Bojano
è un comune di circa 9000 abitanti della provincia
di Campobasso (anche nella versione Boiano) è
il principale centro dell'area matesina molisana.
Ha dato i natali al docente universitario e storico
Emilio Gentile, uno tra i maggiori studiosi internazionali
di storia del fascismo. Sorge ai piedi del Monte La
Gallinola (1.923 m), seconda cima di questo massiccio
che segna il confine tra la Campania e il Molise,
a poca distanza dalla cima del Monte Miletto (2.050
m), la più alta vetta del Molise. Dista 25
km dal capoluogo di regione Campobasso e 28 da Isernia.
Termoli, sull'Adriatico, si trova a 85 chilometri,
mentre l'Autostrada del Sole ne dista circa 70. L'abitato
principale si trova a circa 480 metri sul livello
del mare, al centro della piana omonima, dominato
dalle altura di Civita (850 m) e del Monte Crocella
(1.040 m). Numerose le frazioni (vedi a lato) per
cui la popolazione di circa 9000 abitanti risulta
solo parzialmente concentrata nell'abitato principale.
Tra le frazioni segnalate tre hanno dimensione notevole:
Monteverde, centro prevalentemente agricolo, costruito
dagli abitanti di Bojano a seguito del terremoto che
rase al suolo la città nel 1805 (la chiesa
parrocchiale è dedicata a Sant'Emidio, protettore
dai terremoti) nella piana in posizione più
discosta dalle pendici del Matese, a Nord di Bojano;
Civita Superiore (già Rocca Bojano e Civita
di Bojano), borgo normanno che si trova in montagna
in posizione dominante rispetto all'abitato cittadino;
Castellone, borgata anch'essa prevalentemente agricola
a circa 4 km in direzione ovest rispetto a Bojano.
Il territorio comunale è ricchissimo di sorgenti,
fra cui vanno segnalate in località Pietre
Cadute quelle del fiume Biferno, il più lungo
tra quelli con corso interamente in Molise, e di alcuni
suoi affluenti, tra cui la Callora (torrente, con
sorgenti in alta montagna) e il Calderari (sorgente
in località Santa Maria dei Rivoli) che attraversa
per un lungo tratto l'abitato prima di congiungersi
appena al di fuori di esso con il Biferno. In località
Alifana sono presenti piccoli laghi artificiali per
la pesca sportiva. Il territorio strettamente montuoso
è coperto di vasti boschi, prevalentemente
di castagno, faggio, quercia, cerro. È da segnalare
la presenza dell'albero di castagno più antico
d'Italia, la cui presenza ha permesso di datare come
probabile l'introduzione della pianta nella Penisola
al periodo delle invasioni barbariche. Il centro abitato
si distingue in due aree distinte abbastanza nettamente
ma senza soluzione di continuità: il centro
storico, abbarbicato sulle pendici del Matese, e la
Bojano nuova, costruita nella piana. Lungo il tracciato
dell'attuale Corso Umberto passa il tratturo Pescasseroli-Candela.
Nell'architettura attuale sono poche le tracce del
suo passato nelle epoche sannita e romana (si possono
vedere resti di fortificazioni sannitiche sul Monte
Crocella e l'imponente decumano romano di epoca imperiale
a lato del corso del Calderari, ma per la quasi totalità
l'abitato romano e sannita si trova al di sotto dell'attuale
livello della città e non è stato oggetto
di scavo), mentre notevoli sono le testimonianze della
storia cristiana. Essendo stata sede una delle prime
diocesi cristiane, forse addirittura risalente a tempi
apostolici, la cittadina può contare circa
quarante chiese divise in sei parrocchie. La Cattedrale
dedicata a San Bartolomeo risale all'XI secolo (probabilmente
costruita su una precedente chiesa cattedrale o frutto
di un suo ampliamento) ma è stata più
volte distrutta da eventi naturali (terremoti, alluvioni)
o bellici. Interessante l'abside normanno, nella cripta
al di sotto dell'altare attuale, esempio unico di
un particolare simbolismo che lo vedeva edificato
su una sorgente. Le mura perimetrali usano materiali
di recupero di epoca romane e le numerose ricostruzioni
sono evidenti quando si osserva il vecchio portale
di ingresso, murato in quella che è attualmente
una parete laterale. Notevoli i dipinti di Gioia e
i recenti affreschi. Sono presenti a lato dell' Antica
Cattedrale nei cosiddetti "giardinetti"
misure medievali che servivano per misurare i cereali
e i prodotti agroalimentari.
