
del 17 gennaio, giorno dedicato a sant'Antonio abate, protettore
degli animali, è usanza che i fedeli, insieme ai
propri animali per i quali si invoca la benevolenza del
santo e che per l'occasione vengono agghindati con nastri,
collanine e perline colorate, compiano tre giri intorno
alla chiesa a lui dedicata per poi ricevere, dopo la messa,
la benedizione da parte del prete.
Lo
stesso rituale è osservato dalla mandria, prima di
muoversi verso il centro storico e percorrerne tutti gli
antichi rioni. La sfilata delle maschere si ripete l'ultima
domenica prima della chiusura del carnevale.
GASTRONOMIA
Echi di sapori arabi, caratterizzati dall'unione del dolce
con il salato, si ritrovano nelle "Làgane"
con mollica e uva passa: la ricetta è un piatto di
pasta (la làgana è simile alla tagliatella)
condita con pane raffermo soffritto, uva passa e mandorle
tritate.
DA
VEDERE
cattedrale
di Santa Maria Assunta, voluta da Roberto il Guiscardo,
nella quale, nel 1383, Luigi I d'Angiò fu incoronato
re di Napoli.
chiese (nel 1585 ve n'erano 52, di cui 13 parrocchiali),
alcune adorne di affreschi.
conventi (Sant'Antonio di Padova, Santa Chiara, Santa Maria
del Carmine, San Francesco d'Assisi, Santa Maria delle Grazie);
torre normanna alta 27 m e con pareti spesse anche oltre
5 m. Sulla sommità, sebbene non vi siano muri intorno
e gli archetti di coronamento siano quasi allo stesso livello
del pavimento, se ci si mette sulla pietra posta al centro
della superficie, si sente la propria voce rimbombare come
se si fosse in una caverna.
torre della Saracena e torre della Ràbata.
porte della città fortificata: "Fontana"
(duecentesca e che ancora conserva i cardini in pietra di
alloggiamento del portone), del Monte, della Ràbata,
della Saracena, delle Beccarie (che conserva le due piccole
nicchie con mensola dove venivano posizionate le lucerne
per rendere visibile l'accesso anche di notte).
palazzo ducale, che ospita il museo archeologico.
palazzi nobiliari, la maggior parte dei quali è stata
realizzata tra il '400 ed il '600.
Le strade e vicoli del centro storico sono caratterizzati
da un diverso andamento a seconda che ci si trovi nei quartieri
arabi della Ràbata e della Saracena (a struttura
labirintica, con strade principali, "shari" in
arabo, da cui si dipartono strade secondarie, "darb",
che spesso si concludono in vicoli ciechi "zouquaq")
o nei quartieri normanni del Monte e del Piano (a pianta
regolare, con strade principali parallele unite perpendicolarmente
da vicoli per lo più gradinati ed a forte pendenza).
Sono
presenti diverse aree archeologiche: Serra del Cedro (città
lucana del VI secolo a.C.), Piano della Civita (città
lucana del IV secolo a.C.), Calle (insediamento romano,
con impianto termale), Sant'Agata (villa romana con pavimento
a mosaico policromo).
Serra
del Cedro
Il sito è molto vasto. La cinta muraria, interamente
individuata, racchiude un'area di circa 60 ettari all'interno
della quale sono state ritrovate molte fondazioni di case
ed è stata individuata ed in parte esplorata un'area
artigianale.
La
presenza umana sul sito di Serra del Cedro si data a partire
dalla metà del VI secolo a.C. e continua per i secoli
V e IV a.C. Nella seconda metà del IV secolo a.C.,
la città vive una fase di ampliamento che dura pochi
decenni. Ogni testimonianza archeologica, infatti, si interrompe
agli inizi del III secolo a.C. . La sua distruzione è
probabilmente da collegare agli eventi bellici che si svolsero
sul territorio lucano e che si conclusero nei primi decenni
del II secolo a.C. quando Roma completò la conquista
della Magna Grecia dopo aver distrutto Taranto, nel 272
a.C.
L'area
archeologica della Civita
Il sito comprende un centro fortificato che si estende per
circa 47 ettari e che è dotato di tre cerchie murarie
concentriche in pietra a blocchi squadrati, munite di porte
monumentali.
All'interno,
alcune abitazioni presentano pavimenti a mosaico. Sull'acropoli
cittadina sono situati una domus e un tempietto del I secolo
a.C., testimonianza dell'adesione al modello romano dopo
la conquista.
Nei
pressi dell'acropoli è una delle porte monumentali
della città. Le mura di fortificazione sono costruite
secondo canoni consolidati: un paramento esterno ed uno
interno realizzato con blocchi squadrati (opera quadrata)
e lo spessore tra i due paramenti riempito con materiale
lapideo, il cosiddetto "emplekton".
Si
è rivelato un insediamento molto più grande
di quanto non siano gli altri insediamenti lucani conosciuti.
Si ipotizza, per questo, che dovesse avere una funzione
di primaria importanza ed essere punto di riferimento di
un territorio molto vasto.
Calle
L'insediamento, ubicato nell'omonima contrada, è
al centro di un fitto sistema viario. La sua esplorazione
è soltanto all'inizio e, ad oggi, ha potuto accertare
una fase di espansione tra il II ed il I secolo a.C., epoca
a cui risale un importante impianto termale con pavimento
a mosaico (il mosaico è oggi esposto nel Museo archeologico
nazionale Domenico Ridola di Matera).
La
città di Calle fu un centro di produzione ceramica
fino al V, VI secolo d.C. con prodotti diffusi in un vasto
territorio che supera i confini dellattuale regione.
Santuario
della Madonna di Fonti
Ubicato nel bosco omonimo, il santuario, secondo le fonti
della tradizione, sarebbe stato costruito intorno ad una
antichissima immagine della Madonna con Bambino dipinta
su un muricciuolo e scoperta, in mezzo ai rovi ed alla fitta
vegetazione, grazie ad un vaccaro che dopo aver smarrito
una mucca la ritrovò, inginocchiata sulle zampe anteriori,
a contemplare questa immagine.
Il
santuario è, comunque, uno dei principali luoghi
mariani della regione, meta di pellegrinaggi soprattutto
nelle domeniche di maggio. Molti fedeli, per devozione,
compiono il tragitto a piedi dai comuni di provenienza,
alcuni dei quali, come San Mauro Forte, distanti oltre 40
km.