Presso
la chiesa dei Santi Erasmo e Martino (Sito parrocchiale:
Santi Erasmo e Martino) sono custoditi frammenti di
opere romaniche; importanti sono il portale gotico
e le tre bifore della facciata, una delle quali contiene
una figura umana che mantiene in mano una corda che
gli scavalca il corpo.
Sulla
montagna a 1.025 m s.l.m. si trova l'eremo di Sant'Egidio
(in cui la tradizione vuole abbia vissuto il santo
che si alimentava del latte di una cerva) del IX secolo,
la cui ricorrenza del 1° Settembre è vista
come una vera e propria seconda festa patronale dai
bojanesi e in cui migliaia di persone dalle zone circostanti
si recano per la Festa della Montagna.
Altre
chiese sono risalenti al periodo medioevale, solitamente
tra il IX e il XII secolo, (SS. Erasmo e Marino, Santa
Maria dei Rivoli, San Michele, Santa Maria del Parco,
San Biagio, ecc.) presentano testimonianze del periodo.
A
Civita di Bojano, oltre alla caratteristica struttura
del borgo medioevale, sono visibili tratti delle fortificazioni
di epoca altomedioevale e i ruderi del castello normanno;
entrambi sono in stato piuttosto degradato a causa
dell'incuria.
STORIA
Il Matese è una delle zone europee di prima
popolazione umana, come testimoniano gli importanti
rinvenimenti paleolitici di Isernia. In epoca storica
la prima popolazione stanziata nel Sannio di cui si
abbia notizia certa è quella degli Opici (o
Osci), di stirpe indoeuropea. Successivamente, intorno
al VII secolo a.C., queste popolazioni vennero travolte
dalle migrazioni di genti di stirpe italica con cui
si fusero. La migrazione in questione, che dette origine
al popolo sannita trova posto in diverse fonti dell'antichità,
in particolare nell'opera del geografo greco Strabone.
Questi narra come, a seguito di una guerra tra Umbri
e Sabini (genti di stirpe italica, strettamente apparentate
per stirpe e lingua) questi ultimi, risultati vincitori,
promulgarono un Ver Sacrum (Primavera Sacra) (che
annualmente si tiene a Bojano (CB), capitale del Sannio,
da vari anni) in onore del dio Mamerte (corrispondente
al Mars latino e l'Ares greco). Nella primavera successiva
i frutti della terra e gli animali nativi furono offerti
al dio, mentre i fanciulli vennero inviati, una volta
cresciuti, a colonizzare nuove terre guidati dall'animale
sacro al dio a cui erano stati consacrati, il bue;
capo della spedizione era Como (o Comino) Castronio.
Strabone racconta che l'animale si fermò ai
piedi di un colle chiamato Samnium e da lì
il popolo prese nome. Altre versioni fanno risalire
la fondazione di Bojano a quell'evento, facendo fermare
l'animale alle fonti del Biferno per dissetarsi. Lì
sarebbe stata fondata la città di Bovaianom
(il nome osco della città è noto da
iscrizioni recuperate nel santuario sannita di Pietrabbondante)
il cui nome chiaramente rimanda al bove. Il punto
di partenza della migrazione è il laghetto
di Cutilia, nel territorio di Rieti, ritenuto nell'antichità
l'ombelico d'Italia. Da notare come in lingua osca
tanto il Sannio quanto la Sabina, per sottolinearne
lo stretto legame, sono indicati come Safinim. La
distinzione del tradurre distintamente i due termini
risale alla lingua latina.
La
leggenda viene ritenuta molto attendibile, perché
l'usanza storica del Ver Sacrum è documentata
in tutte le tribù italiche da riscontri storici,
archeologici, linguistici e genetici.
Altra
leggenda, questa volta assolutamente non attendibile,
è quella che vede i Sanniti discendenti degli
spartiati. Questa leggenda fu creata dai greci di
Taranto (colonia di Sparta) per adulare il potente
vicino in ottica anti-latina, come contraltare alla
leggenda che vede Roma fondata dai troiani.
Nel
IV secolo a.C. il Sannio era organizzato come una
federazione di cinque tribù (Pentri, Cuadini,
Irpini, Carricini e Frentani). La tribù egemone
fu quella dei Pentri, che popolavano la zona compresa
tra il Matese e le Mainarde e la cui capitale fu dapprima
Aquilonia, città di cui ancora oggi non è
certa l'ubicazione, poi Bojano. La Lega Sannitica
si trovò presto a cozzare contro l'espansionismo
romano verso i Campani, tribù italica che condivideva
con i Sanniti origine, razza e lingua (la conquista
della Campania da parte dei Sanniti avvenne tra il
VI e il V secolo a.C.). Da qui scaturirono le tre
guerre sannitiche. La prima in realtà si sospetta
che si sia limitata ad una serie di scaramucce di
poco conto. Nel 354 a.C. i due popoli avevano contratto
un trattato che vedeva nel basso corso del fiume Liri
il confine tra le zone di influenza dell'una e l'altra
parte. Entrambi i popoli aggredirono le popolazioni
che li separavano dal raggiungere questo confine ma
senza superare il confine stabilito, fin quando i
Romani contravvenirono all'accordo inviando truppe
a Capua per contrastare la conquista Sannita della
Campania e scatenando la guerra, che durò poco
e si concluse con la cacciata dei Romani nelle loro
zone di influenza e in un nuovo trattato, tanto che
nella guerra latina fu proprio grazie ai Sanniti che
i Romani ebbero la meglio sugli Arunci.
Tito
Livio descrive la Bovianum, nome latino di Bojano,
di quel periodo come di gran lunga la più forte
tra le città del Sannio per uomini e mezzi.
Avrebbe avuto, secondo Appiano, tre cittadelle fortificate
a guardia dell'abitato. In effetti di due di queste
sono state rinvenute testimonianze archeologiche sul
Monte Crocella e a Civita.
Roma
disattese nuovamente il trattato nel 328 a.C. fondando
una colonia, Fregellae, sulla sponda sinistra del
Liri e trattando alleanze con Napoli e Taranto, scatenando
la seconda Guerra Sannitica. Dopo qualche anno di
scaramucce non decisive il senato Romano decise di
sfidare i Sanniti in una battaglia decisiva, inviando
i due eserciti consolari in territorio nemico per
penetrare in terra Pentra. Il meddix touticous (la
più alta magistratura italica) sannita Gavio
Ponzio, considerato uno dei più grandi strateghi
dell'antichità, tuttavia sbaragliò con
abile manovra l'esercito avversario alle Forche Caudine.
Su consiglio di Erennio Ponzio, padre di Gavio e studioso
famoso per i suoi contatti con Platone e Archita da
Taranto, però l'esercito non fu massacrato
ma fu concesso ai soldati di tornare in patria dopo
aver subito l'umiliazione del giogo. Ne risultarono
un trattato di pace molto favorevole ai Sanniti che
prevedeva cinque anni di pace. Durante questo periodo
però i romani fecero tesoro dalla sconfitta
e proprie le tecniche belliche dei sanniti, adottandone
la forma degli scudi e l'uso della lancia (il pilum).
Nel 316 a.C. i romani stabilirono alleanze con gli
Apuli e riaprirono le ostilità su un fronte
molto ampio. Se prevalsero in Apulia e nella valle
del Liri, in Campania dovettero soccombe ai Sanniti
guidati da Gavio Ponzio, che puntò su Roma,
che dovette dichiarare la dittatura. Solo l'arrivo
di armate spartane nella Magna Graecia nel 313 a.C.
impedì l'avanzata, salvando Roma e consentendo
ai Latini di riguadagnare il controllo del basso Lazio.
Le successive disfatte romane convinsero gli Etruschi
a scendere in armi contro di Loro, aprendo un altro
fronte, che però i romani chiusero vittoriosi
già nel 310 a.C..
Riorganizzatisi,
i Sanniti assegnarono il comando delle operazioni
belliche nella valle del Liri a Stazio Gellio, che
riuscì ad avere più volte ragione dei
Romani arrivando fino a Frosinone ed Anagni. Dopo
alcune scaramucce fu però bloccato e rientrò
con il grosso dell'esercito a Bojano. La controffensiva
romana si mosse su due direzioni: cercarono di penetrare
nel Sannio dal Matese (battaglia in cui morì
Stazio Gellio come il console romano) e da Isernia.
Livio riporta che in questa occasione Bojano fu presa
d'assedio e saccheggiata, ma la notizia non è
creduta degna di fondamento dagli storici. La minaccia
congiunta degli eserciti romani e dell'ennesimo esercito
mercenario proveniente da Sparta, costrinse alla fine
Bojano ad accettare nel 304 a.C. una pace che che
vedeva i Sanniti rinunciare all'influenza sulla valle
del Liri e la Campania.
La
situazione ormai era volta a favore dei Romani, che
riuscirono a stabilire trattati con i Marsi, i Lucani,
i Marrucini, i Peligni, i Frentani: tutte popolazioni
italiche, quindi affini per sangue e lingua ai Sanniti,
che passarono però nel fronte latino. I Sanniti
invece instaurarono rapporti amichevoli con i Celti
e gli Etruschi, da cui però erano separati
da ampie zone d'influenza romana.
Nel
298 a.C. il console Lucio Cornelio Scipione Barbato
attaccò i territori meridionali del Sannio,
espugnado probabilmente anche Bovianum. Un altro console,
Gneo Fulvio Massimo, attaccò i territori settentrionali
del Sannio, cercando di chiudere il corridoio di contatti
con le popolazioni del Nord. Impedirono la transumanza
e distrussero i raccolti. I Sanniti allora scesero
in guerra al fianco dell'alleato celtico, riuscirono
ad aggirare il blocco romano e l'esercito di Gellio
Egnazio si ricongiunse a quello gallo nei pressi di
Perugia nel 296 a.C.. Si unirono all'alleanza anche
Umbri, Marsi ed Etruschi. I primi successi arrisero
ai celti, ma non furono sfruttati a dovere e l'esito
della guerra si decise a Sentinum dove l'esercito
romano riuscì alla fine a ribaltare le sorti
di una guerra che sembrava persa per il mancato accorrerrere
delle schiere marsicane ed etrusche, forse per cattivo
coordinamento. La battaglia fu conosciuta come Battaglia
delle Nazioni e fu la più sanguinosa in suolo
italiano dell'età antica. Persa quella la guerra
era decisa: Bojano cadde nel 293 a.C. subito dopo
Aquilonia e perse definitivamente la sua guerra con
Roma per l'egemonia in Italia.
Nel
290 a.C. un nuovo trattato di pace fu firmato. Il
Sannio dovette subire gravi perdite, il controllo
di Bojano si esercitava ormai solo sul territorio
pentro ed era regolato da pacta che lasciavano il
Sannio alleato di Roma con obblighi che non prevedevano
alcun ritorno: doveva fornire le truppe con cui i
Romani costruirono il loro imperium, usandole come
carne da macello, ma senza alcun ritorno perché
la condizione di socii non prevedeva la cittadinanza
e quindi alcun diritto: il Sannio non era più
di fatto indipendente.
La
situazione degli alleati italici resse fino alle guerre
sociali, in cui i socii italici si ribellarono alla
tirannia romana per chiedere, in cambio di quell'indipendenza
fittizia di cui godevano, la cittadinanza. La prima
capitale italiana fu la marsicana Corfinium e, alla
sua capitolazione, furono brevemente capitali (93
a.C.) Bojano e Isernia. Il primo ad assumere il titolo
di imperatore (embradur, in osco) in Italia fu il
comandante della Lega Italica, l'allora meddix touticous
del Sannio, il bojanese Papio Mutilo. Il bos-taurus
sannita divenne l'emblema dell'alleanza e fu contrapposto
come simbolo etnico, insieme all'effigie del fondatore
Como Castronio, alla lupa romana nell'iconografia
italica riscontrabile nel conio italico.
Giunti
ad un passo dalla capitolazione di Roma, l'unità
italica si spezzò per il tradimento di alcune
componenti dell'alleanza in cambio della cittadinanza
che poi fu estesa a tutta la penisola. L'unica componente
a cui non fu offerta fu quella che costituiva la spina
dorsale della Lega, il Sannio. Roma volle infatti
regolare una volta per tutte la questione del fiero
alleato interno e fece ricadere tutto il peso della
guerra solo sui Pentri. A differenza degli altri socii,
prima di vedersi riconosciuta la cittadinanza dovettero
subire la devastazione e il genocidio sistematico
dell'intera popolazione autoctona. Con questo atto
si concluse la storia sannita e iniziò la latinizzazione
del Sannio. La lingua osca, che nei suoi vari dialetti
era stata per cinque secoli quella di gran lunga maggioritaria
in Italia, lasciò il posto al latino e venne
confinata per ancora pochi secoli ad essere un dialetto
di qualche isolata comunità che era scampata
al genocidio sillano.
Le
città, costruite in posizione difendibile sulle
alture, furono rase al suolo e ricostruite come colonie
latine in pianura. A Bojano due furono le colonie
latine: Bovianum Vetus, formata nel 43-41 a.C.(quando
già aveva statuto municipale) da Ottaviano
in base alla Legge Giulia; successivamente, nel 73-75
d.C. fu fondata un'altra colonia da Vespasiano con
donazioni di terre ai veterani dell'XI legione; fu
chiamata Bovianum Undecimanurum per questo motivo
e per distinguerla dalla colonia precedente. Il fatto
che Plinio il vecchio nomini queste due Bovianum tra
le colonie sannitiche ha portato Theodor Mommsen a
formulare l'ipotesi (e l'autorità dello storico
tedesco montò l'equivoco) che potessero esistere
due Bojano, una delle due rintracciabile nel santuario
sannitico di Pietrabbondante, dove una iscrizione
osca mal interpretata dallo storico creò l'errato
convincimento. Allo stato attuale delle conoscenze
storiche e archeologiche l'ipotesi è da escludere.
Con
l'avvento del cristianesimo Bovianum divenne sede
di diocesi e note su suoi vescovi sono attestate fin
dall'inizio dell'Era Cristiana.
Bovianum
seguì le sorti dell'impero di Roma e fu travolta
dalla rovina causata dalle guerre Gotico-Bizantine
nell'Italia Centro Meridionale del V e VI secolo.
Una certa rinascita si ebbe dal VII secolo, quando
le terre bojanesi, allora sotto l'influenza longobarda
ma praticamente disabitate a causa della devastazione
bellica, vennero concesse ai bulgari di Alzeco. Bojano
divenne sede di guastaldato col nome di Hovianum e
ricominciò ad influenzare una certa influenza
sulle zone limitrofe. Tra l'VIII e la metà
del IX secolo però un nuovo periodo buio fu
caratterizzato dalle frequenti incursioni di Saraceni
(la cui presenza è documentata anche durante
la campagna che portò alla distruzione del
monastero di San Vincenzo al Volturno) e due terremoti
che distrussero l'area Matesina nell'847 e 853.
A
metà dell'XI secolo Bojano venne conquistata
dalle armate Normanne degli Altavilla e ne divenne
feudatario un compagno d'armi di Roberto il Guiscardo,
Raoul de Moulins, che italianizzò il proprio
nome in Rodolfo de Molisio che ebbe due figli: un
maschio ed una femmina. La figlia del Conte Rodolfo
de Moulins, Aldruda de Moulins, va in sposa a Sarlo
II d'Altavilla. A Rodolfo de Moulins si deve l'edificazione
(o riedificazione) dell'attuale cattedrale di Bojano
e la fondazione della contea. Fu in questo contesto
che Bojano diede origine al nome della regione Molise.
La sua stirpe infatti allargò i confini della
contea fino a raggiungere quelli grossomodo dell'attuale
regione Molise e divenendo la più grossa contea
del regno normanno in Italia. Il titolo di conti di
Bojano fu sostituito da quello di conti di Molise
dal nome della dinastia. Il nome rimase anche quando
la dinastia si estinse. Nel 1266 ne diveniva titolare
Amerigo de Sus. I Capuano vi giungevano nel XIV secolo.
Vi si alternavano quindi i Pandone, i D'Artus e nuovamente
i Pandone. Nel XVII secolo il centro rientrava nei
possessi dei Carafa. Ultimi titolari ne sarebbero
stati i Filomarino.
Ai
De Molesio si deve il castello di Civita, da cui governarono
la contea, e parte delle fortificazioni (in parte
erano preesistenti) del borgo medioevale. Dopo la
centralizzazione voluta da Federico II di Svevia,
che ereditò dalla madre Costanza d'Altavilla
il regno Normanno, il ruolo dei feudatari locali decadde
e Bojano seguì la storia del Regno attraverso
le dominazioni successive degli Svevi, Angioini, Aragonesi,
Borbone, napoleonici, ancora Borbone, Piemontesi fino
a quella della dittatura fascista. Alla proclamazione
della Repubblica, anche in seguito alle devastazioni
della Seconda Guerra Mondiale, le fu preferita Campobasso
come capoluogo di regione.
A
partire dall'unità d'Italia, in seguito al
peggioramento delle condizioni socio-economiche, Bojano
è stata soggetta forti correnti di emigratorie
verso il Nord Europa, le Americhe, l'Australia.
Si
ricordano numerosi terremoti (il Matese è zona
altamente sismica) che più volte hanno raso
al suolo l'abitato, in particolare quelli del 1309,
1349, 1456, 1627, 1688, 1794, 1805, 1913.
ECONOMIA
Attualmente il comune di Bojano ha un'economia molto
variegata. Se il ruolo di centro principale dell'area
matesina ne fa un centro di una certa rilevanza amministrativo-commerciale,
hanno una notevole importanza nell'economia cittadina
il settore agricolo nonché la presenza di numerose
industrie (si trovano a Bojano la sede principale
del colosso agroalimentare Arena, l'industria edile
Leca-Laterlite e la presenza, al di fuori del territorio
comunale ma a pochissimi chilometri, della zona industriale
Campobasso-Bojano. Un discorso a parte merita il settore
lattiero-caseario: la cittadina è famosa in
vaste zone d'Italia per le produzioni del settore
e in particolare per quella delle mozzarelle di latte
vaccino, sebbene il nome sia abusato per l'assenza
di una denominazione protetta. Il settore turistico
è relativamente sviluppato; si hanno presenze
notevoli solo nel periodo estivo e in quello invernale
(per via della vicinissima stazione sciistica di Campitello
Matese). Nelle zone montuose ancora sopravvivono piccoli
gruppi che si dedicano all'allevamento o alla pastorizia.